Giancarlo Dotto per il ''Corriere dello Sport''
(Nella testa di Lucio)
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Ritratto di un uomo allucinato e sentimentale. Luciano Spalletti, due mani da contadino, una testa da ossesso e due occhi che bucano il mondo quando non bucano se stesso. M’è capitato una volta di entrare nella sua testa, cinque minuti, quanto basta per sapere che è la più interessante (di gran lunga) tra tutte, fatta eccezione per Bielsa el Loco, altro ossesso mica male. Più di Guardiola, il più intelligente di tutti, ma alla fine banale come tutti i primi della classe, impeccabile anche nella sconfitta e nel male di vivere. Più di Mourinho, l’intelligenza perversa del manipolatore, al netto di un ego paranoico e insaziabile. Più di Klopp, che io amo per quanto include, e mai esclude, intelligenza votata all’abbraccio empatico e alla clowneria. Mille volte più interessante del totemico e monocorde Zeman o del finto serafico Ranieri, uno che comunica cose rassicuranti ma ordinarie, tipo “la minestra è a servita”.
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Dello stesso Carlo Ancelotti, un contadino pieno di grazia che ha imparato col tempo a stare al mondo e, da mondano, molto meno interessante per l’inevitabile sottrazione di grazia. Più di Conte, non si discute, salentino ossesso sì ma elementare per quanto focalizzato su un unico tema e Fabio Capello che, da quando non è più focalizzato, è diventato uno dei tanti e uno dei tempi. Un affabile viveur. Aspetto con discreta impazienza di entrare nella testa di Sarri.
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Parto dall’occhio allucinato di Lucio. La finestra principale per accedere al suo labirinto. Sorgente e fuga allo stesso tempo. Il suo tumultuoso di dentro, corroso dalle ombre, e il suo omerico di fuori, consumato dalla sfida. Lucio sa accettare le sue paure solo trasformandole in coraggio. Combatte i suoi fantasmi solo affrontandoli a brutto muso, a costo di schiantarsi, e qualche volta si dà il caso che siano nemici e bersagli reali.
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Con Lucio, se l’avete capito, siamo in pieno Cervantes alias delirio. La sua vita, un assalto ai mulini a vento. Che lui, l’hidalgo di Certaldo, trasfigura e ingigantisce, senza nemmeno l’ausilio di un Sancho Panza. Qualche volta hanno la sagoma di sconosciuti gazzettieri, altre volte si chiamano Hulk, Totti, Icardi. E lì sono dolori. Lucio ha una vocazione allo scontro titanico, meglio ancora se da perdente. È andato al massacro con “il Capitano c’è solo un Capitano”, sottovalutando l’idolatria di una città intera. Ha rischiato lo scontro probabilmente definitivo con i vertici dell’Inter, raccontando a modo suo il caso Icardi (“Umiliante trattare con il giocatore per convincerlo a giocare”). Non è da tutti finire in due capitali del calcio come Roma e Inter e finire allo scontro frontale con i due iconici capitani (e le rispettive consorti).
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Devi essere un kamikaze con una discreta spinta all’autodistruzione. A Roma finì incastrato in una storia più grande di lui, ma non fece nulla per salvarsi o contenere i danni. Anzi. Si mostrò scandaloso in pubblico per quello che era, un uomo scandalizzato. A Milano s’innamorò subito di Icardi (“Uno splendido ragazzo con una pessima fama, sono in pochi a conoscerlo veramente”), salvo poi escluderlo dal suo cerchio magico appena comprese che la sua debolezza di nome Wanda rischiava di portare a fondo il gruppo.
spalletti auguri natale
La testa di Lucio è unica. Non sa mediare, non sa filtrare, non sa anestetizzare. Se il problema è piccolo, lo ingigantisce. Se non c’è, lo evoca. “Piccolo uomo”? Spalletti non può essere mai piccolo nemmeno quando gli capita di esserlo. Traviato ed esaltato allo stesso tempo dalla sua testa. L’insicurezza, atavica e incomprensibile, coltivata come morbosa coazione, lo spinge al duello sistematico. Colleziona martelli, auto d’epoca, fantasmi. I primi li custodisce in un capannone, le seconde in un garage, i terzi nel suo cranio lucente. Ne sforna in quantità industriale. Brucia a tempo pieno, un inceneritore in cui nulla diventa mai cenere, ma si trasforma in altro.
spalletti auguri natale
“Quando vince se li mangia tutti. Il problema è quando perde. Escono fuori le sue insicurezze.”, mi disse una volta Adani. “I suoi comportamenti sono spesso deviati da paure preventive che lo fanno vivere male”, mi raccontò Walter Sabatini che lo conosce bene e lo stima tanto. “Ossessionato dalla vittoria”, lo definì l’allora suo Momo Salah. Ossessionato sì, vero, ma dalla sconfitta. Lucio trasforma tutto in sconfitta e, se non è sconfitta, rovello, tormento, dubbio maniacale. Nella sfida si sfibra, si consuma, si esalta allo stesso tempo. “Non sai quanta fatica mi costa fare questo mestiere”, mi confidò un giorno prima d’essere trasformato io stesso in un mulino a vento. Non conviene mai essere suoi amici (a meno di non essere gli amici del tempo che fu, dell’antica merenda). Lucio è il tipo che gode di più a farsela con i detrattori.
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Uomo sensuale, passionale, con il culto infantile per quanto sfoggiato della forma fisica. Palese contraltare alle frane della sua testa. Spalle grandi e nervi fragili. Una testa tortuosa perché torturata. Lucio non sa godere delle vittorie. Sa bene quanto siano ingannevoli, sa bene che la vita è altro, un duro lavoro quotidiano e un prezzo alto da pagare.
LUCIANO SPALLETTI DA GIOVANE
Dicono sia un pessimo comunicatore. Falso. La gente pende dalle sue labbra, sa bene che dietro le sue contorsioni verbali è sempre in agguato il guizzo luciferino, il lampo di follia, la zampata zavattiniana. Quella smania di verità che gli fa dire cose che la stragrande maggioranza dei suoi colleghi si vieterebbe di pensare.
La provocazione dello Spalletti parlante sta nel costringere l’altro, il “nemico” di turno a misurarsi con temperature inusuali e duelli incomprensibili. Furore certamente acuito nei non so quanti inverni passati nella terra di Dostoevskij e Rasputin, il monaco folle che incantava le masse, gli zar e soprattutto le donne dello zar (sottraete l’eccesso di pelo dall’originale, barba e capelli, aggiungete un po’ di spalle e di torace e troverete in mezzo al teschio lo stesso occhio di brace) rischiando dentro tramonti pazzeschi d’essere decapitato dalle lastre di ghiaccio che cadono dai tetti. Calcisticamente, un esilio. Da lì allo yankee James Pallotta. Calcisticamente, l’altro mondo. Dove l’abbraccio può essere tutto, una copula infinita o una stretta mortale.
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Di sicuro, in lui il senso della comunità è priorità assoluta. Va allo scontro, se necessario. Non importa che si chiamino Totti o Icardi. Ogni partita da giocare, la domenica o in qualunque ora della settimana, è una sfida ma anche un appuntamento sentimentale in cui nessuno dovrà sentirsi tradito. Non è un caso se ha riportato cinquantamila tifosi a San Siro a vedere il Chievo. Non è un caso se lo fischiarono sempre in cinquantamila il giorno dell’addio di Totti, che poi era anche il suo. Troppa gente s’era dedicata, prima di quella domenica, a mettere il nome di Spalletti contro quello di Totti. Una vicenda che ne ha spolpato il sistema nervoso. Una tempesta perfetta. Sbatacchiato e senza nemmeno un guscio in cui rifugiarsi. Ha fatto tilt. S’è fatta notte. Ecco i fantasmi. Si ritrovò, un anno e mezzo dopo, con il record dei punti e le gomme a terra. “Così non vivo”, si è detto chissà quante notti, fino a convincersi.
totti spalletti
Altri si fanno scivolare tutto addosso. Lui no. Al peggio, lui fa finta, quando recita inverosimilmente da uomo di mondo. “Queste cose non mi toccano, io sono oltre, ci rido su”. E invece lo toccano eccome, non è oltre e non ci ride su per niente. Lucio non dimentica. Lucio le conserva tutte le sue ustioni. Potrebbe chiamarle una ad una, nome per nome. Troppo permaloso perché troppo permeabile.
Nel mondo pecoreccio dello show permanente e dei social nostrani gli insulti vanno e vengono, in quello di Lucio restano indelebili. Lucio è quello che, in conferenza stampa, abbatte il cranio sul tavolo e lo percuote più volte a corpo morto come le marionette al Pincio, essendo lui allo stesso tempo il burattino e il burattinaio, noncurante dell’eventuale frattura, capolavoro che lo consegna di per sé alla grandiosità. Psycho” lo chiamano, anche per questo. Ben venga l’eventuale patologia, una vera esplosione di salute se fa saltare la mediocrità rancida dei suoi colleghi replicabili all’infinito, nel nome dello zero.
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Lucio Spalletti non fa sconti a nessuno, tantomeno a se stesso. Persona vera, truccata da personaggio, in un mondo di mediocrissime comparse. La sua testa lucida e offesa, spesso turbata, i suoi occhi come carboni ardenti, Lucio che, in piena trance da calcio giocato, fissa il vuoto come un rettile autistico o prende a balzare tarantolato nel suo pulloverino attillato e la scarpa lucida, resteranno un capitolo emozionante nella bacheca del nostro calcio.
Spalletti Mazzarri
Tornato da San Pietroburgo per prendersi tutte le rivincite possibili, farsi amare e rispettare, è andato a scontrarsi contro tutti muri possibili, fedele alla sua leggenda. Insultato da tutti, ma proprio tutti, la moglie del calciatore, il comico di passaggio, radio, web, giornali. Gli hanno dato dello “stronzo” e dell’”incapace”, consigliato di prendersi una vacanza in un reparto psichiatrico e di farsi “l’esame di coscienza”. Lo hanno dileggiato i suoi stessi tifosi. Incapace di rinunciare a una sola sfida, consumato dalle sfide, stanco di affacciarsi alla finestra e non trovare un vero innamorato a cui gettare l’eventuale treccia, non molla.
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“Sono un ottimista. La mia camera è piena di sole” dice di sé, non sapendo molto di sé. Tre figli magnifici, la prediletta piccolina e due ragazzoni, la compagna silenziosa di sempre sono il suo inviolabile rifugio. Che Dio li conservi e lo conservi. Lui e tutte le sue oscurità.
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