Marco Giusti per Dagospia
Alla fine anche Melania se ne è andata. Non deve essere stato facile per Olivia de Havilland, scomparsa a Parigi a 104 anni, né sopravvivere per così tanto tempo ai suoi meravigliosi partner di “Via col vento”, a Vivien Leigh, a Clark Gable, a Leslie Howard, né portarsi dietro per tutta la vita l’immagine della dolce Melania che tutti nel film, a parte gli spettatori, sono obbligati a amare ma che forse nella vita proprio così non era mai stata.
olivia de havilland melania in via col vento
Indipendente, dura, fiera, combattiva, per nulla arrendevole né con gli odiosi boss della Warner Bros che gliela avevano giurata quando si impuntò per il loro contratto capestro di sette anni con sei mesi in più di sospensione e iniziò una celebre causa, che vinse alla faccia di Hollywood, né con la sorella Joan Fontaine che le aveva tolto quello che avrebbe potuto essere il suo primo Oscar da protagonista nel 1941. La sua prima nomination, per “Via col vento”, era da non protagonista.
Ed anche lì era stata battuta da Hattie McDaniel, la cameriera nera di Rossella. Si sarebbe potuta rifare con “La porta d’oro” di Mitchell Leisen, per il quale era candidata da protagonista. Ma “Il sospetto” di Alfred Hitchcock, per il quale era candidata sua sorella minore Joan, beh, era un capolavoro. Così perse. Certo, poi ne vinse ben due di Oscar, con l’ormai dimenticato “A ciascuno il suo destino” di Mitchell Leisen nel 1946 e il meraviglioso “L’ereditiera” di William Wyler nel 1950, ma intanto Joan l’aveva battuta sul tempo di fronte a tutta Hollywood. Un affronto. Per anni non le parlò. E Joan non la volle al funerale di loro madre. Scrisse che da bambine, come sorella maggiore, le aveva fatto qualsiasi tipo di angheria, l’aveva bullizzata.
olivia de havilland legione d onore
Volarono battute e ogni genere di cattiverie. Poi nel 1962 passarono il Natale insieme coi mariti per far pace. E in un’intervista Joan se ne uscì che non era vero niente, che si sentivano spesso. Che la loro rivalità era un’invenzione della stampa (“Due belle ragazze che si vogliono bene non fa notizia”). Crederci? Mah… Però quando nella recente miniserie “Feud”, Olivia fece causa ai produttori perché Catherina Zeta Jones, interpretandola, dava della “bitch” a Joan, intervenne pesantemente per togliere la battuta. No. Non aveva nulla della Melania Hamilton di “Via col vento”. Negli anni ’30 aveva avuto amanti celebri: James Stewart, Howard Hughes, perfino John Huston, che l’avrebbe voluta sposare.
Ma il suo vero amore, ahimé non corrisposto, era stato Errol Flynn, che aveva amato pazzamente sullo schermo in otto meravigliosi film della Warner diretti da Michael Curtiz che tutto il mondo aveva visto e che definirono per sempre la sua carriera. “La leggenda di Robin Hood”, “Capitan Blood”, “La carica dei 600”, “Gli avventurieri”, “Il conte di Essex”, “La storia del generale Custer”… Siamo cresciuti con quei film, con il sorriso spavaldo di Errol Flynn che sparava, tirava frecce, duellava di spada con perfido Basil Rathbone e alla fine stringeva a sé la palpitante Olivia de Havilland. Lei aveva una cotta per lui. Ma forse ce l’avevamo tutti una cotta per Errol Flynn.
Alla fine non fu fortunatissima con gli uomini. Si sposò due volte, con lo sceneggiatore Marcus Goodrich nel 1946, dal quale divorziò nel 1953, e con Pierre Galante, un altro sceneggiatore, che sposò nel 1955 dal quale divorziò nel 1979. Ebbe due figli. Benjamin Goodrich, esperto di analisi statistiche, che morì a 42 anni per un linfoma Hotchkins che gli era stato diagnosticato a 19 anni, e Giselle Galante, nata dal secondo matrimonio. Da tanti anni era una leggenda di Hollywood che aveva accuratamente scelto però di non vivere più in America. Del resto tutti i suoi amici erano morti, a cominciare dall’amica del cuore, Bette Davis, con la quale aveva interpretato “Piano, piano dolce Carlotta” di Robert Aldrich prendendo il posto di Joan Crawford.
olivia de havilland l ereditiera
E poi l’America non era mai davvero stato il suo paese. Figlia di inglesi, Walter de Havilland, professore, avvocato di brevetti, autore del primo libro inglese sul gioco del Go, e di Lilian, attrice, era nata a Tokyo nel 1916, solo un anno prima di Joan. Ma il padre aveva lasciato la madre nel 1919. Così Lilian decise di trasferirsi con le due bambine a Saratoga, in California. E’ lì che crescono e diventano attrici seguendo le orme della mamma. In una recita scolastica a Oakland Max Reinhardt si innamora di Olivia e la sceglie per “Sogno di una notte di meza estate” di Shakespeare. Sia per la versione teatrale che per quella cinematografica del 1935.
E’ allora che la Warner Bros le fa firmare un contratto di ben sette anni in esclusiva. Gira i suoi primi film, “Alibi Mike”, “Colpo proibito”, poi esplode cone Arabella Bishop in “Capitan Blood” di Michael Curtiz con Errol Flynn, presto seguito da “Avorio nero” di Mervyn Le Roy (e Curtiz) con Fredric March, da “Avventura a mezzanotte” di Archie Mayo con Leslie Howard e Bette Davis. E poi arriva “La leggenda di Robin Hood” di Michael Curtiz con Errol Flynn dove è la più incantevole Lady Larian che si potesse desiderare. In due-tre anni è una delle più grandi star della Warner, al pari di Bette Davis. Ma l’alchimia che hanno con Errol Flynn è qualcosa di impagabile.
Se Curtiz è descritto da Olivia de Havilland come “un tiranno, prepotente, crudele, un vero villano, anche se era davvero bravo. Allora non lo credevamo, ma lo era”, con Flynn portano sullo schermo un’alchimia che solo Janet Gaynor e Charles Farrell avevano avuto dieci anni prima. Quando viene “prestata” dalla Warner a David O. Selznick per “Via col vento”, insomma, è la star di prima grandezza della Warner e ha solo 23 anni. Forte di una nomination e di un film visto e amato in tutto il mondo, torna alla Warner e si ritrova a interpretare i soliti ruoli. Chiede ruoli più interessanti e meno banali. Per tutta risposta la Warner la punisce mettendola in sospensione per sei mesi. Non farà nessun film. Non solo. I sei mesi verranno tolti dai sette anni di contratto. E’ un sopruso. Non ci sta e fa causa alla Warner.
olivia de havilland joan fontaine
“Che tu vinca o perda, non farai più film a Hollwyood”, le dicono. Non è vero. Nel 1944 vince una battaglia epocale per sé e per tutti gli attori di Hollyood. Non solo. Ritenuta “difficile”, piantagrane, troppo perfezionista, quando torna al cinema nel 1946 con un contratto alla Paramount vince il suo primo Oscar con “A ciascuno il suo destino” di Mitchell Leisen scritto da Charles Brackett. Ma dei quattro film del 1946 vorrei ricordare anche il thriller di Robert Siodmak “lo specchio scuro”. Due anni dopo viene nuovamente nominata per “La fossa dei serpenti” di Anatole Litvak, dove interpreta il ruolo di una donna rinchiusa in un manicomio. La batte però Jane Wyman per “Johnny Belinda”. Si rifarà l’anno dopo vincendo il suo secondo Oscar con “L’ereditiera” di William Wyler con Montgomery Clift e Ralph Richardson tratto da “Washington Square” di Henry James.
olivia de havilland con i due oscar
Non era un ruolo facile e Olivia de Havilland dimostra di aver vinto la sua battaglia per avere ruoli migliori per le attrici. Arriveranno così “Mia cugina Rachele” di Henry Koster, “Nessuno resta solo” di Stanley Kramer, “Luce nella piazza” di Guy Green con Rossano Brazzi, ambientato a Firenze. Probabilmente la sua grande stagione è finita all’inizio degli anni ’50, ma con Robert Aldrich e a fianco di Bette Davis dimostra cosa sa ancora fare in “Piano, piano dolce Carlotta”, 1964.
Per convincerla a prendere il ruolo di Joan Crawford, a film iniziato, Aldrich dovette andare in Svizzera e parlarle per quattro giorni. Si porterà parte del suo ricco guardaroba, qualche abito di Dior della sua collezione personale, per interpretare il ruolo. Joan Crawford ci rimarrà malissimo. Farà altri film, “Airport 77”, “Swarm”, qualche serie tv, perfino “Radici”, ma alla fine rimarrà sempre legata alla sua prima grande stagione e alla Hollywood che già negli anni’50 era scomparsa.
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