Marco Patucchi per ''la Repubblica''
«Ogni mattina, appena apro gli occhi, penso a Rocco e Achille. I miei ragazzi. Anche prima era così, ci mancherebbe, ma si trattava dei problemi e delle storie quotidiane. La colazione, la scuola, gli amici, i programmi della giornata Adesso penso a loro e mi sento a disagio. È assurdo, con il problema del coronavirus stiamo tutto il giorno insieme, ci sentiamo ancora più vicini di sempre, e invece è come se fossimo sospesi nel vuoto. Con mio marito, che fa il libero professionista e a parte la poca attività online è praticamente fermo senza grandi prospettive, parliamo del futuro e non vediamo nulla. Ho paura del presente e del domani».
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Francesca Marras ha quarantacinque anni, lavora in un negozio di giocattoli di un grande centro commerciale nella periferia romana. Cattedrali del consumismo metropolitano che, nell' era pre-Covid, accoglievano schiere di "fedeli e sacerdoti" ogni sacrosanto giorno, domeniche comprese. E che ora, deserti, sembrano astronavi arenate.
«Ai primi di marzo si è chiuso tutto. Ha continuato a lavorare solo il supermarket. All' inizio con le altre colleghe ci sentivamo al telefono o nelle chat, non c' era allarme. Più che altro curiosità per una situazione così strana, le notizie sul virus, la Lombardia e le zone rosse lontane. Non ci rendevamo conto di cosa stava per iniziare davvero».
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Il domani che non arriva mai perché l' oggi è una montagna da scalare: «La prima cosa che abbiamo fatto, con mio marito, è stata la richiesta alla banca di sospensione del mutuo da 700 euro. Ci hanno chiesto un delirio di documentazione che non è stato semplice mettere insieme, soprattutto in questo periodo di emergenza sanitaria. In fondo niente di sorprendente, so bene cosa significa avere a che fare con una banca. Hanno risposto soltanto un paio di giorni fa chiedendoci altra documentazione che ora dovrò farmi dare dal negozio e non so quanto altro tempo passerà prima di sapere se ce la facciamo a fermare il pagamento. Non è andata molto meglio con la cassa integrazione: il datore di lavoro, che ci ha pagato a fatica i pochi giorni di stipendio maturato a marzo, ha fatto la richiesta all' Inps per quella in deroga producendo, insieme a noi, tutta la documentazione necessaria.
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Ma al momento qui, e a casa delle altre colleghe, non si è visto neanche un euro. Il principale sta predisponendo le misure per la riapertura del negozio, però nessuno è in grado di assicurare se e quando succederà». Francesca ha un contratto part-time da 900 euro circa, il marito le entrate altalenanti di un libero professionista. Ora praticamente arrivano pochi soldi. Generazioni che hanno conosciuto solo la precarietà del lavoro, abituate all' incertezza, eppure spiazzate da qualcosa di ancora più indefinito: «Già sapevo cosa significa perdere il lavoro, mi era successo quando stavo alla Prenatal che da un giorno all' altro ci ha dato un calcio in culo e ci ha messo in mezzo a una strada.
Convivo da sempre anche con l' idea di non avere una pensione dignitosa quando sarò vecchia.
Ma adesso è peggio e forse solo quelli più giovani riescono a guardare avanti con speranza.
Alcune ragazze impiegate nel negozio sono anche studentesse e mi sembra che abbiano reagito meglio di noi che abbiamo venti anni di più, una famiglia, dei figli. Io oltre che a me devo pensare a Rocco e Achille...».
Mentre parla al telefono, in sottofondo si sentono i rumori della quotidianità familiare («Rocco e Achille hanno diciassette e undici anni, non sopportano più le limitazioni, hanno "scapocciato" come si dice qui a Roma », sorride per un attimo Francesca). Poi il racconto torna alle inquietudini di questa nostra nuova vita, con il passato che è lì distante di appena un paio di mesi ma sembra un mondo lontanissimo che non tornerà mai più, e con un futuro indecifrabile. Minaccioso. "Nulla sarà più come prima", ripetono tutti.
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Ma nessuno ancora ha capito come sarà. Cosa sarà. «Non mi vergogno di dire che a me preoccupa anche il presente. Non avrei mai pensato che un giorno per tirare avanti mi avrebbe aiutato mamma pensionata. Lei e papà hanno vissuto anche la guerra, quando non si sapeva cosa mettere a tavola. Ora tocca a noi.
Non ci posso pensare, sembra un incubo». L' ultima battuta è sulla fotografia che Francesca gira al giornale: «Ve la mando subito, sono io che sorrido. Ma mi sembra così strana...