Andrea Priante per www.corriere.it
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Il dipendente che, nel suo tempo libero, pubblica foto osé su un sito a pagamento, può danneggiare l’immagine dell’azienda? Nell’era di internet esiste un confine tra l’uso che si fa del proprio corpo e il ruolo che si ricopre nell’ambito lavorativo?
«Non pubblico nudo»
Il caso ruota intorno a una 25enne veronese, Ilaria Rimoldi, un diploma professionale a Monza in arredamento e design e un contratto a tempo determinato a Gardaland, il parco divertimenti di Castelnuovo del Garda, dove fino al mese scorso si occupava di «pilotare» le attrazioni e di accogliere i visitatori. Lì ha lavorato per due stagioni: da luglio 2021 a gennaio 2022, e da marzo di quest’anno fino al 27 novembre. Poi, il contratto non le è stato più rinnovato.
«Il mio stipendio era di circa mille euro – racconta – e mi serviva un’entrata in più: tra affitto, auto, spesa e bollette, facevo fatica ad arrivare a fine-mese». La soluzione l’ha trovata in Onlyfans, il portale che permette di scaricare contenuti visibili a chi paga un abbonamento. «Io non pubblico foto di nudo, mi limito a condividere immagini sexy, in lingerie. Iscriversi al mio canale costa dieci dollari al mese». Neppure lei si aspettava che il suo profilo venisse preso d’assalto. «Il primo mese ho guadagnato 600 euro, ma poi il numero delle persone che mi seguono è aumentato e a novembre sono arrivata a guadagnare 5mila euro».
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«Potevano alzarmi lo stipendio»
A Gardaland inizialmente quella doppia attività della dipendente è passata sotto traccia. «Ma poi la voce si è sparsa – racconta Ilaria – è capitato che alcuni visitatori mi riconoscessero. E quest’estate sono stata convocata dalla direttrice del parco divertimenti e dal capo del personale». A sentire la versione della 25enne, il colloquio non è stato dei più sereni. «Mi hanno fatto presente che quella è una struttura per famiglie e che le mie foto su Onlyfans non si addicono all’immagine che il parco vuole dare all’esterno. Ho risposto che nel mio tempo libero faccio quel che voglio e non possono impedirmelo, ma che se volevano potevano alzarmi lo stipendio permettendomi di guadagnare la stessa cifra che mi garantisce quella mia seconda attività. Ovviamente hanno rifiutato».
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Sia chiaro: al confronto con i superiori, non è seguito un suo allontanamento né l’hanno costretta a licenziarsi. Ma da quel momento in poi, sostiene la modella veronese, «ogni pretesto serviva per mettermi in difficoltà: ad esempio mi sono ritrovata con l’orario di lavoro che, all’improvviso, è stato quasi dimezzato». La collaborazione tra Ilaria e Gardaland si è quindi trascinata fino al 27 novembre: quando è scaduto il contratto – nonostante la struttura resti aperta anche d’inverno - non le è stato rinnovato. E alla modella, in fondo, va bene così.
La politica aziendale
La società replica con una nota nella quale, pur assicurando che «Gardaland riconosce e promuove l’importanza delle risorse umane all’interno dell’ambiente lavorativo e incentiva la creazione di rapporti di rispetto e collaborazione con e tra i propri dipendenti» spiega che «nell’ambito delle politiche aziendali si invitano i collaboratori, per le proprie attività digital, a evitare l’utilizzo improprio dei loghi o delle immagini di Gardaland non in linea con la vocazione familiare del Parco divertimenti». Resta il tema di fondo: se possa o no un’azienda ritenersi danneggiata dal fatto che il dipendente pubblichi foto sexy su Onlyfans. Il confine tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, in casi come questo appare sfocato anche per gli esperti.
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«Ci sono sentenze della Cassazione che legittimano il procedimento disciplinare nei confronti del lavoratore che, nel tempo libero, mette in atto condotte che si ripercuotono negativamente sull’immagine dell’azienda», spiega Patrizia Gobat, coordinatrice regionale dell’Ordine dei Consulenti del lavoro. «Questo non significa che la persona non può utilizzare il proprio corpo come meglio crede – conclude – ma deve sempre tenere a mente che le proprie attività private non devono mai, neppure indirettamente, essere associate all’azienda con la quale collabora nè devono compromettere il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e dipendente».
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