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    NOVENTUS -  SCONCERTI: "HANNO VINTO I SOLISTI. LA RIVOLUZIONE DI SARRI FERMATA DALLE ESIGENZE DI RONALDO, MOLTO PIÙ DECISIVO DELLO SCORSO ANNO. HA SEGNATO 31 RETI, 10 IN PIÙ DELLA PASSATA STAGIONE. IL MERITO DELL’ALLENATORE È STATO ADATTARSI A UN GRUPPO DI CAMPIONI, NON HA QUASI LOTTATO PER LE SUE IDEE" – PARATICI LO HA CONFERMATO MA SOLO LA CAMPIONS PUÒ SPINGERE LA JUVE VERSO IL SARRISMO – LA BATTUTA DI MAURIZIO A BONUCCI: “SE AVETE VINTO ANCHE CON ME SIETE PROPRIO FORTI...” - VIDEO


     
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    Mario Sconcerti per Corriere.it

     

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    È stato l’anno delle lunghe discussioni su Sarri, e ancora certamente non sono finite. Ma l’uomo decisivo è stato Cristiano Ronaldo, molto più coinvolto e protagonista dello scorso anno. Ha segnato 31 reti, 10 in più di un anno fa, quasi il 42% di tutti i gol della squadra.

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    Questo nuovo corso di Ronaldo è costato molto anche a Sarri. Se gran parte del sarrismo si è fermato lo si deve al modo faticoso in cui l’intero fenomeno Ronaldo va inserito nella squadra. Ronaldo alla fine ripaga tutti, ma condiziona il gioco. Con lui si fa quel che serve a lui, non quello che sarebbe bello per gli altri. Gli serve un centravanti che si tolga dalla posizione quando lui si accentra; gli servono una mezzala alle spalle e un terzino sulla fascia che coprano gli spazi che lascia agli avversari. Gli serve un trequartista che sposti verso destra l’ultimo difensore centrale quando di nuovo lui si accentra.

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    In sostanza, ogni volta che Ronaldo tocca un pallone, c’è un piccolo paese che si muove per farlo giungere a destinazione. È difficile portare avanti rivoluzioni con queste esigenze. Meglio prendersi il meglio da Ronaldo e cercare di gestire il resto.

     

     

    Quest’anno è andata esattamente così e sta andando bene. Difficile dire come finirà.

     

    Paratici ha confermato Sarri nei giorni scorsi come fece Agnelli con Allegri un anno fa. Non sono decisioni che si prendono a freddo, anche se questa volta mancherebbe il tempo materiale per cercare un allenatore dopo la Champions.

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    Ma un Sarri che esce ai quarti non sarebbe riproponibile. Mentre ora la squadra deve andare in Champions al meglio di se stessa, cioè con un allenatore sicuro.

     

    Più nel dettaglio, la straordinaria stagione di Ronaldo e quella insistente di Dybala, hanno trasformato la squadra da un collettivo a una somma di individui. Ha vinto la Juve dei solisti, quella che un anno fa si era cercato di smontare. Sarri è stato bravo nell’accettare al volo il cambiamento. Non ha quasi lottato per la sua idea, da buon monaco che arriva in San Pietro ha capito il vantaggio che l’organizzazione Juve gli portava e ha fatto il possibile per adattarsi. Non gli è riuscito tutto, ma ha resistito e gestito le proprie idee fino alla conclusione. Non aveva una squadra formidabile.

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    La Juve è ambigua, ha grandi giocatori che rendono poco, ha poca manovalanza, ha molte prime firme che amerebbero sovrapporsi l’una all’altra. È più elegante che sportiva, una specie di Versailles dove ci si allena con posate d’argento e ognuno è un principe che difende se stesso. Sarri vi ha camminato rompendo qualche cristallo, ma ha camminato.

     

    Il popolo non lo adora, la colpa è delle abitudini che la società gli ha dato. Vincere 9 scudetti in uno sport inventato per sognare sempre vendette fa cercare ormai l’impossibile. 

     

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    Nella pura e semplice realtà la Juve è 20 anni avanti a ogni squadra italiana. Il Lutero che è dentro Sarri non ha trovato lusso alla Continassa. Ha trovato professionalità sparsa come l’incenso. È questo che gli ha fatto chinare la testa. L’organizzazione minuta, estesa, abituale della Juve è il suo paese dei balocchi. Quello che ha sempre sognato. Quello che permette a tutta la società di non essere paragonabile a niente dell’altro calcio italiano.

     

     

     

    JUVENTUS SCUDETTO, SARRI NELL’ALBO D’ORO

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    Alessandro Bocci per corriere.it

     

    Oggi, almeno oggi, lasciamolo festeggiare.Il trentaseiesimo scudetto della Juventus, il nono consecutivo, è il primo di Maurizio Sarri. E il primo non si scorda mai, specialmente se sei partito dal fondo e hai attraversato il calcio in bianco e nero. E pazienza se è il meno nitido e luccicante dopo i tre di Antonio Conte e i cinque di Max Allegri. Anche il più strano da festeggiare nello stadio vuoto.

     

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    I giocatori si abbracciano. L’allenatore lascia subito il campo e stringe a sé i giocatori nel sottopassaggio, soprattutto Cristiano Ronaldo. Una gioia contenuta e una «schiumata» in spogliatoio.

     

    Poi ai giocatori una frase piena di autoironia: «Se avete vinto anche con me, siete davvero forti». Understatement puro. E l’ammissione di qualche momento difficile: «In tutti gli spogliatoi in cui sono stato ci sono stati momenti discussione e di confronto. È normale, a me è successo tutti gli anni. Più a viso aperto si affrontano, più problemi si risolvono. Questo scudetto ha «un sapore forte, particolare. Vincere è difficile, questa è una squadra che vince da anni, tutti gli anni diventa sempre più complicato e difficile».

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    Sarri taglia il traguardo a 61 anni, l’allenatore più vecchio di sempre a farlo, anche del maestro Nils Liedholm, e non c’è dubbio che se lo sia meritato se non per quello che ha fatto alla Juventus, per quanto è stato capace di mostrare negli anni, la visione complessiva e la qualità del suo calcio romantico e moderno allo stesso tempo. Per vincere è andato a Torino, chiedendo molto a se stesso, anche tradendo un po’ il suo personaggio.

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    Alla Juve il motto è il medesimo da generazioni: vincere è l’unica cosa che conta. Per Sarri non è così. Non lo è mai stato. Ma, sino adesso, non è riuscito a trasmettere la sua filosofia. Il gioco doveva rappresentare le fondamenta del suo progetto. E invece proprio il gioco è mancato e Sarri taglia il traguardo grazie al talento dei suoi campioni, Ronaldo e Dybala, più che alla coralità della manovra. Lo scudetto potrebbe garantirgli altri 12 mesi di immunità, ma per giudicare il suo lavoro e sottoporlo al giudizio universale, bisognerà aspettare la Champions. La sfida con il Lione, tra meno di due settimane, sarà lo spartiacque.

     

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    Per adesso il celebrato sarrismo si è visto a sprazzi. L’allenatore si è adattato alle regole della casa, piuttosto che il contrario. Questo, peraltro, è sintomo di intelligenza. La difesa, rispetto al passato, è più alta, ma prende anche più gol, troppi. In questi anni pieni, nei quali è mancata solo la Champions (ma Allegri ha centrato due finali) la Juve è stata fondata sulla solidità del suo reparto difensivo e guidata dalla formidabile BBC.

     

    Nei precedenti 8 scudetti era sempre la migliore difesa della serie A. E se è vero che la Juve ha perso Barzagli e che Chiellini è stato quasi sempre per infortunio, Paratici ha arruolato De Ligt, uno dei primi tre marcatori d’Europa.

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    La difesa è un problema, ma non è il solo. Nelle ultime cinque partite, prima dell’epilogo felice con la Samp, la Juve ha raccattato appena 5 punti con due sconfitte, sofferenza più che cavalcata trionfale. La condizione fisica è quella che è: scadente. La regina si è fatta rimontare dal Milan, dal Sassuolo, dall’Udinese.

     

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    In campionato, da situazioni di vanta ha perso 18ggio, punti, mostrando di aver perso una delle sue peculiarità: la capacità di gestire le situazioni. Mai in questi anni dominanti l’abbiamo vista così piccola e fragile. Del resto già l’inizio non è stato rassicurante: il viaggio di Sarri sullo yacht di Ronaldo, come prima mossa del suo pontificato, è sembrata una debolezza. Anche agli occhi del gruppo.

     

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    Però adesso è giusto festeggiare. Sarri, in un anno complicato, qualcosa è riuscito a costruire: ha dato anima alla coppia Dybala-CR7, ha istituzionalizzato Cuadrado terzino che Allegri e Montella (nella Fiorentina) avevano solo sperimentato, si è inventato Bentancur regista. Come dice Claudio Nassi, uno dei più apprezzati d.s. della vecchia generazione, «conta solo l’almanacco». Ora nell’almanacco c’è anche il nome di Sarri.

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