Lettera di Pierluigi Panza a Dagospia
Caro Direttore,
FIACCOLATA IN RICORDO DI ROBERTA SMARGIASSI
E’ così vasta la tragedia di Vasto che ne vogliamo accennare sommessamente (anche se in comune con l’arte ci sono solo la potenza devastante dei sentimenti, dei ricordi e delle passioni). L’inscindibile laccio tra amore e morte, l’incomprensibilità del male, il fragoroso irrompere del dolore come una valanga che tutto seppellisce sono le componenti di questa tragica vicenda così propria di quella sfinge che è la vita umana. Ma perché tutto questo strazio ineliminabile possa servire a migliorare le vite di coloro che verranno, proviamo ha intravvedere se qualcosa è mancato o si può migliorare.
Quest’uomo a cui si è fermata la vita con la morte della moglie addosso ha certamente avuto a fianco famiglia, amici e sostegno della cittadina…; ma non basta. Ci voleva il sostegno psicologico e la forza chimica delle cure mediche per questo uomo, anche in maniera coercitiva, con uno Stato pronto a provvedere anche al sostegno economico per il periodo necessario. Un uomo innamorato non può superare un dolore così forte senza che, obbligatoriamente, sia preso e accompagnato nel suo sforzo, assistito, anche portato via.
ITALO DELISA
Dall’altra parte la giustizia stava facendo un corso corretto rispetto alle leggi in essere per procedere contro il reo diventato vittima. Ma queste leggi e regole possono essere migliorate. Intanto, uno che ha commesso un omicidio colposo per incidente stradale non deve poter continuare a guidare, nemmeno il motorino, sino all’esito del processo.
Non conosco le circostanze di questo incidente (emerge che fu chiaramente il 22enne a passare con il rosso investendo la signora sul motorino e taccio la circostanza che nemmeno avesse chiesto scusa) in compenso credo che sia a tutti evidente la costanza con la quale i giovani – i cosiddetti “nativi digitali” – guidino usando al contempo lo smartphone per telefonare, inviare messaggi o seguirne il percorso del navigatore.
Qui la polizia, e la legge, devono intervenire molto più radicalmente, specie per gli under 21: la prima volta che ti pizzicano con lo smartphone prendi l’ammenda e i punti sulla patente, ma la seconda ti devono ritirare la patente per almeno 3-5 anni. Guidare deve essere una attività che richiede una attenzione esclusiva: non si telefona, non si legge, non si ravana nemmeno in borsetta. Sempre tra i giovani poi, il fenomeno del car-sharing non aiuta certo la sicurezza stradale. Un conto è guidare la tua auto, di cui conosci prestazioni, pregi e difetti, un altro è salire dieci minuti su un’auto a nolo di cui non conosci le prestazioni.
ROBERTA SMARGIASSI E FABIO DI LELLO
Quanto alle pene, l’inasprimento con lunghe reclusioni – se non si tratti di casi di guida in stato di ebrezza o sotto effetto di stupefacenti – mi sembra sbagliata. Io sarei per far svolgere subito funzioni socialmente utili. Se questo ventiduenne fosse stato subito inviato in un ospizio per anziani a svolgere funzioni di supporto, anziché lasciato in giro con il motorino, forse avrebbe capito il significato della vita umana e avrebbe ancora la sua propria vita. E se il marito trafitto da tanto dolore fosse stato portato in cura, forse starebbe iniziando a superare la tragedia anziché finire dietro le sbarre il resto della sua vita.
2 - BUON LINCIAGGIO
Mattia Feltri per “la Stampa”
Non ci azzarderemo a spendere una sola parola sull'uomo che a Vasto ha ammazzato il ragazzo di 21 anni che gli uccise la moglie passando col rosso. Solamente un pazzo o Fëdor Dostoevskij oserebbero mettere dito nell'anima di un uomo disperato a tale punto. Ma vogliamo dire qualcosa su una comunità - su tutti noi - che chiedeva giustizia prima del processo, come funzionava nel Far West coi ladri di cavalli. È stata chiesta con manifestazioni di piazza e sentenze spietate e inappellabili sul web, e giustizia equivaleva a carcerazione preventiva.
E cioè, in galera subito, per placare la rabbia, e poi si vedrà, e nonostante il ragazzo la sera dell'incidente guidasse a poco più cinquanta all' ora, non fosse né drogato né ubriaco, non fosse fuggito e insomma non c'era un solo appiglio per rinchiuderlo prima del giudizio in tribunale, se non attraverso la logica della corda insaponata. È stata data la colpa alle lentezze della magistratura, ed è una faccenda con cui tocca fare i conti.
ROBERTA SMARGIASSI E FABIO DI LELLO
E c'è chi lo spiega da decenni, inascoltato. Ma la pretesa di una giustizia di piazza è anche il «fuori i nomi» di qualche giorno fa sui ritardi di Rigopiano, è anche la periodica speranza di una «giustizia esemplare», che esiste in Cina, mentre in una democrazia esiste la giustizia e punto, senza aggettivi, ed è anche rispondere a ogni emergenza con lo sbrigativo «inasprimento delle pene», e sono tutti fuochi del cuore che portano il nome del linciaggio: il modo più comodo e sommario di sentirsi migliori del linciato.
3 - IL KILLER VENDICATORE ORA È DIFESO SUI SOCIAL
Flavia Amabile per “la Stampa”
La panchina del rancore è lì, accanto alla tomba del cimitero di Vasto dove da luglio è sepolta Roberta Smargiassi. L' aveva fatta sistemare Fabio Di Lello, 35 anni, il marito e da due giorni anche l'assassino di Italo D' Elisa, l' uomo che aveva ucciso sette mesi prima la moglie in un incidente stradale. Ad un certo punto ha capito di non riuscire a vivere lontano da lei, veniva al cimitero ogni giorno, accarezzava la foto in cui Roberta lo guardava con il suo sorriso radioso.
ROBERTA SMARGIASSI E FABIO DI LELLO
Le parlava, le giurava che l' avrebbe vendicata. A volte arrivavano dei conoscenti, persone che condividevano la sua stessa tristezza, i parenti di altri due giovani di Vasto, suoi amici, morti poco dopo Roberta. Dolore che si aggiungeva al dolore, impotenza all' impotenza, giorno dopo giorno finché, qualche giorno prima di Natale, aveva letto un comunicato del difensore Italo D' Elisa in cui si cercava di rendere meno pesante la responsabilità del giovane nell' incidente.
È stato allora che Fabio ha avuto l' impressione di non poter mantenere fede alla promessa fatta alla moglie, che seguendo la giustizia non avrebbe ottenuto quello che stava cercando, una punizione senza alibi né giustificazioni. Mentre tutti ancora erano immersi nell' atmosfera di pace delle vacanze di Natale, Fabio aveva già deciso di fare da sé. A gennaio, mentre gli amici parlavano delle scosse che non volevano lasciare tranquilla la loro regione e di un freddo che non si vedeva da anni, lui si era procurato una pistola calibro 9 e stava decidendo come agire.
Il momento è arrivato due giorni fa. All' ora di pranzo Fabio è andato a trovare Roberta, ha mangiato qualcosa davanti alla sua tomba, poi è andato incontro al suo destino, davanti a un bar della città. Poche parole con l' uomo che odiava. Quindi tre colpi, uno all' addome, uno alla gamba e uno al collo, secondo la prima ricostruzione. Per Italo D' Elisa non c' è stato nulla da fare.
LA BACHECA FACEBOOK DI FABIO DI LELLO
Fabio si è allontanato, ma solo per tornare dalla sua Roberta, per lasciarle in dono la pistola come avrebbe fatto con la sua arma il gladiatore di cui aveva postato la foto sul profilo Facebook. Si è consegnato senza opporre alcuna resistenza ai carabinieri che sono andati ad arrestarlo. Ormai aveva finito di covare il suo buio, aveva ottenuto la sua giustizia.
ROBERTA SMARGIASSI E FABIO DI LELLO
È finito in carcere ma quando si è diffusa la notizia del suo gesto per tanti è diventato un eroe, il giustiziere di un pomeriggio. Era il personaggio che - consciamente o no - aveva costruito in questi mesi di solitudine e risentimento dominati da una campagna per chiedere giustizia che ha pochi eguali: una fiaccolata, gli striscioni, la foto postata su Facebook da condividere, i commenti dei suoi fan. Un clima di odio senza precedenti, è l' accusa del difensore e della famiglia del giovane ucciso due giorni fa. «C' è stata una disgrazia che ha colpito più famiglie - spiega Alessandro D' Elisa, zio del giovane freddato per vendetta - Abbiamo portato avanti il dolore con dignità.
FABIO DI LELLO
Non potete capire, un ragazzo di 21 anni che ha perso il lavoro, ha perso tutto. C' è stata una campagna di odio verso questo ragazzo, che vi assicuro era un ragazzo per bene, sensibile. Un ragazzo d' oro che ha subito una pressione mediatica. Una vittima anche l' altro ragazzo. Andava aiutato e non bisognava mettergli uno striscione davanti al locale dove lavorava e si recava ogni mattina. Abbiamo chiesto di avvicinarci alle famiglie ma ci hanno detto che era troppo presto, abbiamo aspettato con dolore e riservatezza».
Una versione diversa dalle accuse della famiglia e dei difensori di Fabio di un atteggiamento «strafottente» da parte di Italo. Ma il veleno sparso era troppo per riuscire a capirsi. E la sete di vendetta un desiderio troppo forte. Ne parla anche l' arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte. Per condannare la vendetta, certamente, ma anche per chiedere una giustizia diversa, «più sollecita. Una giustizia lenta non è più giustizia e produce anche effetti come questi tragici a cui si è assistito a Vasto».
ROBERTA SMARGIASSI E FABIO DI LELLO
L' odio diventa un' onda che dilaga sui social. Sono donne, uomini, giovani, meno giovani, forse i più restii a parlare in queste ore sono proprio gli abitanti di Vasto. Gli altri sono un fiume in piena. Pietro Paolo Perrotta: «Visto che lo Stato fa come c... gli pare, la giustizia è opinionabile e non dà certezze delle pene, allora non si può non tollerare il gesto di un marito che si vendica...». Luca Patavino: «Da quanto tempo dico che la non-Giustizia italiana, lenta inefficace e fine a se stessa, è il primo problema italiano? Poi accade che uno si fa "Giustizia" da solo, a modo suo, dando una propria interpretazione di "Giustizia"». Antonella Racanicchi: «Fabio ha tutta la mia comprensione. In un Paese dove non esiste giustizia questo è quello che ti spingono a fare.
Istigazione all' omicidio, questo deve denunciare il tuo avvocato contro lo Stato». Sara Ferrario: «Non lo farei mai ma capisco e condivido. La giustizia in Italia è scandalosa. Dopo sette mesi senza avere alcuna prospettiva il suo gesto è comprensibile».
FABIO DI LELLO
Accuse respinte dal Procuratore di Vasto, Giampiero Di Florio: «Nessuna lentezza, anzi, al contrario, questo procedimento evidenzia la celerità di un tribunale come quello di Vasto nella trattazione dei processi: le indagini sono durate 110 giorni dalla data dell' incidente.
Direi che ci sono stati tutti i tempi rapidi per arrivare a una sentenza in meno di 8 mesi.