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    “MARCELLONE AVEVA PROBLEMI DI TESTA. ANCHE QUANDO LO FREQUENTAVO NON CI STAVA COL CERVELLO” – ANTONIO MANCINI, L’ACCATTONE DI "ROMANZO CRIMINALE", PARLA DELLA BANDA E DI MARCELLO COLAFIGLI (L'EX BOSS AVEVA RIMESSO IN PIEDI UN SUO IMPERO ALLEANDOSI CON I NUOVI GRUPPI DI NARCOS) – “SI ERA LEGATO MOLTO A GIUSEPPUCCI MA SO PER CERTO CHE LUI NON HA SPARATO PER L'OMICIDIO DE PEDIS. LUI HA IL MITO DI SE STESSO. IO SONO STATO UN COLLABORATORE DI GIUSTIZIA. LUI È DI QUELLI CHE..."


     
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    1 - IL RITORNO DI COLAFIGLI RE DELLA MAGLIANA

    Marco Carta per “la Repubblica - Edizione Roma” - Estratti

     

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    «Quarant'anni me li sono fatti con la faccia mia. Non è che un tizio del genere mi fa perdere la faccia. Mi facesse sapere quando ha i soldi». Onore e rispetto sono un lasciapassare che apre tutte le porte: quello della Banda della Magliana. Uscito dal carcere, grazie alla semilibertà, Marcello Colafigli ha ripreso in mano quel filo che si era interrotto il 26 luglio del 1990. Quel giorno venne fermato in compagnia dell'ex terrorista Nar Fausto Busato.

     

    Con sé aveva documenti falsi e una pistola semiautomatica. Viaggiava a bordo di una Fiat Uno, che venne accerchiata dagli agenti della mobile che spararono una raffica di mitra. Per Colafigli si aprirono le porte del carcere dove è rimasto quasi 30 anni prima che il destino gli offrisse una seconda opportunità, grazie alla complicità di una cooperativa agricola. Con la ritrovata libertà, sulla soglia dei 70 anni, ecco l'ultima scalata criminale.

     

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    Nell'operazione dei carabinieri del nucleo investigativo di via in Selci, che ha portato all'arresto di 28 persone per traffico internazionale di stupefacenti, "Marcellone" è il re, intorno a cui tutto ruota.

     

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    2 – MANCINI: "MARCELLO È UN PURO MA VIVE NEL MITO DI SE STESSO"

    Marco Carta per “la Repubblica - Edizione Roma” - Estratti

     

    «Mi dispiace, speravo che la smettesse. Parafrasando i fratelli Coen: il rock'n'roll non è per vecchi e se non lo capisci è un guaio. I tempi sono cambiati, mettiti i calzettoni perché fa freddo». Sorpreso ma amareggiato allo stesso tempo, di Marcello Colafigli, Antonio Mancini, l'Accattone di Romanzo Criminale, è stato uno dei più cari amici nella Banda della Magliana, prima di diventare collaboratore di giustizia.

    antonio mancini - accattone antonio mancini - accattone

     

    Cosa pensa di questo arresto?

    «Mi dispiace perché ha fatto un sacco di galera. Era un amico a cui ho voluto bene, gli voglio bene ancora. Anche se lui non ricambia, ma non me ne frega niente. Io ho fatto quello che ho fatto con lui. Io con lui c'ho "fatto" i Proietti. Sapevo che era uscito e che lo avevano riarrestato.

     

    Ma questo non me lo aspettavo proprio, perché non è uno scemo. Era uno dei pochi che aveva studiato. Si era diplomato al geometra. Ma è vero che aveva problemi di testa. anche quando lo frequentavo non ci stava col cervello».

     

    Chi è stato Marcello Colafigli?

    «Lui era uno dei massimi nella Banda. Ci teneva molto all'amicizia. Era un fedele alla linea come si usa dire in politica. Prima che morisse si era legato molto a Giuseppucci, come tutti. Quando morì, andò fuori di testa. Con Colafigli vivevamo nella stessa casa a viale Marconi.

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    La notte mi veniva a svegliare perché diceva che dalla televisione gli usciva Franco Giuseppucci che lo guardava amareggiato perché non eravamo riusciti ad ammazzare chi lo aveva ammazzato. Lui stava male. Veniva a svegliarmi sudato, mentre ero con la mia compagna. Bussava alla porta della mia camera e dovevo svegliarmi e spiegargli che non era colpa nostra se non avevamo ancora ucciso i Proietti. Io non ce la facevo più, non riuscivo più a dormire. La sua fissa era vendicare Giuseppucci».

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    Accadrà il 18 marzo 1981, con l'agguato a Maurizio Proietti, detto Pescetto, e suo fratello Mario.

    «Quando ci hanno arrestato mentre scendavamo le scale io pregavo che Proietti si salvasse. Mentre Marcello non faceva altro che chiedere alle guardie: "È morto Pescetto?". Questo era Marcello».

     

    Eravate amici, però anche con le sue rivelazioni venne accusato di essere il mandante dell'omicidio di "Renatino" De Pedis.

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    «Ora non ricordo bene. Ma so per certo che lui non ha sparato per quell'omicidio, non ha manovrato la pistola. Quando ci fu l'omicidio di De Pedis, Colafigli venne sotto il carcere di Ancona per darmi la notizia».

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    Perché tutti contro De Pedis?

    «Era diventato l'imprenditore che si voleva ripulire dal passato. Noi eravamo lo schizzo sulla camicia, la macchia sul suo viso pulito. Eravamo il suo passato che poteva sempre tornare a galla. Quindi pensò che l'unica maniera per liberarsi del suo passato fosse farci fuori man mano che uscivamo dal carcere».

     

    Colafigli aveva ancora il mito della Banda?

    «Lui ha il mito di se stesso. Nella serie, che non ho visto, mi dicono che c'è Bufalo, che sarebbe lui, che si incolla la bara di Giuseppucci per tutta Roma. Ti mandano fuori dal cervello queste cose quando le guardi».

     

    Da quanto non lo vedeva?

    «Da tanto. Io sono stato un collaboratore di giustizia. Lui è di quelli che non si piegano. Non potevano esserci rapporti tra noi. Ci siamo parlati l'ultima volta quando ancora facevamo i maxi processi da imputati. Ci scrivevamo spesso, lui stava sempre al manicomio, perché aveva comunque problemi. Mi ha fatto male questa notizia del suo arresto. Basta, basta, basta".

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