1 - MORIRE DI LAVORO
Massimo Gramellini per il "Corriere della Sera"
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Sono stanca morta, scriveva al fidanzato l'infermiera appena smontata dal secondo turno di notte consecutivo (dieci ore e dieci pazienti da accudire) prima di appisolarsi al volante e interrompere la sua giovane vita all'alba contro un palo della luce. Non è morta sul lavoro, è morta di lavoro.
E noi, quasi obbedissimo a un riflesso condizionato, siamo alla ricerca di un capro espiatorio che plachi i morsi dell'ansia provocati da questa storia così ordinariamente assurda. Un primario bullo a cui intestare quella turnazione feroce - mattina, pomeriggio, pomeriggio, notte, notte - che era la settimana tipo di Sara Sorge.
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Un paziente aggressivo a cui imputare i suoi nervi stremati. Un pirata della strada responsabile dell'incidente. Niente. Non ci sarà nessuna inchiesta perché non c'è nessun colpevole. O meglio, uno c'è, enorme e inafferrabile, ed è persino stucchevole continuare a chiamarlo «il sistema».
La storia di Sara è purtroppo identica a quella dei suoi colleghi e di migliaia di altri giovani e adulti che la pandemia ha catapultato in prima linea, nel suo caso direttamente dall'università, costretti a turni massacranti dalla mancanza di personale, di fondi adeguati e di una strategia alternativa all'ammassamento dei pazienti negli ospedali e degli anziani nelle case di riposo.
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Ma più in generale si direbbe che il lavoro, ogni genere di lavoro, abbia ormai smarrito la logica della via di mezzo. O non lavori per nulla oppure sgobbi, e talvolta muori, come un cavallo da tiro.
2 - "DOPPI TURNI E TROPPI PAZIENTI SARA È MORTA DI STANCHEZZA" COSA È SUCCESSO
Valeria D'Autilia per "la Stampa"
«All'inizio, durante un turno di notte, aveva avuto un attacco di panico. Era sola con circa 28 pazienti». Il ricordo di quei momenti in corsia attraversa i colleghi di Sara Viva Sorge, l'infermiera brindisina morta martedì scorso in un incidente stradale all'alba, dopo il lavoro. «Un ausiliario - raccontano - è corso ad abbracciarla e poi, per tranquillizzarla, ha chiamato l'infermiera che era in un altro reparto».
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Parlare con loro non è facile. Sono alcuni dipendenti della struttura sanitaria Fondazione San Raffaele di Ceglie Messapica, lì dove la giovane era stata assunta da tre settimane. Non ha fatto neanche in tempo a prendere il suo primo stipendio, a festeggiare l'indipendenza tanto attesa. Tra pochi giorni avrebbe finito il mese di lavoro e sarebbe stato anche il suo 27esimo compleanno.
Aveva preso servizio il 20 gennaio, a quanto risulterebbe già con un doppio turno: 14 ore di fila, mattina e pomeriggio. Alle persone care, in più occasioni, aveva raccontato quei ritmi insostenibili.
L'ultimo messaggio alle 6 del mattino, dopo due notti di seguito: «Sono stanca morta» aveva scritto al fidanzato Andrea prima di mettersi in viaggio per tornare a casa, a San Vito dei Normanni. Poi il silenzio e lo schianto contro un palo dell'illuminazione, mentre era alla guida della sua auto.
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«Sul posto - racconta chi la conosceva- non c'erano segni di frenata. Questo fa pensare a un colpo di sonno per la stanchezza e ci lascia sgomenti». Ieri mattina l'assemblea dei dipendenti della clinica di riabilitazione è andata deserta. Hanno partecipato in 9, a fronte di circa 150 unità. Ma il sindacato non intende mollare, ritiene che non si tratti soltanto di un incidente in itinere ma occorra approfondire le concause.
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E fa sapere fa sapere di avere più volte denunciato il sovraccarico e gli orari pesanti: «Abbiamo visto la turnistica di gennaio e febbraio. Per il personale le due notti di seguito non erano una novità, così come fare anche 17 ore, dal pomeriggio all'alba del giorno dopo». Nell'ultimo periodo c'erano stati alcuni tavoli di concertazione. «Proprio per superare questa carenza di organico - fa sapere Chiara Cleopazzo della Fp Cgil Brindisi - l'azienda stava iniziando ad assumere.
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È chiaro però che, se dopo una settimana molto impegnativa mi metti due notti consecutive, mi sovraesponi ad un carico maggiore. I lavoratori h24 hanno diritto a una rotazione equa per garantire il recupero. La doppia notte si fa quando si è in emergenza. Ma con questa pandemia sono anni che viviamo in emergenza in questo settore». Una collega, che chiede l'anonimato, commenta: «Ritmi inumani, soprattutto per chi è alle prime armi e non ha neanche il potere contrattuale di dire basta».
Racconta che molti infermieri sono andati via lasciando il contratto a tempo indeterminato per uno, a tempo, nel settore pubblico. «Di solito gli ultimi arrivati- dice un altro- fanno i tappabuchi e questo accade dappertutto, ma non mi puoi lasciare di notte una piccina da sola». La carenza di organici in ambito sanitario è diffusa un po' ovunque. E, in questo momento, ad essere in particolare sofferenza sono proprio le strutture private. «Le residenze sanitarie sono in ginocchio.
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Ci arrivano continue richieste di segnalare professionisti disoccupati e persino pensionati che siano ancora disponibili sul campo». A parlare è Antonio Scarpa, presidente dell'ordine degli Infermieri di Brindisi: «La pandemia ha stravolto tutte le regole e la maggioranza è attratta dal pubblico impiego dove molti sono entrati con una semplice domanda di pronta disponibilità. Per questo c'è stato un esodo e i privati si sono svuotati». Scarpa aveva incontrato Sara qualche tempo fa.
Dopo gli anni da universitaria a Roma, da qualche tempo la ragazza era tornata nella sua città d'origine, San Vito dei Normanni. Aveva conosciuto Andrea e stavano facendo progetti per il futuro. Voleva essere autonoma. E così, accompagnata dalla mamma, si era iscritta all'ordine e chiedeva quali fossero le realtà provinciali in cerca di personale. «Una ragazza solare, non vedeva l'ora di iniziare. Adesso siamo sconvolti» dice Scarpa che fa sapere di non aver mai ricevuto segnalazioni di carenza d'organico nella Fondazione San Raffaele. La stessa clinica di riabilitazione si stringe attorno alla famiglia «nella consapevolezza che nessuno, purtroppo, potrà mai compensare il dolore di fronte ad una tragedia tanto grande quanto inaccettabile».
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Fresca di laurea, Sara era alla sua prima esperienza in quel settore. Dopo l'abilitazione con 110 e lode, era desiderosa di donarsi agli altri. Per lei e per tutti gli infermieri italiani, il sindacato Nursing Up ha chiesto un minuto di silenzio nei reparti per protestare contro orari massacranti. «Si può arrivare a perdere la vita per le conseguenze psicofisiche di una professione la cui valorizzazione è ridotta ai minimi termini?». Una domanda che, da queste parti, tormenta in molti, mentre indossano il camice e si preparano a un altro turno.
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