francesco rutelli copia
Elisa Calessi per ‘Libero Quotidiano’
Non è facile parlare con Francesco Rutelli. Non perché si neghi, ma perché è impegnato in mille iniziative: dai beni culturali distrutti dall' Isis alla via Francigena, fino ai cambiamenti climatici. «Tutto volontariato», spiega. Il suo vero lavoro, in realtà, è guidare l' Anica, associazione delle industrie cinematografiche.
«Quando me l' hanno offerto, ho detto: lo faccio, ma visti i dissidi conosciuti in politica, accetto solo se mi designate all' unanimità». Facciamo una lunga chiacchierata, parlando di tutto: Raggi, Renzi, Macron. Poi alla fine, dice: «Io farei attenzione a Berlusconi. Perché se rifa' quello che ha fatto a Milano con Stefano Parisi...».
In che senso?
berlusconi parisi
«Se trova un candidato convincente a cui la Lega non può dire di no... Oggi, tra gli elettori che si esprimono, abbiamo un sistema sostanzialmente tripolare, che ruota attorno a Pd, M5S e centrodestra: 30-30-30. Ma c' è una grande parte di elettori che non si pronuncia».
Più del 40% secondo i sondaggi più recenti.
«Quindi sono tutti conti senza l' oste. Ma se c' è un' offerta politica nuova e convincente, quelli che ora non si pronunciano, potrebbero farlo. E allora cambia tutto. Guardi in Francia».
Emmanuel Macron?
«Fino a sei mesi prima delle elezioni e prima dell' endorsement di Francois Bayrou era dato quarto. Di fronte a un' offerta nuova, gli elettori prendono direzioni imprevedibili».
Può succedere in Italia?
francois bayrou emmanuel macron
«C' è una domanda tra gli elettori che al momento è insoddisfatta. Il problema è che la sinistra nasce a difesa del proletariato, dei senza voce. Ma non è stata capace di rispondere al nuovo proletariato, che è il precariato. E così la risposta si è spostata su un populismo di destra, di sinistra e atipico come il M5S. Prima la destra era il potere economico, oggi c' è una destra popolare».
Il centrodestra potrebbe vincere?
«Se Berlusconi ripete il modello Milano, scegliendo un candidato a cui la Lega non può dire di no e se rimane questo sistema elettorale, per cui ci saranno dei listoni, la partita è apertissima. Non sottovaluto la frattura tra Berlusconi, Salvini e Meloni sul caso francese.
Ma non darei per scontata la sconfitta del centrodestra».
Renzi, invece, ha stravinto nelle primarie, ma nel Paese arranca. Perché?
«Un atteggiamento troppo assertivo funziona nel breve, ma rischia di scontentare nel medio termine. Soprattutto se i risultati non arrivano. La cosa più forte del governo Renzi sono stati gli 80 euro. Hanno avuto un impatto molto positivo nel breve, ma un risultato "x" nel medio. Solo che più alzi l' asticella, più i risultati devono essere tangibili. Ma per esserlo servono gruppi dirigenti vasti».
BONUS Renzi 80 Euro
Da quattro anni è fuori dal Parlamento. Come lo vede?
«Mi preoccupa la rissa continua».
È sempre stato così...
«Ai primi degli anni '90, quando i partiti attraversarono una crisi altrettanto drammatica, il Parlamento fu capace di approvare la legge sull' elezione diretta dei sindaci, un' ottima legge, e il Mattarellum, una buona legge perché prevedeva i collegi. E qui siamo al punto».
Cioè?
«Il Vangelo dice: "Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti". Oggi potremmo dire: "Tutti sono eletti, ma nessuno è votato". Ed è drammatico. Avendo un Parlamento che risponde ai leader di partito, non ai cittadini, il rapporto dei parlamentari con le persone è venuto meno. E il Parlamento diventa l' amplificatore del tweet» .
Qualcosa ancora si fa.
«Negli ultimi due anni che ho passato al Senato si votavano solo mozioni e modifiche ai decreti del governo. Un' attività sinceramente meno utile rispetto a quando cominciai».
Era il 1983. E il Parlamento funzionava meglio?
Un giovanissimo Francesco Rutelli con Bettino Craxi durante una manifestazione dei Radicali negli anni Ottanta
«Quando venni eletto la prima volta avevo 29 anni e, pur appartenendo a un gruppo che non contava nulla, i Radicali, riuscii a far passare in bilancio le risorse per l' informatizzazione della giustizia italiana: 600 miliardi in tre anni. E questo l' ottenne un giovane deputato battagliero, ma senza potere».
E come ci riuscì?
«Perché il Parlamento era più forte. Ora non lo è per le ragioni dette e perché i poteri reali, economico-finanziari, sono fuori dalle istituzioni nazionali».
Lei è stato sindaco, vicepremier, ministro, leader di partito. Cosa le è piaciuto di più?
«Tutti sono stati affascinanti. Il più unico è quello di sindaco, perché la possibilità di rispondere ai cittadini è incomparabilmente più alta».
Arriviamo a Roma. Lei ha sempre evitato di polemizzare con la Raggi. Ora, però, è passato un anno da quando è sindaco e Roma è sommersa dai rifiuti. Cosa ne pensa?
RAGGI RIFIUTI
«Vedo un atteggiamento che tende a rifuggire decisioni difficili. Mentre quando eleggi qualcuno, gli dai una delega a governare. E quando governi, devi prendere decisioni anche scomode che in genere è meglio prendere nella prima parte del mandato, scontentando nell' immediato, ma con la ragionevole prospettiva che diano dei frutti».
Lei quali decisioni scomode prese?
«Quando abbiamo aperto, a metà degli anni '90, contemporaneamente 700 cantieri, è chiaro che c' era un disagio enorme. Però nella Roma del 2000 erano concluse molte opere utili per la città e non c' erano buche per strada. Opere trasparenti senza un avviso di garanzia, senza una vittima nei cantieri. La gente sbuffava, trovava corsie chiuse, sulla Cristoforo Colombo si andava sulle laterali. Ma dopo un anno di fatica, vedevano una situazione risolta».
La Raggi non è abbastanza decisionista?
«Dovrebbe decidere. All' inizio è chiaro che provochi un disagio, ma se non fai nulla, poi c' è uno scontento che nel tempo aumenta».
Sui rifiuti cosa dovrebbe decidere?
«Io, per dire, ho inaugurato un inceneritore a Roma nella zona di Malagrotta, tutt' ora in funzione, per i rifiuti speciali. Non ha mai creato un problema. Però mi sono preso una responsabilità nel realizzarlo».
Un ambientalista come lei?
«A Copenaghen, la capitale più ecologica d' Europa, l' inceneritore è nel centro della città.
E ci stanno costruendo sopra una pista da sci. Basterebbe spiegare che in decine di città italiane esistono termovalorizzatori e che inquinano meno del forno di una pizzeria o di cinquanta auto ferme al semaforo. Ma lo devi spiegare».
Se fosse sindaco di Roma farebbe un inceneritore?
renzi mattarella gentiloni
«Mi pare evidente. Ma le pare logico che facciamo partire centinaia di camion inquinanti, con centinaia di tonnellate di rifiuti che vanno ad essere inceneriti in altre parti d' Europa dove producono energia? Abbiamo solo il costo e l' inquinamento. A Roma servono impianti. Quelli più moderni di gestione dei rifiuti, i Tmb, li ha realizzati la mia amministrazione.
Abbiamo incontrato i comitati di quartiere, in alcuni quartieri abbiamo dato dei benefici, fatto opere in cambio di un disagio. Ma la politica deve decidere. Se non decidi nulla e dici: Roma sarà a zero rifiuti nel 2022. Ma noi siamo nel 2017! Tutto questo, comunque, inizia prima della Raggi».
RAGGI RIFIUTI
Con Ignazio Marino?
«Sì. Se dai un marchio catastrofico a qualsiasi impianto, è chiaro che si crea ogni volta una sollevazione. Ma le pare possibile che a Roma, in un territorio di 130mila ettari, non ci sia una discarica di servizio, anche piccola, per i rifiuti non riciclabili! Se tu coinvolgi i cittadini, se spieghi, riesci a prendere decisioni. Certo, ci sarà sempre qualcuno che ti dirà che è meglio fare una funivia di una tramvia».
Passiamo al Pd. Lo lasciò dicendo che era diventato un partito di sinistra. Ora Bersani e D' Alema sono andati via. Sbagliò allora?
«Il mio giudizio era legato al fatto che il Pd si disponeva a diventare un partito del socialismo europeo. Questo purtroppo è avvenuto».
E per opera di Matteo Renzi, peraltro.
«Se oggi ascolto quelli che nel Pd tifano Macron, direi che la contraddizione non è la mia.
Macron ha preso atto che la stagione dei partiti ideologici del XX secolo è finita. Certo, ha avuto successo anche perché è un' offerta nuova».
Come Renzi?
«Renzi avrebbe dovuto essere non solo un' offerta nuova, ma il costruttore di un' offerta per il Paese».
RENZI BERSANI
E non lo è stato?
«Io l' ho sostenuto e tutt' ora ne sostengo la spinta innovativa, ma lo critico per la ristrettezza del gruppo dirigente che, purtroppo, si è rivelato il suo vero tallone d' Achille. Mi auguro che trovi la forza di superare questo limite».
Ma il Pd è nato o no?
«Il Pd nasce con l' intuizione giusta: usciamo dalla topografia del XX secolo, dalla botanica della Seconda Repubblica, entriamo in quello che diventerà il punto nodale della prospettiva politica: la democrazia. Chi rappresenta il popolo, in che modo lo ascolta e lo guida. Ma un partito democratico non può diventare socialista.
Ha senso farlo diventare un partito della democrazia competitiva, non consociativa, come ha fatto molto bene Renzi. Meno farlo diventare un partito personale perché alla lunga non dura. Non a caso nel Pd sta emergendo una classe dirigente che viene dalla Margherita, dove c' era una dimensione plurale».
Gli ultimi tre premier e il presidente della Repubblica vengono dalla Margherita. Qual è il segreto?
«La Margherita era in nuce quello che doveva essere il Pd. Un partito attento ai corpi intermedi, ma non condizionato dalle rappresentanze corporative. In questo Renzi ha rappresentato perfettamente la cultura della Margherita che non poteva non sbocciare nel Pd. E questo io lo rivendico. Tanto che l' unico incarico politico che ho mantenuto è la guida del Partito democratico europeo che è una formazione di terzo polo, non a caso il presidente, Francois Bayrou, è il vero king-maker di Macron».
RUTELLI FRANCESCHINI MATTARELLA GENTILONI
C' è un Macron italiano?
«Come disse Alessandro Magno ai romani che lo minacciavano: "Quando verrete, sarete venuti". Quando ci sarà, lo vedremo».
E Gentiloni? Come giudica questi mesi da premier?
«Benissimo. Sta dando una grande prova di equilibrio e di saggezza».
Potrebbe essere premier anche nel 2018?
«Impossibile a dirsi».
Le piace questo ritorno al proporzionale?
«Sarebbe positivo, se fossimo tedeschi: in Germania funziona perfettamente. Purtroppo, siccome siamo italiani e abbiamo alcuni limiti, tra cui il trasformismo, parola che non esiste in nessun' altra lingua, è inevitabile, in assenza di un vincitore, ma rischioso».