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    NON FATE I PISTOLA – IL LIBRO ANTI-ARMI SCRITTO DA LUCA DI BARTOLOMEI, FIGLIO DI AGOSTINO, L’EX CAPITANO DELLA ROMA CHE SI SPARO’ NEL 1994 – “L’ITALIA PIU’ INSICURA? NON E’ VERO.  LA PERCENTUALE DI OMICIDI E’ TRA LE PIU’ BASSE D’EUROPA”. E ALLORA PERCHE' 4 ITALIANI SU 10 AFFERMANO DI SENTIRSI PIU’ SICURI CON UNA PISTOLA IN CASA? ENRICO LETTA: "E’ UN LIBRO CHE FARA’ DISCUTERE. LUCA DI BARTOLOMEI E’ LA NOSTRA GRETA…”


     
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    Francesco Persili per Dagospia

    “Quando mio padre Agostino si è sparato, l’ultima persona ad averlo visto vivo sono stato io”. A Palazzo Merulana, Luca Di Bartolomei, figlio di Ago, ex capitano della Roma campione d’Italia, parlando del suo libro (Dritto al cuore, BaldiniCastoldi), non usa mezzi termini: “Più armi in circolazione significano solo più sangue. Nelle occasioni in cui si parla di ampliare le maglie della detenzione e del porto d’armi con la scusa della legittima difesa, io ripenso sempre a quel bagliore, quella canna lucida che dopo il suicidio di mio padre ho rivisto diverse volte. Quel dolore vissuto 25 anni fa da figlio non lo vorrei rivivere da padre”.

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    Snocciola dati e statistiche per demolire “il grande inganno della comunicazione” sul fatto che l’Italia sia un Paese insicuro. "La percentuale di omicidi è tra le più basse d’Europa. Il numero medio dei delitti avvenuti tra gli anni ‘70 e il primo quinquennio degli Ottanta è stato di 2014 persone uccise ogni anno. Nel 2016 il numero è sceso a 397 e sono stati 319 tra il 31 luglio 2017 e il 1°agosto 2018”. I reati che creano maggiore allarme sociale sono in calo, E l’aumento degli immigrati non ha portato con sé alcun incremento di reati. E allora perché siamo sempre più impauriti? C’è uno spread tra il dato della "percezione" e quello dei "fatti". "4 italiani su 10 affermano di sentirsi più sicuri con una pistola in casa”, Luca Di Bartolomei, che non si definisce “un pacifista”, riflette sulla natura “non neutra” delle armi (“parafrasando Cechov: se c’è un fucile appeso al muro, presto o tardi sparerà”), rimarca il numero crescente di suicidi e femminicidi e spiega nel libro, a proposito di giustizia fai da te, che la nostra Costituzione non prevede alcun “diritto alla difesa personale” o “alcun diritto ad armarsi” diversamente da quanto previsto, ad esempio, negli Stati Uniti d’America dove il famoso secondo emendamento garantisce il diritto a possedere un’arma”.

     

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    Marco Damilano, direttore de 'L’Espresso' e obiettore di coscienza, ricorda il caso Stacchio, il benzinaio che uccise un rapinatore, la cui vicenda ha contribuito al dibattito sulla riforma della legittima difesa presentata dalla Lega. Il rischio è quello messo in risalto da Giorgio Beretta, analista dell’Opal: “Modificare la legge sulla legittima difesa senza contestualmente restringere le regole e incrementare i controlli sulla detenzione di armi potrebbe comportare un pericolo maggiore per la sicurezza comune di quello che si intenderebbe prevenire raggiungendo una cifra stimata da Censis prossima ai 2700 morti”. Garantire la sicurezza è un dovere dello Stato attraverso le forze dell’ordine. Luca Di Bartolomei si unisce al plauso nei confronti dei carabinieri autori del blitz per liberare i 51 bambini sequestrati sul bus: “Abbiamo fiducia nell’Arma e nella Polizia e poi vogliamo le armi per difenderci da soli: è qualcosa di illogico”. Per Enrico Letta, la colpa maggiore della classi dirigenti consiste nell’aver “sottovalutato il messaggio dirompente” di Trump che “ha aperto la stagione della paura” cavalcando temi come la diffusione dell’insicurezza e il diritto ad armarsi. Pistole, sicurezza, legittima difesa. “Luca Di Bartolomei è la nostra Greta. Il suo libro farà molto discutere e la discussione su questi temi farà bene al nostro Paese”.

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    DRITTO AL CUORE

     

    Giovanni Bianconi per www.corriere.it

    C’è una pistola che ha sparato un colpo soltanto, venticinque anni fa, ma continua a tenere in ostaggio un uomo. Il quale non sa dire se riuscirà mai a liberarsi, ma sa che non vuole restare prigioniero di altre paure e di altre armi. Quell’uomo è Luca Di Bartolomei, figlio di Agostino, ex calciatore ed ex capitano della Roma campione d’Italia e vicecampione d’Europa, che la mattina del 30 maggio 1994 si suicidò con la sua Smith & Wesson calibro 38. Luca, che all’epoca era un bambino di 11 anni, fu l’ultimo a vederlo vivo; oggi è un affermato analista aziendale, oltre che un appassionato osservatore di fenomeni sociali, e nella premessa al libro-pamphlet Dritto al cuore (Baldini+Castoldi, pagg. 108, euro 16) spiega: «Nelle occasioni in cui si parla, come puntualmente avviene da molti anni, di ampliare le maglie della detenzione e del porto d’armi con la scusa della legittima difesa, io ripenso sempre a quel bagliore, la canna lucida che dopo il suicidio di mio padre ho rivisto diverse volte. Di quell’arma non abbiamo mai avuto né la forza né il coraggio di disfarcene».

     

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    Divenuto a sua volta padre, Luca ha iniziato a pensare ai suoi bambini, alle incertezze dentro le quali lui stesso sta crescendo insieme a loro (dal lavoro ormai precario quasi per definizione, al traballante destino del Pianeta), e non vuole aggiungerne altre. Peraltro basate su dati falsi. Che l’Italia sia un Paese insicuro è una bugia, lo dicono le statistiche, a cominciare dalla percentuale di omicidi tra le più basse d’Europa. E l’aumento degli immigrati, per citare un altro capitolo dei timori collettivi, non ha portato con sé alcun incremento di reati, a dispetto di «un luogo comune molto diffuso e alimentato da una certa politica che parte da destra ma ha fatto proseliti anche a sinistra».

     

    Eppure si registra, o si diffonde a grande velocità come fosse un dato acquisito e incontrovertibile, una generale percezione d’insicurezza che spinge le persone ad armarsi. Se però un uomo con la pistola è vittima di una percezione sbagliata, i danni che ne derivano possono essere incalcolabili. E i pericoli sono destinati ad aumentare se di fronte all’incremento di eventi gravi e folli, la reazione dei governanti non è di invertire la rotta invitando a una maggiore cautela nell’uso delle armi, bensì di aumentarne la diffusione; magari ipotizzando, come Trump, di addestrare gli insegnanti a contrastare le stragi nei campus. Di Bartolomei cita l’ultimo rapporto del Censis sulle condizioni della società italiana per sostenere che «si sta verificando una sorta di “sovranismo psichico” che spinge gli italiani oltre il rancore e in direzione di una cattiveria diffusa, che sorge principalmente dalla paura di perdere e di perdersi». Viene anche da lì la spinta ad armarsi, perché non ci si fida della difesa affidata allo Stato e alle sue strutture: l’uomo con la pistola si sente più sicuro.

     

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    Ma questo non è un fattore che produce tranquillità, è un pericolo: «Più armi in circolazione significano solo più sangue», senza che ciò abbassi il tasso di criminalità. Sempre le statistiche dicono che è del tutto «irrazionale» la mancanza di fiducia nei confronti delle forze dell’ordine come garanti della sicurezza collettiva; una deriva che rischia di mettere in discussione uno dei capisaldi della convivenza civile, quello secondo cui solo dei «soggetti terzi» rispetto alle parti in causa possono usare la forza e infliggere condanne. «Se abdicheremo a questi principi, se ognuno di noi, da armato, preferirà la percezione personale all’oggettività del reale e considererà superiore a quella di un tribunale la propria idea di giustizia, questo nel prossimo futuro rischierà di non essere un Paese per vecchi», avverte il figlio dell’ex campione che un giorno, a 39 anni d’età, decise di sparare a sé stesso con la calibro 38 che teneva in casa per difendersi dagli altri. Con un proiettile puntato dritto al cuore, come il libro scritto oggi dal bambino di venticinque anni fa.

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