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    NO-VAX, BECCATEVE LA SCHIACCIATA DI IVAN ZAYTSEV! “VACCINARE I FIGLI È UNA FORMA DI RISPETTO PER TUTTA LA COMUNITÀ. USO LA MIA VISIBILITÀ DI SPORTIVO PER SENSIBILIZZARE LA GENTE” – LO ZAR DEL VOLLEY ITALIANO LIQUIDA I GIUDIZI RAZZISTI DEGLI ODIATORI DEL WEB: “NON CONOSCONO LA MIA STORIA, NE’ COME MI SENTO…” – E POI LO IUS SOLI, LA RUSSIA E LA FIGURA “OPPRIMENTE” DEL PADRE…


     
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    zaytsev zaytsev

    Da www.grazia.it

     

    Ivan Zaytsev, capitano della Nazionale di pallavolo italiana, in procinto di partecipare ai Mondiali, racconta su Grazia perché ha postato con orgoglio una foto della figlia subito dopo l’immunizzazione, sfidando i movimenti no-vax.

     

    «Ci tenevamo a far sapere che per noi vaccinare i figli è una forma di rispetto per tutta la comunità: nei Paesi dove non si vaccina la mortalità per malattie infettive è molto più alta. Non si tratta di guerra tra case farmaceutiche, ma di dati scientifici».

     

    ZAYTSEV ZAYTSEV

    «Sono uno sportivo, ma anche un cittadino. Essere un personaggio pubblico è un vantaggio. Ci sono temi che mi stanno a cuore e credo sia importante usare la mia visibilità anche per sensibilizzare la gente. Ma non voglio fare politica o essere strumentalizzato».

     

    ZAYTSEV ZAYTSEV

    Come reazione alle sue opinioni, in Rete c’è chi ha espresso perfino giudizi razzisti, augurandogli di “tornare a casa”. Ma Zaytsev dichiara al magazine diretto da Silvia Grilli: «Commenti così superficiali dimostrano che gli odiatori non conoscono né la mia storia né come mi sento. I miei genitori sono russi, è vero, ma la cittadinanza italiana l’ho desiderata, conquistata, come prevede la legge, dopo dieci anni di residenza. Sono nato a Spoleto, ma in Italia non esiste lo “ius soli”, anche se io sarei favorevole, perché sono convinto che le persone che nascono qui sono la forza del nostro Paese».

     

    Confessa a Grazia che essere il figlio di un campione (Vjaceslav Zaytsev due argenti e un oro olimpico con la Russia) lo ha segnato: «È stata una figura opprimente. Giravamo il mondo per il suo lavoro (è stato il primo sovietico a giocare all’estero come professionista, ndr). Voleva che diventassi un suo mini-clone. Io, invece, caratterialmente ero diverso da lui e ho fatto fatica a liberarmi dalla sua ombra». Così come la sua educazione severa: «I primi anni di scuola li ho frequentati in Russia, dove il sistema è rigido.

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    Educazione un po’ militaresca, poco permissiva. Il gioco e lo sport sono dei “premi”: li ottieni solo se hai buoni voti e se hai finito i compiti. È stato pesante, così come avere un padre che aveva già deciso come dovessi essere. Ora penso che questo mi abbia aiutato a capire ciò che è giusto, sbagliato o utile».

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