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    “NEI MIEI CONFRONTI NON C’È STATA NEMMENO LA DAMNATIO MEMORIAE…” – IL SARCASMO DI DRAGHI DOPO LE FRECCIATE DELLA MELONI (ULTIMA QUELLA DI IERI: “IL PNRR NON L’HO SCRITTO IO”) - COME DAGO-RIVELATO MARIOPIO NON CI STA A PASSARE PER IL CAPRONE ESPIATORIO DEI RITARDI – I PROBLEMI LEGATI AL TRASFERIMENTO DELLA CABINA DI REGIA DEL PNRR DAL MEF (CONSIDERATO TROPPO “DE’ SINISTRA”) A PALAZZO CHIGI E LA NECESSITA’ DI GESTIRE “CON CALMA” LA MEDIAZIONE CON BRUXELLES: BALLANO 200 MILIARDI FINO AL 2026…


     
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    Estratto dell'articolo di Francesco Verderami per il Corriere della Sera

     

    DRAGHI MELONI DRAGHI MELONI

    Tutti si aspettano che Mario Draghi reagisca e dica qualcosa sul nodo del Pnrr, attorno al quale il governo rischia di attorcigliarsi. Non andrà così.

     

    L’ex premier non intende prestarsi al gioco delle polemiche. E le persone che con lui hanno vissuto l’esperienza del gabinetto di larghe intese lo descrivono infastidito per il tentativo — che è in atto — di strumentalizzarlo, di trascinarlo nel conflitto politico per usarlo come un randello contro l’attuale esecutivo. E per confutare la tesi che ci sia della ruggine con Giorgia Meloni, si dice che si sia lasciato andare a una delle sue proverbiali battute: «Ma se nei miei confronti non c’è stata nemmeno la damnatio memoriae, che è tipica dei manager quando subentrano nella gestione di un’azienda...».

     

    Restar lontano dalle dispute tra partiti non significa che l’ex presidente della Bce tralasci di seguire la situazione, e di capire come Palazzo Chigi si muoverà per superare il tornante che gli si para davanti sul Piano. 

    LA DRAGHETTA - MEME MELONI DRAGHI LA DRAGHETTA - MEME MELONI DRAGHI

     

    (...) le personalità che hanno avuto modo di parlare con Draghi sostengono che sia fiducioso sull’operato della premier.

     

    Anche perché in Europa «non c’è un complotto» contro l’Italia: il rapporto tra Meloni e Ursula von der Leyen è ottimo e quello con il resto della Commissione è molto buono. Frutto anche del lavoro svolto in questi mesi dal capo del governo, che è riuscita a dissipare dubbi e diffidenze, seguendo peraltro un solco già tracciato. E siccome Draghi dispone di fonti di primissima mano, i suoi interlocutori non hanno dubbi che sia così. Piuttosto non si può escludere che nella struttura burocratica dell’Unione — abituata a gestire i rapporti con l’Italia attraverso il Pd — si annidino delle ritrosie. Ma non si avvertono ai vertici dell’Ue segnali di ostilità verso Palazzo Chigi.

     

    E allora non è il caso di drammatizzare. Il problema non è il mese di ritardo. In fondo, come ha detto il commissario all’Economia Paolo Gentiloni, «una decisione analoga è stata presa anche per altri Paesi europei». Perciò, secondo il giudizio riferito dagli uomini vicini all’ex governatore, la cosa importante è che si porti a compimento il programma. Perché quei fondi garantiti dall’Unione valgono bene l’attesa.

     

    GIORGIA MELONI E MARIO DRAGHI GIORGIA MELONI E MARIO DRAGHI

    E se c’è da modificare il Piano — per ragioni che Giancarlo Giorgetti aveva anticipato quando era ancora ministro di Draghi — un’operazione verità non troverebbe impreparato l’ex premier. Che tempo addietro aveva ricordato il contesto in cui varò il Pnrr: la «profonda revisione» del testo scritto da Giuseppe Conte avvenne in extremis e si fece tenendo conto del fatto che nella maggioranza c’erano anche i grillini...

     

    Con l’avvento del governo Meloni, la governance è stata ridisegnata. E con l’accentramento dei controlli, si sono accentrate le responsabilità. Ed è a Raffaele Fitto che la premier ha delegato il gravoso compito. 

     

    MARIO DRAGHI E GIORGIA MELONI MARIO DRAGHI E GIORGIA MELONI

    (...) Spiega chi ha confidenza con l’ex presidente della Bce: «La premier si è fatta ormai le ossa. Adesso deve accelerare, sapendo che dovrà gestire le difficoltà nella sua maggioranza». Per il governo e nell’interesse del Paese conta adesso che Palazzo Chigi gestisca «con calma» la mediazione con Bruxelles, senza cercare capri espiatori e offrendo rassicurazioni per averne altrettante in cambio. A Roma invece — viene sottolineato — «con duecento miliardi in ballo fino al 2026», è chiaro che «lo scontro politico aumenterà d’intensità». Ma Draghi non si farà trascinare nella mischia.

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