Claudio Fabretti per leggo.it
PIOTTA 55
Si fa presto oggi a dire rap. Ma al tempo in cui Tommaso Zanello alias Piotta mosse i primi passi, in Italia, era quasi una parolaccia. «Tutti ci ridevano in faccia, ora il rap lo conoscono anche i nonni», sottolinea l’artista romano, che ha appena pubblicato “Il primo re(p). Alle origini del rap italico”, il suo terzo libro, in uscita da domani per Il Castello/Chinaski Edizioni. Dopo le precedenti esperienze editoriali con “Pioggia che cade, vita che scorre” e “Troppo avanti: come sopravvivere al mondo dello spettacolo”, Piotta torna in libreria con un diario personale e generazionale, in cui attraverso la sua storia umana e artistica, ripercorre la nascita della cultura hip-hop in Italia.
Che tipo di clima c’era agli albori del rap italiano negli anni 90?
«Era un bel clima. Un humus generazionale che ricordo con affetto: erano anni di gioventù, tra scuola, giri in scooter, dj-set... Ma sicuramente c’erano passione, coraggio, spontaneità. E aggregazione, anche senza i social».
Come si è arrivati a sdoganare l’hip-hop in Italia?
PIOTTA COVER
«Quella generazione sentiva l’esigenza di raccontarsi con un nuovo linguaggio, che non era più quello del punk, del rock o del cantautorato. Avevamo una prateria davanti. E pian piano il verbo del rap si è diffuso: giravamo l’Italia e scoprivamo che ogni città aveva i suoi rappresentanti. Erano serate anche con 13 gruppi a suonare. Così il rap e ha iniziato ad avere un riconoscimento ufficiale».
A Roma, poi, era una specie di famiglia.
«Sì, una grande amicizia mi univa ad artisti storici del rap romano, come Colle der Fomento, Cor Veleno, Flaminio Maphia, Ice One e tanti altri».
E poi con “Supercafone” è arrivato il grande successo. Che effetto le ha fatto?
«È stato un momento molto piacevole: una gratificazione e anche la soddisfazione di vedere che in famiglia erano contenti perché il lavoro del figlio dava qualche frutto e si poteva considerare una cosa seria. Così mio padre divenne un fan!».
piotta
Poi, però, ha iniziato a rifiutare tante proposte...
«Sì, perché a me interessa solo fare musica. Mi piacciono meno tante cose che le girano intorno. Come la tv. Ricordo il Festivalbar: era tutto finto, anche gli applausi. Preferisco i miei concerti».
Una volta però la tv l’ha aiutata: quando “7 vizi capitale” è stata scelta come sigla della serie “Suburra”.
«Sì, anche se quella serie aveva un taglio quasi cinematografico. Tra l’altro il brano era stato scritto per un film con Tomas Milian e Franco Califano, “Roma nuda”. Ma non è mai uscito per problemi legali».
Nel libro c’è anche la sua vita, segnata purtroppo da tre lutti...
«Ho perso mamma, papà e mio fratello Fabio: lui era il vero scrittore di casa e aveva anche firmato la sceneggiatura del mio film “Il segreto del Giaguaro”. Per gestire questo dolore servirà molto tempo».
Ha nuovi progetti discografici in cantiere?
tommaso zanello er piotta con davide desario foto di bacco
«A breve riprenderò in mano il lavoro per il mio prossimo disco. Uscirà nel 2023».
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