Gianluca Veneziani per “Libero quotidiano”
ECCETTO TOPOLINO
Meglio vivere un giorno da Topolino che cento da pecora. Sarà stato per la sua mise nera, per la M di Mickey Mouse o per le sue doti da leader. Di certo Topolino, il celebre personaggio Disney, piaceva molto a Mussolini, il quale lo risparmiò dalla stretta sui fumetti Usa del 1938. Ora il libro Eccetto Topolino (NPE, pp. 496, euro 35) di Fabio Gadducci, Leonardo Gori e Sergio Lama, ripubblicato in versione aggiornata, fa luce su quella vicenda, ricostruendo gli anni in cui il regime proibì le pubblicazioni fumettistiche d' Oltreoceano.
A muovere la stretta censoria a partire dal 1936, quando al ministero della Cultura Popolare giunse Dino Alfieri, c' erano due ragioni: da un lato, la sempre più marcata politica autarchica del regime con relativo rifiuto di ogni esterofilia; dall' altro l' approccio educativo bigotto che tendeva a proibire contenuti per l' infanzia ritenuti «violenti» (le storie di gangster) o caratterizzati da «fantasia aberrante».
BENITO MUSSOLINI E IL CINEMA
In un paio d' anni, e in particolare nel 1938 quando Alfieri esortò gli editori italiani a «far scomparire entro tre mesi ogni vignetta d' importazione o d' imitazione americana», caddero sotto la scure della censura fumetti come Flash Gordon, Mandrake, L' uomo mascherato e Braccio di Ferro. Dal catalogo proibito delle strisce a stelle e strisce vennero tuttavia esclusi i fumetti Disney, in particolare Topolino. Gli autori del libro ricordano a proposito un episodio riportato da Ezio Ferraro in Storia del giornalinismo, secondo cui il Duce in persona si sarebbe speso per garantire l' immunità di Topolino.
IL PRIMO CARTONE DI TOPOLINO
Quando Ezio Mario Gray, gerarca fascista addetto alla "bonifica culturale", presentò a Mussolini la lista del materiale da mettere all' indice, si sarebbe visto tornare indietro il foglio con la postilla del Duce: «Eccetto Topolino!». Vero o verosimile questo episodio, Topolino fu risparmiato e pubblicato fino al febbraio '42, quando l' Italia era già in guerra contro gli Usa. Per quale ragione? Ufficialmente, stando alle parole di Alfieri, i personaggi Disney erano connotati da alto «valore artistico» e «intrinseca moralità» e, come tali, risultavano ancora spendibili per l' educazione dei fanciulli italiani.
MOTIVAZIONI PERSONALI
Walt Disney era considerato un tipo senza fantasia
In realtà, dietro quell' eccezione, si muovevano motivazioni personali, culturali ed ideologiche. In primo luogo dovette pesare l' amore che i figli del Duce, Romano e Anna Maria, provavano verso i fumetti Disney, al punto che quest' ultima vide pubblicato un proprio disegno su «Topolino». In nome di quell' amore, Mussolini stesso iniziò ad ammirare i cartoni Disney. Come rivelò il figlio Romano in un' intervista sulla rivista «If», il Duce apprezzava in particolare i Tre porcellini e Biancaneve: «Il motivo musicale dei Tre Porcellini alcune volte l' ho sentito canticchiare persino da mio padre»», avvertiva lui, ricordando anche come a Mussolini «piacque enormemente» Biancaneve e i sette nani.
mussolini e il cinema
Altro aspetto importante fu il rapporto di stima reciproca tra il Duce e Walt Disney, forse alimentato da un loro incontro a Roma nel '35. Quell' abboccamento avvenne realmente secondo la testimonianza di Romano che lo definì «un incontro simpaticissimo». E sarebbe confermato, fa notare Francesco Manetti in Disney e Mussolini sulla rivista Antarès, anche dal fratello di Walt, Roy, che disse: «Walt fu ricevuto da Mussolini che conosceva Walt e fu molto cordiale». Non è da escludere, del resto, che la simpatia vicendevole fosse favorita dalle convinzioni politiche di Disney che, per dirla con Manetti, «aveva una posizione non avversa ai socialismi nazionali europei» e di sicuro «anti-bolscevica».
IL PRIMO CARTONE DI TOPOLINO
Ma, oltre a ciò, il valore aggiunto era rappresentato dalla simbologia dei cartoon Disney. Personaggi come Topolino o Paperino erano ritenuti non politicizzabili in chiave antifascista. Piuttosto doveva piacere al regime lo spirito pugnace di un Topolino che, scriveva The Times nel '38, «per essere piccolo, dava delle prove di singolare e grintosa abilità» e rappresentava «qualcuno a cui i giovani italiani possano guardare senza trarne un demoralizzante amore per gli agi».
Più in generale, i fumetti Disney dovevano apparire rivoluzionari, anti-passatisti, perfetti per l' immaginario fascista. Tanto da essere apprezzati da intellettuali orbitanti attorno al regime o dichiaratamente fascisti. Si pensi a D' Annunzio che, notava Silvia Ronchey, al Vittoriale «aveva fatto costruire una sala cinematografica dove vedeva la sera i film Disney». O al francese Robert Brasillach, il quale giudicava Biancaneve e i sette nani «un capolavoro», come ricorda Claudio Siniscalchi nel saggio a lui dedicato su Nuova Storia Contemporanea. Lo tengano a mente anche oggi i censori interni al mondo Disney che vorrebbero bonificare alcuni cartoni in nome di una dittatura di segno opposto: quella del Politicamente Corretto.