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Lettera di Giampiero Mughini a Dagospia
Caro Dago, per quel che è dell’eventuale decenza intellettuale di quanti a suo tempo sproloquiarono a voce e per iscritto a difesa della virginea innocenza del delinquente di diritto comune Cesare Battisti (al quale ovviamente nessuno deve augurare di “marcire in carcere” e bensì un giorno di uscirne diverso), ti confesso che mi cadono le braccia.
Mi cadono le braccia da quanto ho letto di Christian Raimo, di un’editrice francese che credo parente del grande Eric Losfeld, dell’ostinata e cieca Fred Vargas, peraltro una notevole scrittrice di “noirs”. Qualche parola di circostanza, qualche banalità di circostanza, non un cenno in punta di fatto e di sostanza. Non sapevano nulla di nulla di nulla.
CESARE BATTISTI LA MIA FUGA
Si nutrivano tutti del fantasma psicotico secondo cui le potenze del Male in Italia avevano organizzato una gigantesca repressione degli idealisti quale Battisti i quali volevano così tanto una società migliore in cui i Poveri fossero felici. Idiozie allo stato puro che niente hanno a che vedere con la storia e l’identità della sinistra e bensì unicamente con la storia dell’imbecillità. Piccola cronaca, piccoli personaggi.
Quanto alla storia della sinistra italiana e delle sue identità (una storia che in questo terzo millennio non ha più alcuna ragion d’essere, morta e sepolta com’è la sinistra ottocentesca e i suoi derivati), resta invece cruciale la vicenda legata all’omicidio del commissario Luigi Calabresi.
cesare battisti a parigi
E difatti vedo che una donna che in me suscita solo simpatie, la cantante Paola Turci (ciao, Paola), quella vicenda l’ha più che sfiorata in una sua recente intervista. Al modo suo l’ha detto, che lei non ritiene affatto che quel commissario trentatrenne e padre di tre figli sia stato assassinato da un commando di “compagni”, da un commando di Lotta continua.
Appunto. La montagna che fa scandalo nella storia della sinistra italiana non sono i quattro cialtroncelli che giuravano sull’innocenza del prode Battisti e bensì gli ottocento galantuomini (c’erano tutti ma proprio tutti gli eroi della sinistra italiana del tempo) che firmarono un appello in cui non c’erano dubbi che Calabresi fosse stato il torturatore e l’esecutore dell’innocentissimo ferroviere anarchico di nome Giuseppe Pinelli.
fred vargas 1
Tanto che ne venne un’atmosfera propizia a che un commando di Lotta continua passasse all’azione, quella mattina di maggio del 1972. Fecero festa dappertutto nelle sedi e nei circoli di Lotta continua, quella mattina.
Nando Adornato ha raccontato che nel suo liceo di Torino tutti i suoi compagni di classe esplosero nell’applauso alla notizia dell’omicidio. Nel mondo della Lotta continua milanese uno solo si levò a dire che quello era un omicidio e basta, il futuro avvocato Luciano Pero, che ho rivisto e riabbracciato qualche giorno fa. Lo riempirono di insulti a tal punto che lui poco dopo si dimise da Lotta continua.
christian raimo
E quando apparve la notizia della “confessione” di Leonardo Marino, del suo dettagliatissimo racconto di come e chi erano andati ad aspettare Luigi Calabresi che usciva da casa per andare al suo ufficio di via Fatebenefratelli, Dario Fo a lungo riempì teatri che plaudivano a come lui spiegava tutte le bugie che Marino aveva raccontato, insufflato anche lui dalle Potenze del Male.
Non sapevano nulla di nulla, in realtà. Non sapevano che a metà del 1972 Lotta continua venne squassata da una discussione interna accesa da quanti volevano che l’intera organizzazione scegliesse la vita della “lotta armata”.
PAOLA TURCI
Capeggiata da Adriano Sofri, vinse la metà della organizzazione che quella scelta non la volle fare. L’altra metà se ne andò a costituire Prima linea, una gang feroce tanto e quanto le Brigate rosse. E comunque l’omicidio Calabresi era stato il punto di inizio di tutto.
Sta parlando uno che a lungo ha creduto all’innocenza di Lotta continua (quella di Sofri è un’altra e più complessa questione). Poi ho letto per tre volte il tomone dov’era la sentenza di primo grado che condannava i militanti di Lotta continua. Non ci poteva essere dubbio su chi aveva architettato l’azione e su chi aveva sparato, il compagno Ovidio Enrico Bompressi, quello di cui inizialmente Marino non voleva fare il nome.
Giorgio Pietrostefani adriano sofri
Ho poi scritto un libro sull’argomento che in tutto e per tutto si meritò solo e soltanto un gran pezzo di Aldo Cazzullo che partiva dalla prima pagina del “Corriere della Sera”. Null’altro, mai un invito, mai una sollecitazione a una discussione.
Avevo appena pubblicato un libro dalla Einaudi Stile libero e incontravo qualche volta Severino Cesari, uno dei giganti della recente storia editoriale italiana, un intellettuale che stimavo quanto pochi altri. Si rammaricava che io stessi scrivendo quel libro su Calabresi e con quegli argomenti.
Gli chiesi se sapeva qualcosa del processo, delle sentenze, degli atti dei vari processi. No, mi risposte che non sapeva nulla e che non aveva letto nulla.
GIAMPIERO MUGHINI
LUIGI CALABRESI I RILIEVI DOPO L OMICIDIO DI LUIGI CALABRESI Ferdinando Adornato severino cesari