Valerio Cappelli per il Corriere della Sera - Roma
Leonard Bernstein
C' è stato un tempo in cui Leonard Bernstein veniva spesso a Roma, e colorava le notti col suo carisma, davanti a una bottiglia di whiskey. Erano gli anni Ottanta, Bernstein era presidente onorario dell' Accademia di Santa Cecilia, dopo i concerti si andava al ristorante insieme. A fine cena, prendeva la sedia e si sistemava al contrario, raccontando a ruota libera aneddoti con la sua voce roca.
Era formidabile il modo autoironico con cui rivelò di quando si propose come direttore stabile alla più prestigiosa orchestra del mondo, i Wiener Philharmoniker (che sono un organo autogestito). Si candidò, il portavoce dei Filarmonici viennesi gli rispose: «Maestro, quando viene a trovarci ci fa sempre piacere». E rideva di gusto alla porta che gli fu sbattuta in faccia, con inconfondibile raffinatezza viennese.
Sull' Orchestra di Santa Cecilia, Bernstein aveva inventato un tormentone: «Ai miei colleghi lo dico sempre, dovete venire a dirigere a Roma. A volte ogni orchestrale va per la sua strada, ma come solisti sono magnifici». Che poi era una mirabile sintesi degli italiani (anche se l' Orchestra dal punto di vista della disciplina, dell' ascoltarsi l' un l' altro e del suonare insieme ha fatto un percorso importante).
Leonard Bernstein
Bernstein era professionalmente innamorato di Carlos Kleiber, un' estate a Positano furono negli stessi giorni entrambi ospiti nella villa di cui era proprietario Franco Zeffirelli: Kleiber viveva di giorno, l' altro di notte, non si incontrarono mai, se non quando Bernstein, disobbedendo al no di Carlos, seguì furtivamente la registrazione della Bohème con la regia di Zeffirelli di cui doveva dare la liberatoria.
«Alla fine, singhiozzando, Lenny raggiunse Kleiber e riempiendolo di baci sulle guance gli disse che era il più grande. L' altro, figurati, rimase di sasso», ricorda Zeffirelli.
Non potevano essere più diversi, Bernstein era uno che la vita la mangiava a morsi, l' altro non voleva parlare di musica ma di automobili, ed era sempre accompagnato da una giovane donna, ogni volta diversa.
Leonard Bernstein
Sul podio Kleiber, che a Roma diresse due soli concerti, era un titano insicuro, ma era il numero uno nel piccolo recinto che si era ritagliato (diresse appena tredici opere nella sua vita, senza mai toccare Mozart). Leonard Bernstein al contrario era un cannibale di note, compositore, direttore, pianista, brillante divulgatore.
«Una figura rinascimentale», così lo definisce Antonio Pappano, che nel centenario della nascita proporrà una sorta di Festival Bernstein a Santa Cecilia. Si comincia il 15 febbraio, con la giovanile Sinfonia n.1 Jeremiah (mezzosoprano Marie-Nicole Lemieux), la Sinfonia n 2 e The Age of Anxiety (al piano Beatrice Rana), ispirata a un racconto di W.H.Auden, considerato uno dei simboli dell' ansia e della paura che attanagliavano il periodo post bellico; il 22 febbraio secondo appuntamento, Sinfonia n.3 «Kaddish» dedicata alla memoria di John Fitzgerald Kennedy, il testo che lo accompagna fu scritto dallo stesso Bernstein, e nel 2003 Samuel Pisar, un sopravvissuto all' Olocausto, aggiunse riflessioni tratte dalla sua esperienza personale.
ANTONIO PAPPANO 9
Come apertura della prossima stagione, Pappano dirigerà West Side Story . A Pappano, Bernstein chiese di fargli da assistente quando diresse la celebre Bohème a Santa Cecilia (di cui DG fece un cd), «ma all' epoca lavoravo per Daniel Barenboim e la cosa non andò in porto». Chissà se queste occasioni in musica contribuiranno a fugare il cruccio di Bernstein, che ci confessò sua figlia Jamie: quello di non avere, come compositore, la stessa considerazione che aveva sul podio.
Leonard Bernstein