DAGOREPORTAGE
muti chailly
Muti-fu può sembrare il nome di un ologramma giapponese, invece è quanto rimane di un Gran Maestro.
“L’uomo è il suo carattere”, scriveva un filosofo e forse è per questo che un suo collega direttore alla domanda: “Chi sono gli amici di Muti” sorrise gelido: “Muti non ha amici”.
Anzi no, dei finti amici ce li ha: sono i giornalisti scelti da lui. Anche se qualcuno ha cercato di nascondere il polverone sotto il tappeto di via Solferino, l’esplosione dell’altra sera alla Scala contro il direttore musicale, Riccardo Chailly, e del Capo della Comunicazione, Paolo Besana, ha preso il via proprio quando Muti ha intercettato la presenza di possibili giornalisti davanti al camerino.
chailly muti
Muti ha sempre scelto i giornalisti perché i direttori di alcuni giornali glielo hanno sempre concesso. Così, talvolta, sono accaduti fatti curiosi. Un giorno, in una tournée internazionale, Muti era atteso in una sala d’hotel per un incontro con la stampa. Gli si fecero innanzi i giornalisti taccuino alla mano e lui chiese loro: “Dove sono i giornalisti?”.
“Siamo noi, maestro”. Non erano quelli che conosceva: incontro finito. Ad altri giornalisti, che lo seguivano con scrupolo, rimproverò di non avere preso posizione contro l’ex sovrintendente Carlo Fontana nel 2005 quando lui, da Vienna, incominciò a scrivere lettere ai consiglieri d’amministrazione Confalonieri e Tronchetti Provera per farlo cacciare. A quei giornalisti, che lo cercavano al telefono per chiedergli le ragioni, si negava. Quando, settimane dopo, atterrò a Linate questi gli si fecero incontro per chiedere una dichiarazione e Muti-fu rispose: “Andatevene. Io e voi, una volta, eravamo amici”.
chailly muti
O proni… o niente. E proni ne ha avuti molti, persino Paolo Isotta che, per vent’anni, fu il suo aedo. Poi, quando Muti andò a Roma, qualcosa si ruppe e le righe di Isotta si riempirono di un’indimenticabile aneddotica su lui e sulla moglie dai capelli azzurri. La moglie, Cristina Mazzavillani Muti, fu messa a dirigere il Festival di Ravenna creato ad hoc e la figlia a fare la regista nel solco del più tradizionale familismo italico (la tradizione italiana che piace a Muti-fu) declinato in salsa apulo-napoletana.
Leggende dicono che la moglie abbia dovuto mandare giù bocconi amari, stando alle confidenze che raccoglievano le giornaliste, anche quelle da lui predilette. Ma noi non crediamo a chi parla di segretarie americane, coriste e che persino, malignamente, connette a Muti-fu quell’articolo dell’Espresso intitolato “Tutti muti sui centri a luci rosse” scoperti a Milano. Quanto ai suoi capelli neri, invece, dice che non sono tinti e che li aveva così anche suo padre carabiniere.
riccardo muti
Abbiamo detto della figlia regista, ma il Gran Maestro Muti-fu, i registi, come i giornalisti, li ha sempre voluti proni. Non era questione di metodo, qualcosa alla Salieri del tipo “Prima la musica poi le parole”, ma di ego. Non parliamo dei registi, cosiddetti, “innovativi” (alla Michieletto) - che si videro alla Scala solo con l’arrivo di Stephane Lissner -, ma anche quelli “tradizionali” dovevano realizzare mere messe in scena di supporto alla sua interpretazione.
Non può sorprendere che Muti-fu abbia inveito contro un collega: non l’ha mai fatto prima? Né, come riferiscono le cronache, che l’altra sera si sia chiuso in camerino irridendo qualcuno. Non può sorprendere chi lo avrebbe visto fare l’imitazione del povero di Jeffrey Tate, il direttore disabile, o chi lo ascoltava raccontare barzellette goliardiche (sporche?). Non può sorprendere, come riferiscono le cronache (almeno quelle che ci sono, non quelle insabbiate), che abbia parlato male del sovrintendente di Napoli Stéphane Lissner, il primo che seguì dopo l’addio di Carlo Fontana e di lui stesso nel gran falò del 2005.
riccardo chiara muti
Fontana fu sostituito con manovre di palazzo alle quali cercò di opporsi l’ex sindaco di Milano, Gabriele Albertini; Muti-fu fu liquidato dai suoi stessi orchestrali con l’appoggio dei sindacati. Gli stessi orchestrali e sindacati che, nei giorni scorsi, hanno preteso che il teatro del Piermarini riaprisse con l’orchestra della Scala diretta dall’attuale direttore. Ah no! Lissner non fu il primo perché - e durò circa una settimana – Muti cercò di mettere come soprintendente un suo “uomo”: Mauro Meli, maestro di chitarra che ha talvolta lasciato vasti buchi nei teatri che ha gestito.
jeffrey tate
Si parlava, allora, di una stretta rete con il controverso agente monegasco Valentin Proczynsk e di uno sperequato rapporto di pagamento in favore degli artisti che si esibivano sia alla Scala che alla Filarmonica: tutte dicerie? Il Gran Maestro Muti-fu diresse, al Teatro degli Arcimboldi, anche concerti per sostenere i diritti dei lavoratori che si opponevano alle scelte del Cda; peccato che, a fine concerto, qualcuno dicesse di averlo visto uscire dal retro del teatro sull’automobile del consigliere di amministrazione privato più contestato da quegli stessi lavoratori. Una volta diede un serio schiaffo ai sindacati: quando, ancora giovane, Muti-fu salì sul palco accompagnando la “Traviata” al pianoforte sostituendosi alle “masse artistiche” in sciopero.
jeffrey tate
Non stupisce, come riferiscono le cronache, che il prossimo 7 dicembre Muti-fu intenderebbe dirigere un “Nabucco” alla Fondazione Prada tanto per rompere un po’ le scatole alla “prima” della Scala. Non stupisce perché, per quasi tutti gli anni in cui fu direttore musicale alla Scala i 7 dicembre erano solo suoi e di grandi direttori internazionali se ne vedevano pochi. Anche gli sforzi finanziari andavano per i suoi spettacoli (chiedere anche a Roma).
Lissner
L’età ha giocato contro Muti-fu, dilatando, oltre la celebre mascella, i suoi rancori. Un direttore che poteva restare nel cuore dei melomani ha costruito un carcere intorno a se stesso. E ora, che il mondo è andato avanti, quel ragazzo stupendo che venne da Napoli a Milano per dirigere nella casa di Abbado si è trasformato in Muti-fu. Subito, si fece l’idea che la borghesia rossa della Scala lo avesse visto come l’emigrante con la valigia di cartone che vien da Napoli. C’era qualcosa di vero in quell’impressione-… se la legò al dito e, più di cinquant’anni dopo, Muti-fu il dito non l’ha ancora slegato contro un mondo di trapassati e di ombre.
paolo isotta
RICCARDO MUTI 4 riccardo muti e napolitano all opera di roma per la prima di ernani riccardo muti corna Riccardo Muti a Firenze RICCARDO MUTI 3