Alberto Riva per “il Venerdì di Repubblica”
cinema majestic
La prima "luce rossa" ad accendersi fu nel 1977 al cinema Majestic di Milano, una sirena presa in prestito dai pompieri: era il segnale che si proiettavano pellicole erotiche. Soft o hard a seconda del metraggio perché si usava aggiungere o togliere scene esplicite per dribblare la censura o gli ordini di sequestro.
Quei film, titoli come Vibrazioni carnali e Labbra vogliose, erano girati in più versioni, un po' per confondere le acque un po' per essere esportati in Francia e altri paesi più liberali. Ma ormai la diga era caduta.
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Lo racconta Tomaso Subini nel suo La via italiana alla pornografia. Cattolicesimo, sessualità e cinema 1948-1986 (Le Monnier-Mondadori Education, pp. 260, euro 34), un saggio ricco di dati e aneddoti.
Il primo campanello d'allarme era suonato dopo la Seconda guerra mondiale con il ritorno del cinema americano. Nel 1950, il neanche troppo peccaminoso Belle, giovani e perverse, diretto da Vorhaus e Ulmer, aveva fatto scattare la censura del Vaticano a causa della frase sui manifesti tacciata d'immoralità: «Il più dolce peccato del mondo».
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Ma nonostante i divieti fioccassero a decine la «sessualizzazione delle immagini» era ormai inarrestabile. Oggi sembra incredibile, ma ancora nel 1953 nel giorno di Venerdì Santo in molte città italiane i cinema restavano chiusi.
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Era, secondo l'analisi di Subini, l'epoca del «controllo». A cui subentrò quella del «conflitto», di cui la La Dolce Vita di Fellini fu simbolo e spartiacque, sdoganando contenuti erotici (pensiamo alla scena finale dello spogliarello) destinati però a una platea immensa.
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Così come Teorema di Pasolini che nel 1968 inaugura quella che l'autore chiama la «caduta» o «l'apocalisse della famiglia borghese», anche se il limite «irreversibile» è con il Decameron (1971) e una serie di altre pellicole, d'autore o meno, che si affermano nonostante censure, sentenze, condanne.
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L'approdo via via all'hard, con le sue star talvolta popolari è il racconto di un Paese sotto «regime clericale» che ha faticato più di altri a fare i conti con la liberazione dei costumi ma che, proprio grazie all'ostracismo, ha intrattenuto con la pornografia un rapporto di «interesse e preoccupazione, di attrattiva e di angoscia», a conti fatti un fenomeno di comportamento tutto italiano.
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