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    “NON SONO MATTO” – LA BATTAGLIA DEL CESTISTA ALESSANDRO GENTILE CONTRO LA DEPRESSIONE – “SONO IMPAZZITO CON IL BUIO DENTRO, NASCONDEVO IL DISAGIO, STAVO PEGGIO. MI SENTIVO FUORI DAL MONDO. MI SONO RIVOLTO A UNO PSICHIATRA, SUCCESSIVAMENTE A UNA PSICOLOGA. LA TERAPIA MI HA SALVATO” - A MILANO L'APICE DELLA CARRIERA, CON L'NBA A TIRO. POI LA SVOLTA IN NEGATIVO: “TANTE VICENDE, ANCHE PERSONALI. HO COMMESSO MOLTI ERRORI. LA MIA VITA È MOLTO PIÙ GRANDE DELLA PALLACANESTRO. LE CRITICHE? NON LE LEGGO NEANCHE PIU’"


     
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    FLAVIO VANETTI per il Corriere della Sera

     

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    Ha scontato la squalifica, Varese lo riavrà in campo da domenica. E per un gioco del destino, Alessandro Gentile riprenderà in quella Trento che tra 2019 e 2020 era stata la sua precedente e ultima squadra italiana. Ma l'aspetto sportivo di Ale - andato sfilacciandosi dopo lo scudetto 2014 con Milano e ora alle prese con la penuria di risultati che sta vivendo il nuovo club - è secondario rispetto a qualcosa di più delicato: la battaglia contro la depressione. Gentile non ha avuto problemi a renderla pubblica con un tweet nel quale ha pure precisato: «Ma io non sono matto».

     

    Ora ha accettato di parlarne. Che cosa è il disagio che prova e come lo affronta?

    «L'argomento è delicato, ma è importante. La salute mentale è fondamentale, ma penso anche che sia sottovalutata, soprattutto di questi tempi. La gente si sente isolata e sola, ma forse si vergogna a dirlo. Dato che vivo situazioni simili, volevo dare un aiuto a chi soffre di certi disturbi ed è in difficoltà a raccontarlo».

     

    «Non sono matto», ha scritto nel tweet. Perché ci ha tenuto a precisarlo?

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    «Perché quando capitano certe cose è come se sentissi che stai impazzendo. Ti senti fuori luogo, fuori dal mondo: sono sensazioni brutte e difficili da spiegare. Un altro aspetto complicato è appunto il fatto che è difficile parlarne, magari con persone che non hanno la minima idea di che cosa significhi vivere un'esperienza così. Per questo motivo è giusto chiedere aiuto a chi è competente. Non bisogna vergognarsi di farlo, ecco il mio messaggio».

     

    Quando ha cominciato a capire di avere un problema?

    «Ho questo disagio da tempo, ma l'ho tenuto nascosto. È diventato sempre più difficile da controllare, finché sono arrivato a un punto in cui non ce la facevo più a gestirlo. È successo l'anno scorso dopo il Covid: la paura e l'isolamento hanno creato brutti scenari».

     

    Si è fatto aiutare? E con quali regole o terapie?

    «Innanzitutto la regola è che... non ci sono regole. All'inizio mi hanno aiutato i genitori e mio fratello Stefano (che gioca a Sassari, ndr ), poi mi sono rivolto a uno psichiatra, successivamente a una psicologa. Con lei continuo a lavorare, condividendo paure e sofferenze: ho capito che noi esseri umani non siamo delle macchine».

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    C'entra anche il momento difficile del basket a Varese?

    «No, la mia vita è molto più grande della pallacanestro ed è giusto dare il peso corretto alle cose. L'esistenza non si riduce a quello che succede in campo, nonostante il basket sia la mia passione e il mio lavoro e influenzi gli stati d'animo».

     

    Può spiegare a che punto è della battaglia?

    «Non entro nei dettagli. Ma sottolineo che non è una battaglia che si vince o si perde: si impara al massimo a gestirla, convivendo con queste sensazioni per accettarle e superarle».

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    Non aiuta nemmeno l'ambiente di una nuova società?

    «Di sicuro non cerco aiuto in questo contesto».

    Però sapere che è in una piazza che l'ha accolta con entusiasmo non dà forse sollievo?

    «Premesso che a Varese mi trovo bene, anche perché con Adriano Vertermati, l'allenatore, ho un rapporto di amicizia che esula dal basket, dico che le stesse piazze che ti accolgono nel migliore dei modi sono anche le prime pronte a voltarti le spalle non appena cominciano le difficoltà. Ma questa altalena di emozioni non mi condiziona più: ho quasi 30 anni, di alti e bassi ne ho conosciuti troppi».

     

    Varese, ora ultima, riuscirà a levarsi dai guai?

    «Ho fiducia, nonostante la situazione delicata: credo nel gruppo e nel coach».

    Rimane impermeabile anche alle critiche per una partita sbagliata?

    «Non le leggo nemmeno più. Non mi interessa».

     

    A Milano l'apice della carriera, con l'Nba a tiro. Poi la svolta in negativo. Si è mai domandato che cosa l'ha intralciata?

    «Tante vicende, anche personali. Ma pure su questo fronte non mi va di spiegare. Di sicuro ho commesso molti errori e me ne assumo la responsabilità. Per il resto, non commento».

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    Qual è l'occasione mancata dopo il titolo con l'Armani?

    «Sicuramente quella ad Atene con il Panathinaikos».

     

    Qualche ex compagno le sta dando una mano?

    «Non ho grandi amicizie nel mondo del basket: al di fuori del campo sono una persona che sta sulle sue. Ma credo di aver lasciato un buon ricordo in quelli con cui ho giocato».

    C'è uno spicchio di serenità tra i momenti duri?

    «Sì, certo. Mi dico "avanti tutta, Ale". Con grande amore per quello che faccio, per la vita e per le cose belle che ho».

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