Estratto dell'articolo di Emilia Costantini per il “Corriere della Sera”
«La passione per la recitazione? Gli venne in sanatorio». Luca Manfredi racconta il padre, il grande Nino, scomparso nel 2004. «Eh già... — sospira — sono passati quasi vent’anni».
nino manfredi
Che c’entra il sanatorio con la recitazione?
«Venne ricoverato a 15 anni all’ospedale Forlanini per la tubercolosi, restò rinchiuso lì dentro tre anni. E proprio lì ebbe la possibilità di assistere per la prima volta a una rappresentazione teatrale: Vittorio De Sica offrì ai degenti uno spettacolo. Nino rimase molto sorpreso, tanto che quando finalmente venne dimesso, cominciò a realizzare spettacolini nel teatrino della parrocchia: si divertiva a interpretare ruoli femminili, gli venivano particolarmente bene. Lo notò un parrocchiano, l’attore Carlo Campanini, che lo spronò a coltivare la sua capacità espressiva».
Nino frequentava la parrocchia perché era molto religioso?
«Macché! Era molto scettico in materia però, mentre era al Forlanini cominciò a porsi delle domande sulla fede. Assisteva i suoi compagni di camerata che, pur essendo molto credenti e assidui frequentatori della chiesa, gli morivano tra le braccia: lui era l’unico sopravvissuto, l’unico miracolato e il dubbio sulla credenza religiosa lo ha accompagnato per il resto della vita. Parecchi anni dopo, non a caso, interpretò Per grazia ricevuta , con cui vinse la Palma d’Oro a Cannes».
Dal sanatorio come approdò all’Accademia d’arte drammatica?
«Per caso. Frequentava l’università, perché suo padre voleva assolutamente che si laureasse in Legge. Un suo amico gli propose di accompagnarlo alla Silvio D’Amico, per informazioni sull’iscrizione.
nino luca manfredi
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Però non divenne famoso oltre oceano...
«Registi famosi, come Billy Wilder e David Mamet, cercarono di convincerlo a fare film con loro, ma il suo cruccio era di non conoscere l’inglese. Per questo ce l’aveva con la propria madre vissuta in America con il padre minatore che, quando era tornata in Italia, si rifiutava di parlare in americano: per lei rappresentava il marchio da emigrante. Quando Wilder gli propose di girare un film con Jack Lemmon, Nino rispose: se Lemmon accetta di recitare in italiano, così come io reciterò in inglese, lo faccio... e ovviamente non se ne fece niente».
Che rapporto aveva con i colleghi italiani?
papa wojtyla
«Grande amico di Alberto Sordi, Marcello Mastroianni e soprattutto di Vittorio Gassman, che aveva conosciuto in Accademia e che per primo lo coinvolse in uno spettacolo con la Compagnia di Evi Maltagliati. Alle prime prove, mio padre era talmente emozionato che non riusciva a proferire parola.
Nel grande imbarazzo per tutti Evi si rivolse incavolata a Vittorio: mi hai portato un attore muto? Gassman lo difese strenuamente, rispondendo: diamogli un’altra possibilità... e così fu. Negli anni seguenti, erano in tournée insieme, ma Nino si ammala, febbre a 40, e una sera non voleva fare lo spettacolo: “Ho vuoti di memoria!” ripeteva a Vittorio, che ribatteva: “Non preoccuparti, ti do una mano io, se hai un vuoto lo riempio in qualche modo”. E l’ha aiutato talmente tanto, troppo, che ogni volta che Nino stava per aprire la bocca per recitare una sua battuta, Vittorio lo anticipava, temendo il vuoto. A sipario chiuso, papà gli disse: “A Vitto’, va bene che mi volevi aiuta’, ma almeno una battuta me la potevi fa’ di’!”».
E i colleghi con cui non andava d’accordo?
manfredi tognazzi
«Con Ugo Tognazzi ebbe una frattura, durata qualche anno. Stavano girando insieme un film e, mentre Nino era il rigore fatto persona, studiava scrupolosamente il copione, era sempre puntualissimo sul set, Ugo invece, come si sa, era uno che la sera amava fare baldoria con gli amici: feste, cene, bevute... Una mattina si presentò sul set in uno stato talmente confusionale che non si ricordava nemmeno che film stessero facendo.
Mio padre, non essendo diplomatico, esplose e disse al produttore: “Adesso io vado nella mia roulotte e quando questo cialtrone avrà studiato le scene, mi chiamate” e sparì.
Anche Ugo si arrabbiò moltissimo, ma ovviamente aveva ragione Nino: il lavoro va rispettato».
nino erminia manfredi
Era così rigoroso anche nella vita privata?
«Accipicchia! Per esempio non sapeva mentire, diceva sempre quello che pensava e una volta fu sincero persino con Papa Wojtyla. Era stato invitato in Vaticano per assistere a una commedia scritta proprio dal Santo Padre, La bottega dell’orefice . Al termine della rappresentazione, tutte le personalità presenti si precipitarono dal Pontefice per fargli i complimenti, tipo... “che testo meraviglioso, Santità... perché non ha continuato a scrivere commedie, poteva diventare un grande autore... il teatro ha perso un talento”.
Mio padre se ne stava zitto, in disparte: era imbarazzato, perché aveva trovato lo spettacolo piuttosto noioso. Il Papa lo notò e gli chiese: “Lei Manfredi non dice niente?”. Lui rispose: “Santità, se posso permettermi di darle un consiglio... se fossi in voi mi terrei ’sto posto in Vaticano, perché come commediografo non sareste diventato così famoso”. Giovanni Paolo II iniziò a ridere, lo abbracciò e lo ringraziò per la sua sincerità».
Sul fronte dei difetti?
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«Non sapeva mai chiedere scusa, anche se aveva torto marcio. Un esempio? Ero andato a trovarlo nella sua villa al mare e, strada facendo, avevo comprato maschera e pinne, per poi pescare cozze e ricci che lui amava tanto. Quando mi ha visto pronto a tuffarmi in acqua, mi ha chiesto sospettoso: scusa, ma quelle pinne sono le mie? Io ho ribattuto: no, le ho comprate poco fa. Ma lui insisteva: sono le mie! Allora ho frugato in casa e ho trovato le sue: non si ricordava dove le aveva messe. Gliele ho portate sotto al naso. Invece di scusarsi, si è limitato a rispondere: bè, hai delle pinne che non sembrano le tue...Paradossale».
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Che padre era?
«Assente, sempre occupato sui set. Quando era a casa, si chiudeva nel suo studio con gli sceneggiatori. Il merito di aver portato avanti la famiglia è stato di mia madre Erminia, che ha sopportato e perdonato le sue varie “scappatelle”: ne faceva di cotte e di crude». Severo?
«Parecchio. Da ragazzino mi rifugiai su un albero in giardino, perché voleva costringermi a mangiare le lumache, che mi fanno schifo. Abbiamo recuperato il rapporto in seguito, cominciando a lavorare insieme».
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Lei gli ha dedicato un film, «In arte Nino», un documentario, «Uno, nessuno, cento Nino» e un libro, «Un friccico ner core».
«Pacificazione postuma. La sua arte lo ha reso immortale. Rivedendo i suoi film, con i suoi movimenti “nineschi”, è come se continuasse a vivere con noi. Un grande privilegio avere un padre così».
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