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    NEL DELITTO DI VIA POMA SIMONETTA CESARONI NON È STATA L’UNICA VITTIMA – COSÌ FRANCO COPPI DIFESE E FECE ASSOLVERE RANIERO BUSCO, CONDANNATO IN PRIMO GRADO A 24 ANNI PER L’OMICIDIO DELLA SUA EX FIDANZATA SIMONETTA CESARONI: “NON SOLO LA GALERA È UNA PENA, MA ANCHE AFFRONTARE I PROCESSI, QUELLO ‘VERO’ E QUELLO MEDIATICO” – PERCHÉ PER I CARABINIERI IL KILLER DEL 7 AGOSTO 1990 È MARIO VANACORE, IL FIGLIO DEL PORTIERE...


     
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    Estratto dell’articolo di Maria Corbi per “La Stampa”

     

    RANIERO BUSCO FRANCO COPPI RANIERO BUSCO FRANCO COPPI

    Un delitto irrisolto, il diritto dei familiari di avere giustizia, ma anche degli innocenti a non essere tirati dentro una storia che dopo tanti anni ha perso persone, testimoni, ricordi, e anche possibili prove. “Non solo la galera è una pena, ma anche affrontare i processi, quello “vero” e quello mediatico”, dice Franco Coppi che fece assolvere (insieme a Paolo Loria) Raniero Busco accusato dell’omicidio della sua ex fidanzata Simonetta Cesaroni, condannato a 24 in primo grado.

     

    simonetta cesaroni simonetta cesaroni

    Era il 2011, primavera, e il professore (come lo chiamano tutti) era impegnato come sempre su molti fronti, tra cui la difesa di Sabrina Misseri, la ragazza di Avetrana accusata (e poi condannata) di aver ucciso la cuginetta Sarah. “Non avevo altro tempo da dedicare a una grande storia come quella di via Poma”, ricorda Coppi. Ma vedere ogni sera una giovane donna bionda ferma sotto il suo studio legale nel cuore dei Parioli, ad attenderlo, non lo lasciava certo indifferente.

     

    Era la moglie di Busco, Roberta, che veniva a pregarlo di prendere la difesa del marito. Un giorno però tornando da Avetrana e vedendo ancora li quella donna disperata, qualcuno gli disse una cosa che accese in lui una luce di interesse: “ma lo sa che il professor Angelo Fiori, all’epoca perito di medicina per l’accusa ha detto con sconcerto che la sua perizia di allora non è stata tenuta in considerazione nella sentenza di condanna a Busco? In quelle pagine ci sarebbe la prova della sua assenza dalla scena del delitto, visto che venne stato trovato il sangue della povera ragazza e il sangue appartenente a qualcuno che certamente non era Raniero Busco”.

    franco coppi difende pietro genovese 1 franco coppi difende pietro genovese 1

     

    Inizia così la storia di una difesa e di una assoluzione. Il professor Coppi che chiama il suo amico Angelo Fiori, e la vecchia perizia che viene depositata nei motivi di appello.

     

    […] Nella sentenza di condanna viene liquidata come ininfluente la traccia ematica di gruppo «A» rilevata sulla parte interna della porta e sulla tastiera del telefono. Traccia che attesterebbe la presenza sul luogo del delitto di una persona diversa da Simonetta e da Busco, entrambi di gruppo «0».

     

    IL PALAZZO DI VIA POMA 2 DOVE E MORTA SIMONETTA CESARONI IL PALAZZO DI VIA POMA 2 DOVE E MORTA SIMONETTA CESARONI

    Ma la condanna di Busco annulla questa prova. Cosa che turba il professor Fiori che analizzò quelle tracce. «Ho riletto - continua - la mia relazione d'ufficio collegiale, redatta con i prof. Pascali e Destro-Bisol su incarico del Gip Giuseppe Pizzuti. Poiché non sono stato sentito durante il processo mi chiedevo cosa ne fosse stato degli accertamenti su tracce da me eseguiti all’epoca».

     

    Fiori ricorda quei giorni nei laboratori di medicina legale dell’Università Cattolica (che allora dirigeva) e racconta di quella lunga striscia di sangue di gruppo «A» trovata sulla maniglia della porta dell’appartamento.

     

    simonetta cesaroni simonetta cesaroni

    «Esaminammo il sangue di varie persone, anche offertesi spontaneamente. Tra queste Busco, che è di gruppo zero». Fiori è stupito che questo dato non sia stato valutato adeguatamente: «La verità processuale è che il sangue sulla maniglia è di gruppo A e che Simonetta e Busco sono di gruppo «0».

     

    raniero busco 2 raniero busco 2

    Nella sentenza il tema è appena sfiorato ed accantonato incomprensibilmente e colpevolmente. Se ne deve dedurre con certezza processuale: che il sangue della maniglia non è di Busco, bensì di un’altra persona che evidentemente si è ferita colpendo Simonetta». O «che in alternativa si può solo immaginare che gli assalitori presenti fossero due e che comunque uno soltanto si è ferito ma non Busco!».

     

    Poi il processo, la dimostrazione peritale che il morso sul seno di Simonetta non poteva essere riconducibile alla dentatura di Busco e, per lui, la fine dell’incubo. Chissà come sarebbe andata senza una moglie caparbia e senza la memoria di Angelo Fiori.

     

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