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    “IL 5 LUGLIO STARÒ MALISSIMO, NON HO ANCORA SMALTITO LA PERDITA DI RAFFAELLA” - A UN ANNO DALLA SUA SCOMPARSA, LA CARRA' VIENE RICORDATA SU "OGGI" DALLA FIGLIA DI GIANNI BONCOMPAGNI, BARBARA: “ERO UNA BAMBINA QUANDO ENTRO’ NEL MIO MONDO, MI DAVA CONSIGLI DA DONNA LIBERA. DA LEI HO IMPARATO LA DISCIPLINA” - E RICORDA COME RAFFA SCELSE DI ISOLARSI QUANDO SI AMMALÒ: “NON VOLEVA ARRECARE DOLORE. COSÌ SI È PRIVATA DEL NOSTRO AMORE, DELLA VICINANZA. HA FATTO ANCORA UNA VOLTA UNA SCELTA MILITARE”


     
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    Michela Auriti per Oggi

     

    carra barbara boncompagni carra barbara boncompagni

    Credo che il 5 luglio starò malissimo, non ho ancora smaltito la perdita. È successo tutto così all’improvviso. Mi diceva: “Pensa Barbi, finalmente sono in pensione e posso fare quello che mi piace".

     

    Aveva visitato gli Uffizi con gli occhi pieni di meraviglia, cose nuove per lei che nel corso di 5o anni era stata Raffaella Carrà. Fedele a se stessa e al suo lavoro. Disciplinata». Barbara Boncompagni, autrice televisiva, figlia di quel Gianni geniale che per oltre un decennio fu legato alla nostra artista più completa, racconta un anno senza di lei.

     

    Era bambina quando Raffaella entrò nella sua vita e il rapporto fu sempre di complice vicinanza. Abitavano nello stesso comprensorio romano, via Nemea 21, dove stavano anche papà Gianni e Sergio Japino, il compagno di una vita. Tutti vicini in quella famiglia atipica e piena d'amore che la Carrà era stata capace di creare.

     

    COPERTINA OGGI 23-30 GIUGNO 2022 COPERTINA OGGI 23-30 GIUGNO 2022

    Barbara, cosa le manca di lei?

    «Mi manca Raff, come veniva chiamata in casa. Giocavamo a burraco, la sua passione. Le carte rappresentavano l'unico mondo che non poteva dominare, essendo un generale prima con se stessa e poi con gli altri. Spizzava il mazzetto e diceva: "Vediamo un po' cosa c'è qui?".

     

    Allora ho pensato di ricordarla con una serata di gioco, tutti gli amici intorno alla piscina del comprensorio. Titolo: Carràmba! Che burraco. Lei ne sarebbe contentissima. Detestava le celebrazioni.

     

    Una volta, in casa di mio padre che era già malato (Boncompagni è scomparso nel 2017, ndr), mi disse: "Barbi, quando muoio voglio sparire nel nulla in dieci minuti". E io: "Ma lo sai che non è possibile, non puoi tradire il tuo pubblico!". Questo 5 luglio, fosse per lei, sarebbe meglio se passasse in sordina».

     

    Una piazza a Madrid, presto una a Roma, gli studi di via Teulada intitolati a lei. Come reagirebbe a queste dimostrazioni pubbliche di affetto?

    raffaella carrà barbara e gianni boncompagni raffaella carrà barbara e gianni boncompagni

    «Si farebbe una delle sue risatine... Non ha mai frequentato politici, mai fatto cene "utili". Era un'artigiana del suo lavoro. Quando pronunciavo la parola "artista" lei diceva: "No, io sono un'ottimizzatrice". Aveva ricevuto due prestigiose onorificenze in Spagna, nessuna in Italia.

     

    Così con il mio amico Fabio Canino pensammo a una raccolta firme perché lei diventasse cavaliere o commendatore. Lo venne a sapere e mi chiamò: "Barbi ti prego no! Primo: non me ne frega niente. Secondo: si vede che doveva andare così". Raffaella era molto fatalista».

     

    Cosa vi univa tanto profondamente?

    «Avevo 5 anni quando arrivò nella mia vita. Con le mie due sorelle abitavamo assieme alla governante e, sullo stesso pianerottolo, c'erano papà e Raffaella con l'altra governante. Ero la più piccola e subito tra noi scoppiò una chimica pazzesca. Ci riconosce-vamo affini, due guerriere con esperienze di vita simili: entrambe figlie di genitori separati, lei con un padre lontano e io con una figura materna poco presente. Di fatto sono cresciuta con papà».

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    Si può dire che sia stata per lei una mamma, non avendo avuto figli ma tanti bambini adottati a distanza?

    «Non proprio, era molto concentrata sulla carriera. Però è stata un grande punto di riferimento. Raff era una donna priva di pregiudizi, libera. Mi capiva. Avevamo 20 anni differenza e da lei ho imparato la disciplina. Quando, dopo le medie, sono andata al liceo americano, piangevo tutti i giorni perché non capivo nulla. Papà non si capacitava perché mi disperassi.

     

    CASA RAFFAELLA CARRA' CASA RAFFAELLA CARRA'

    Allora andavo da lei "Raff aiutami, devo fare storia". E lei mi dava una mano... A 13 anni tornai a casa dicendo che non volevo più vedere mia madre: mi invitò a riflettere senza giudicare e poi, con papà, cercava di distrarmi spingendomi a uscire assieme a loro. Partiva per lunghe tournée in Sudamerica, che duravano anche sette-otto mesi. Piangeva. Io le scrivevo lunghe lettere che poi lei leggeva sull'aereo. Mio padre, il pigrone, mica l'ac-compagnava: dell'aereo aveva paura».

     

    Le è capitato di viaggiare con Raffaella?

    «Verso i 12 anni l'ho seguita in tournée, dormiva-mo insieme. Si andava in macchina con l'autista, arrivavamo nelle piazze, lei faceva le prove. Era una specie di musical messo in piedi da mio padre e Gino Landi.

     

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    Sembrava uno spettacolo di Broadway, una roba pazzesca con cambi d'abito, lustrini e paillettes. Raffaella perdeva 2 chili a sera... I weekend incontravo mia madre, che era un'intellettuale svedese e ci portava nella sezione del Pci o a vedere film impegnatissimi. Sono felice di aver conosciuto entrambi i mondi, la mia testa è molto aperta. Ma tornare a casa e guardare Raff che provava il Tuca Tuca era il massimo per una ragazzina!».

     

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    Come si svolgevano le serate in casa Carrà?

    «C'erano le maestranze, i grandi che lavoravano con lei. Il regista Gino Landi, i costumisti Colabucci e Sabatelli. Arrivavano Arbore con la Melato e mio padre, che aveva sempre la cinepresa in mano, riprendeva quei momenti. Ai tempi di Milleluci, si apparecchiava a cena per Mina. Mangiava insalata con l'aceto perché, come Raffaella, stava a dieta. Quando lei lavorava era molto disciplinata, ma al di fuori amava la buona tavola. Condividevamo an-che quello. Io sono una brava cuoca e le preparavo manicaretti, così come mio figlio: è chef e andava a improvvisare delle cenette a casa sua».

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    Raffaella nel privato, che donna era?

    «Non aveva un'altra faccia. Era una delle poche ar-tiste che non ti deludono se le conosci. In tournèe mi resi conto che apparteneva alla gente e la gente andava in delirio per lei. A quel punto ha fatto una scelta ascetica, decidendo di non vivere in pubblico. Non andava al cinema né al ristorante, o comunque ci andava poco. Non era mai scortese e le sembrava impensabile girare con le guardie del corpo. Così viveva nascosta: la gente le faceva paura».

     

    Mi dica della coppia Boncompagni-Carrà.

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    «Quando lui si ammalò, fui io a dare la notizia a Raff. Piangevamo insieme e lei diceva: "Barbi, e adesso come facciamo?". Lo sentiva un po' come una figura paterna, lui aveva dieci anni di più. In coppia mi sembravano buffi. Mio padre era il creativo però molto pigro. Lanciava idee che lei raccoglieva e sviluppava. La loro storia è finita per la lontananza ed era giusto che Raffaella avesse un compagno che condividesse tutto con lei. Lo ha trovato in Sergio (Tapino, ndr), con cui ha vissuto per 4o anni: lui le è sempre rimasto ac- canto. Raff aveva questo dono: quando il rapporto terminava, lo sublimava. Continuavano a lavorare insieme, co-me successe con mio padre ai tempi di Pronto Raffaella?. E com'è successo con Sergio: il lavoro era il collante, sempre».

     

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    Poteva andarla a trovare quando si è ammalata?

    «Purtroppo no. Penso che lei non voles-se arrecare dolore. Così si è privata del nostro amore, della vicinanza. Ha fatto ancora una volta una scelta militare».

     

    Che cosa le piaceva fare, lavoro a parte?

    «Godersi la vita. Viaggiare - lo adorava! - giocare a carte, vedere gli amici, pochissimi dello spet-tacolo. Andava nell'amato rifugio dell'Argentario. Era rimasta una persona semplice, in tutti i sensi. Aveva una casettina a Madrid. Diceva: "In Italia so-no la Carrà, lì mi chiamano Rafaela". E le piaceva molto di più».

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