Alessandro Trocino per il “Corriere della Sera”
le slide della task force di colao
Una coppia riluttante, che convive a distanza da mesi tra silenzi e diffidenze. Essendo congiunti di fatto - uno presidente del Consiglio, l'altro presidente della commissione per il rilancio economico - avrebbero potuto vedersi senza autocertificazioni, ma Vittorio Colao se ne è rimasto a Londra, mentre Giuseppe Conte da Palazzo Chigi si è prima dimenticato di averlo nominato, poi probabilmente pentito e ora si appresta a celebrare un incontro agli Stati generali, senza troppo entusiasmo.
Vittorio Colao a Citta' Impresa 2019
Anche perché critiche e distinguo nei confronti del piano di Colao e soci si sprecano nella maggioranza, tanto che da più parti ci si chiede cosa sia stato chiamato a fare un presidente di peso nella Commissione se poi si ha intenzione di mettere in un cassetto le 102 proposte elaborate in queste settimane. Colao, manager di lungo corso, è stato scelto formalmente da Conte ma in realtà è stato voluto dal Pd e in particolare da Nicola Zingaretti. Intravedendo la fine del periodo più duro del lockdown, i dem avevano bisogno di un uomo autorevole di cui fidarsi per stare in prima linea nella fase del rilancio.
conte casalino
Conte ha accettato a malincuore e, avvertendo il pericolo di un eccessivo protagonismo di Colao, ha pensato di annacquarne il potenziale, affiancandogli una ventina di professori e burocrati. Appena insediata, la commissione è sparita dal radar. Un po' perché ognuno lavorava per conto suo, un po' perché erano tempi nei quali l'emergenza sanitaria dettava le priorità. Le turbolenze in queste settimane non sono mancate.
Anche perché Conte ha sofferto i retroscena che parlavano prima di un governo Draghi, poi di un esecutivo Colao. In molti rimproverano al presidente del Consiglio un eccesso di protagonismo, ricollegandolo a una presunta tentazione di smarcarsi per il futuro, mettendo in piedi quel partito che, secondo i sondaggi, veleggerebbe tra il 12 e il 15 per cento. Colao, da parte sua, non ha gradito certi atteggiamenti nei suoi confronti, come se fosse in cerca di un qualche atto di riconoscenza.
VITTORIO COLAO
E così quando il manager, il 9 giugno, ha messo sul tavolo le 121 pagine del piano elaborato dalla task force, l'entusiasmo a Chigi non era alle stelle. Il lavoro della Commissione è stato ampio e circostanziato, ma in molti lo vedono come un'intromissione. I 5 Stelle non apprezzano molti punti in contrasto con il loro programma: la deroga al decreto dignità, la volontary disclosury vista come una sanatoria, la revisione del codice degli appalti, l'apertura degli esercizi commerciali nei festivi, l'accelerazione del 5G. Sul Fatto Quotidiano Paolo Cacciari parla di «una gigantesca operazione di lobbyng».
Solo che in questo caso Colao è stato chiamato ufficialmente a svolgere questo lavoro. Anche nel Pd, che l'aveva voluto, non mancano i distinguo. Per Graziano Delrio, «Colao non ha studiato la banca dati dell'Anac e la situazione delle opere pubbliche». Per lo Svimez «mancano strategie per il Sud». Andrea Orlando, dietro la diplomazia, mostra il dissenso: «Ci sono alcune cose buone e altre no».
GRAZIANO DELRIO
Conte alla fine ha accettato di chiamare Colao agli Stati generali. Anche perché, spiegano in molti, al premier serve mostrare all'opposizione che il governo ha piani concreti per lo sviluppo. Che poi gli stessi vengano davvero presi in considerazione e attuati, è un'altra questione, tutta da stabilire.
andrea orlando