Walter Siti per "Tuttolibri – La Stampa"
Bellissimo di David Miller
Per parlare di "Bellissimo", il libro di David Miller appena uscito da Nottetempo, è giusto partire dalla prefazione di Franco Moretti che occupa da sola circa un terzo delle pagine. È l’autobiografia di un’amicizia, scritta con pudore e affetto, ma anche qualcosa di più: ci informa che Miller, prima di occuparsi di critica cinematografica, si è occupato di narrativa e narratologia - che è esperto di close reading e decostruzione, che è abituato a spaccare il capello in quattro.
Lui e Moretti, pur con esiti diversissimi, hanno in comune la diffidenza nei confronti della bellezza; entrambi resistono al momento in cui è pur necessario farsi incantare dalla forma e cedere all’incantamento. Contro la malafede costitutiva del narratore, entrambi hanno un istinto di rabbia: smascherare è il loro compito, che sia dalla trincea marxista (Moretti) o da quella queer (Miller). Più arrabbiato Miller, più distaccato Moretti, ma la loro è critica politica.
David Miller
"Bellissimo" è un libretto militante, che prende in esame due film sull’omosessualità maschile: "I segreti di Brokeback Mountain" di Ang Lee e "Chiamami col tuo nome" di Luca Guadagnino; due esemplari di quelli che Miller chiama MGM (mainstream gay-themed movies), cioè quei film benintenzionati che invitano alla comprensione e alla tolleranza il pubblico orientato verso la sinistra liberal. Film a favore dei gay che finiscono per tranquillizzare il pubblico «normale», rassicurandolo che a lui tocca solo capire con un sorriso e un po’ di pena; deve solo approvare qualche legge a favore dei diversi, tanto lui resterà uguale.
Miller ha gioco troppo facile col film di Guadagnino: la famiglia borghese protagonista è così insopportabile nei suoi riti di cultura esibita e cialtrona, il seduttore che torna in America per sposarsi è così odioso che il povero ragazzo Elio non può che piangere alla fine (mentre sul suo volto in primo piano già scorrono i titoli di coda), disperato di avere genitori che a forza di voler capire tutto lo condannano alla solitudine senza nemmeno il conforto della ribellione.
brockeback mountain
Il padre, frocia velata come si diceva una volta, mentre a parole gli consiglia «non fare come me» gli mostra con l’esempio un futuro di tristezza e solitudine. Benevolenza soffocante ed edificante senza uno strappo, senza una scena che mostri il desiderio omosessuale nella sua crudezza (tranne una patetica masturbazione con una pesca matura). La bellezza delle inquadrature, Miller ha ragione, sta al posto del desiderio, lo universalizza e lo addomestica; fornisce al pubblico l’alibi del «è girato benissimo, cosa importa quel che si fa sotto le lenzuola?».
i segreti di brokeback mountain ledger gyllenhaal1
Molto paesaggio, molta luna e laghi e rodei anche in Brokeback Mountain; ma qui mi pare che l’acribia impietosa di Miller, insomma la sua tesi politica gli abbia preso la mano. Sono impeccabili la sua analisi degli sguardi attraverso un vetro (il binocolo per Aguirre, la finestra per Alma, lo specchietto retrovisore per Jack) e la conclusione che ne trae, che il vero voyeur, che può giudicare senza sentirsi coinvolto, è il pubblico.
Ma non mi sembra giusto quel che sostiene sul fatto che le scene gay non siano eccitanti: lo sono proprio perché brutali e appena accennate, lo sguardo torbido del marchettaro messicano fa galoppare la fantasia più di tanti dettagli porno.
chiamami col tuo nome 1
La cultura raffinata e antagonista di Miller gli impedisce di vedere i sentimenti semplici dei contesti subalterni (che invece non sono sfuggiti ad Ang Lee), il dolore autentico che sta dietro i silenzi e le goffaggini. Insomma non entra dentro Jack e Ennis del Mar – rifiutando l’identificazione, non si lascia invadere dalla bellezza. È più attento a quel che del film si è chiacchierato a New York che a quel che si è sofferto in Wyoming.
Del Wyoming vede solo il pittoresco, le lotte sul prato e i bagni nudi nel lago, e si secca perché li paragona alla leziosità del «paradiso perduto» di Bear Pond (maschi nudi in uno stagno fotografati da Bruce Weber nel 1990); ma siamo proprio sicuri che quel paradiso, invece che lezioso, non possa essere letto come la voglia di Altrove che scardina, quella sì, ogni diritto gentilmente concesso dal Potere?
CHIAMAMI COL TUO NOME
Il film di Ang Lee è del 2005, quello di Guadagnino del 2017, eppure il libro che li discute ha uno strano sapore vintage; la invisibilità del desiderio omosessuale, quello perturbante e inaddomesticabile, ormai è stata assicurata in altro modo, attraverso l’ideologia del «fluido», per cui è elegante non sentirsi né maschio né femmina. Andare a letto con uno del tuo stesso sesso (quale sesso?) ormai non importa più a nessuno, purché tu lo faccia «da persona civile».
una scena da chiamami col tuo nome
Miller nota che nel 2015 l’approvazione del matrimonio gay negli Usa coincise con la chiusura di Rentboy, un noto sito di escort per omosessuali; ma non dice che il sito è risorto subito dopo cambiando nome in Rentmen. La diversità nella diversità è dura a morire. «Guai a chi è diverso/ essendo egli comune», scriveva Sandro Penna.
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