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    NON FARE L’INDIANO, SEI GAY – LA BATTAGLIA PER I DIRITTI DEGLI OMOSESSUALI IN INDIA DEL PRINCIPE MANVENDRA SINGH GOHIL, DISEREDATO DALLA FAMIGLIA DOPO IL COMING OUT, BULLIZZATO E RIPUDIATO DAI SUDDITI: OGGI APRE LE PORTE DEL SUO PALAZZO AGLI OMOSESSUALI SBATTUTI IN STRADA DAI GENITORI – IL MATRIMONIO CON UNA DONNA CHE NON È RIUSCITO A SFIORARE E L’INCONTRO CON IL FUTURO MARITO NEL 2012: “ I GENITORI CONTINUANO A FORZARE I FIGLI GAY A SPOSARSI, MINACCIANDO DI SUICIDARSI…”


     
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    Francesca Pierantozzi per "Il Messaggero"

     

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    Quando il principe Manvendra Singh Gohil, futuro maharaja di Rajpipla, ultimo della stirpe guerriera dei Rajiput, da dieci secoli signori del Rajasthan, fece il suo coming out nel 2006, fu stupito lui per primo. Fino a qualche tempo prima non sapeva nemmeno che fosse possibile amare una persona dello stesso sesso. Dell'omosessualità sapeva solo che era un reato, ancora oggi mal tollerato in India.

     

    In realtà, Manvendra non era nemmeno sicuro che esistesse sul serio, l'amore. Chiamava mamma la balia, perché sua madre figlia del maharajah di Jaisalmer, si faceva vedere molto di rado. Con Chandrika Kumari, principessa anche lei, sposata con matrimonio combinato nel 91, la storia era finita dopo quindici mesi senza che si fossero mai sfiorati.

     

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    Da allora Manvendra ha compiuto un lungo cammino, che lo ha portato a essere una star della lotta per i diritti degli omosessuali, amico di Carla Bruni e Nicolas Sarkozy, ospite per ben tre volte del planetario salotto di Oprah Winfrey, osannato in Al passo con i Kardashian, creatore di un fondo, il Lakshya Trust, per sostenere l'uguaglianza di genere e soprattutto proteggere gli omosessuali in India.

     

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    OSTRACISMO In questi anni è stato anche bandito, diseredato dai suoi (sua madre comprò addirittura una pagina su un giornale per dire quando disapprovasse il tutto), ripudiato dai sudditi, la sua immagine bruciata. Era già una vergogna che fosse mancino, figuriamoci gay. Poi è cominciata la redenzione, e anche la felicità. Nel 2012 ha incontrato il futuro marito, l'americano deAndre Duke Richardson, stilista.

     

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    E questa primavera, con il mondo confinato per il Covid, Manvendra e il suo duca hanno aperto le porte del loro palazzo, una costruzione tra le piantagioni di banane e cotone nello stato del Gujarat, 400 chilometri a sud dell'antica Bombay. Per lui, primo essere di sangue reale ad aver dichiarato apertamente la propria omosessualità così almeno assicurano le cronache l'obiettivo è far crollare il muro di pregiudizi e discriminazioni che ancora imprigionano i gay in India.

     

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    Il suo palazzo nel Gujarat dovrà servire a dare riparo agli omosessuali ancora banditi dalla società: «Nessuno meglio di me sa quanto sia importante trovare un posto sicuro dove vivere dopo aver dichiarato la propria omosessualità».

     

    IL RISULTATO Pochi giorni fa è stato lui, accanto a Duke, l'ospite d'onore del Global Pride che si è svolto interamente via internet. I due hanno raccontato la loro storia, un segno di apertura in un mondo che si chiude per proteggersi. «Alla fine mio padre, il maharaja, ha incontrato deAndre ha raccontato Manvendra perfino i miei sono riusciti, almeno in parte, ad accettarmi».

     

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    Nonostante la fama internazionale, gli amici altolocati e il sangue blu, trovare soldi per sostenere la parità di genere e aiutare la causa omosessuale continua a essere difficile in India, anche per un maharajah. «I fondi sono pochi, ma gli omosessuali in India sono tanti!» dice col tono sempre misurato, Manvendra.

     

    Secondo le organizzazioni internazionali, sono almeno due milioni e mezzo i ragazzi (per le ragazze non esistono cifre) a subire gravi discriminazioni in India. «Fare coming out è difficilissimo, solo una minoranza osa dice Manvendra i genitori continuano a forzare i figli gay a sposarsi con persone del sesso opposto, minacciando di suicidarsi.

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    O li cacciano di casa» Nel palazzo di pietra di Gujarat, da sempre della stirpe dei Rajpipla, i fasti sono stati cancellati dal tempo. Manvendra spera di riaprire anche questa reggia ai gay e alla tolleranza. All'ingresso, c'è una foto della sua famiglia, con lui adolescente: «Mio padre indossa l'abito della caccia alla tigre, mia madre una tenuta di gala, quello sono io, con la mia tunica rosa. Per questo tutti mi chiamavano the pink prince, il principe rosa», dice, finalmente ridendo.

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