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    A CHI LO SCETTRO DI BANKITALIA? - NON C’E’ SOLO FABIO PANETTA, ANCHE DANIELE FRANCO SOGNA DI DIVENTARE GOVERNATORE - AL MEF NON SI È MAI TROVATO BENE E ORA TESSE LA SUA TELA PER TORNARE NELLA CASA MADRE (QUANDO DRAGHI L’HA CHIAMATO AL GOVERNO ERA DIRETTORE GENERALE) - MA AL MINISTERO DELL’ECONOMIA C’E’ CHI GLI REMA CONTRO E PUO’ SGANCIARGLI UNA BOMBA TRA I PIEDI CON UN DECRETO CHE METTE LA MORDACCHIA AGLI ENTI PREVIDENZIALI PRIVATI, CHE DETENGONO UN QUARTO DEL CAPITALE SOCIALE DI BANKITALIA…


     
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    Giovanna Predoni per https://www.tag43.it

     

    DANIELE FRANCO E IGNAZIO VISCO DANIELE FRANCO E IGNAZIO VISCO

    Daniele Franco non si trova a suo agio nei ministeriali corridoi di via XX Settembre, tanto che scappa nella natia Belluno ogni volta che può. Perfino Mario Draghi si lamenta dell’insofferenza dell’attuale ministro dell’Economia, a cui non piace fare l’uomo di governo.

     

    Anzi, ogni giorno silenziosamente spera e metodicamente lavora per rientrare alla Banca d’Italia, dov’era direttore generale prima che Draghi lo chiamasse a far parte della sua squadra. Ma questa volta da governatore. Un ingresso dalla porta principale di Palazzo Koch, e per sette lunghi anni. Un sogno. Che sarebbe anche possibile, vista la irripetibile congiunzione astrale della politica italiana: l’esecutivo mal che vada (per Franco) chiuderà i battenti tra marzo e giugno del 2023.

    Daniele Franco Daniele Franco

     

    L’AMBIZIONE DI DIVENTARE GOVERNATORE DI BANKITALIA

    E in questi giorni si parla con insistenza della possibilità che il governatore in carica, Ignazio Visco, accorci di qualche mese il suo mandato, per dare modo proprio a Draghi di individuare il nuovo governatore. Una notizia smentita da via Nazionale con una modalità («il tema non è all’ordine del giorno») che sembra una conferma. D’altra parte, nessuno nel mondo bancario e finanziario vuole rivedere il cinema messo su dall’esecutivo gialloverde in occasione della conferma del direttore generale Luigi Federico Signorini. Meglio pensarci subito, senza aspettare il prossimo parlamento e il prossimo governo.

     

    LA CONCORRENZA DI FABIO PANETTA

    MARIO DRAGHI DANIELE FRANCO MARIO DRAGHI DANIELE FRANCO

    Tuttavia per Franco la strada per via Nazionale è disseminata di bucce di banana. Una è rappresentata dalla concorrenza: Fabio Panetta a fine 2019 lasciò malvolentieri la carica di direttore generale  – e, coincidenza, la cedette proprio a Franco, che proveniva dalla Ragioneria Generale dello Stato – per andare a occupare quella di membro dell’esecutivo della Bce, e lo fece solo dietro la rassicurazione che il successore di Visco sarebbe stato lui.

     

    il banchiere fabio panetta il banchiere fabio panetta

    E ora che la cosa comincia a delinearsi intende mettere all’incasso quel pagherò morale. Ma questa è una buccia di banana che il ministro dell’Economia potrebbe anche riuscire a scansare, non foss’altro perché a Panetta potrebbe venir chiesto di non mollare la posizione a Francoforte propria ora che, con l’inflazione all’8 per cento, la politica monetaria si fa complicata e la signora Lagarde mostra non poche incertezze.

     

    LA NOMENCLATURA DEL MEF GLI REMA CONTRO

    MARIO DRAGHI DANIELE FRANCO MARIO DRAGHI DANIELE FRANCO

    Ma è su un’altra buccia che Franco potrebbe clamorosamente scivolare, lasciandoci le penne. E per colpa proprio di quegli uffici di via XX Settembre in cui non gli garba stare. Un dirigente del Mef, Stefano Cappiello, capo della Direzione V “Regolamentazione e Vigilanza del sistema finanziario, con il supporto dei più alti papaveri del ministero a cominciare dal capo di gabinetto di Franco, il potente Giuseppe Chiné, e in generale dall’ala dirigista della nomenclatura di via XX Settembre, si è incaricato di ridare vita a un decreto attuativo di una norma del 2011.

     

    fabio panetta e christine lagarde fabio panetta e christine lagarde

    Decreto che, sotto la dicitura “disposizioni in materia di investimento delle risorse finanziarie degli enti previdenziali”, regolamenta in modo molto restrittivo l’attività delle Casse di Previdenza, che gestiscono le pensioni di circa 25 categorie professionali per un totale di oltre due milioni di percettori.

     

    Alcuni giornali hanno riportato gli estremi di un’audizione parlamentare del dirigente del Mef, nella quale Cappiello ha preannunciato che, superati un paio di passaggi burocratici, il decreto sarà emanato e costringerà questi enti previdenziali privati (furono privatizzati nel 1994 e nel 2017 la Corte Costituzionale lo confermò con una sentenza) ad essere considerati come pubblici e a investire il loro patrimonio – niente popò di meno che 100 miliardi di euro – solo in titoli di Stato.

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    UNA MINA SULLA STRADA DI FRANCO PER VIA NAZIONALE

    In pratica il decreto imporrebbe una minuziosa descrizione di cosa possono fare (poco) e cosa non possono fare (quasi tutto) le Casse con i soldi dei loro iscritti. Imponendo loro anche di disinvestire tutto ciò che già hanno e che non abbia a che fare con le obbligazioni del debito pubblico.

     

    Naturalmente è subito scattato l’allarme rosso e la rivolta delle Casse, la stessa reazione che in passato aveva indotto molti ministri prima di Franco (praticamente tutti quelli che sono succeduti a Giulio Tremonti titolare del Mef fino al 2011, ovvero alla caduta dell’ultimo governo Berlusconi) a dar loro ragione. Che c’entra questa storia con le ambizioni bankitaliote di Franco?

     

    DANIELE FRANCO DANIELE FRANCO

    Bè, basti dire che quelle stesse Casse detengono più di un quarto del capitale sociale della Banca d’Italia, e che la stessa banca centrale è sempre stata di parere contrario a questo intervento dirigista sul loro patrimonio. Ovvio che se ora Franco firmasse quel decreto per lui sarebbe un harakiri, la fine dei suoi sogni di fare il Governatore. E se viceversa non lo firmasse, si metterebbe in guerra con la struttura del ministero. D’altra parte, finché è stato alla guida della Ragioneria, dal 2013 al 2019, Franco si è ben guardato dal mandare avanti un provvedimento così ambiguo e pieno di insidie.

     

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    IL PESO DEL PARTITO DELLO STATO PADRONE

    Probabile che allora il ministro, non a caso malignamente soprannominato “Alexa” per via della sua proverbiale obbedienza a Draghi, finirà per chiedere lumi al Primo Ministro. Il quale, a quanto risulta, dell’iniziativa del Mef non è al corrente, ma che da uomo di mercato non potrà non ascoltare le richieste di chi maneggia tutto quel denaro, che a Draghi farebbe assai comodo se fosse investito nell’economia reale, a cominciare dalle infrastrutture.

     

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    Ma anche Draghi deve guardarsi da chi, a Palazzo Chigi, milita nel partito dello “Stato padrone”, che è tornato ad essere fortissimo in tutte le principali partite in corso: statalizzazione delle autostrade, Cloud Nazionale, la banda larga, Ilva, Oto Melara, la fusione tra Sia e Nexi, e molto altro. Una degenerazione senile di un’economia che non ha più sprint e il cui prossimo boccone sono le Casse di Previdenza, che tra medici, notai, avvocati, ingegneri, architetti, gestiscono una montagna di denaro.

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