Giampaolo Pansa per “Libero quotidiano”
giampaolo pansa - copyright Pizzi
Chi di vendetta ferisce, di vendetta perisce. È una legge vecchia quanto il mondo. Tu usi il pugnale? Lo userò anch’io contro di te. Rosy Bindi, anni 64, eminenza del Partito democratico, presidente della Commissione antimafia, si è regolata così nei confronti del suo premier Matteo Renzi. In poco più di un anno di governo, il monarca fiorentino si è rivelato uno specialista in vendette. Tanto da indurci a pensare che prima o poi costruirà un gulag dove rinchiudere chi non è pronto a inchinarsi.
Sta già facendo le prove generali delle deportazioni, togliendo incarichi, lavoro e stipendi a chi non appartiene al suo giglio magico. Ma dopo quanto è accaduto venerdì 29 maggio dovrà stare molto attento ai propri passi. I lettori di Libero sanno come si è mossa l’altro ieri l’ex biondina di Sinalunga, provincia di Siena. Ha dichiarato impresentabile Vincenzo De Luca, il vincitore designato delle regionali in Campania. Fonti di Palazzo Chigi narrano che il premier abbia avuto un mancamento per la rabbia.
ROSY BINDI LEGGE "EUROPA"
Possiamo capirlo il bamboccione fiorentino. È notoria la sua passione per le donne, da Maria Elena Boschi in giù. E che preferisca lavorare con il gentil sesso piuttosto che con vecchi maschi alla Del Rio o Padoan, brutti, grinzosi e infidi. Eppure a mandarlo fuori strada è stata proprio una femmina. Per di più la Rosy ha usato le stesse armi del Chiacchierone gigliato. La disinvoltura nell’applicare le leggi, il piacere di fregarsene del bon ton istituzionale, la voglia di trasferire in Parlamento lo stile dei duelli western che tanto piace a mister Matteo: chi spara per primo vince.
Il formidabile clan che circonda il Renzi a Palazzo Chigi avrebbe dovuto intuire quel che stava bollendo nella pentola della Bindi. Ma ha dimostrato di avere un’ignoranza abissale della storia democristiana che pure è stata l’incubatrice di Matteo e della Rosy. Entrambi vengono dal Partito popolare, l’erede della vecchia Balena bianca. È lì che Rosaria Bindi ha mosso i primi passi. Grazie al segretario Mino Martinazzoli, il bel tenebroso dalle mutande lunghe. Era stato lui nel 1992 a volere quella signorina appena quarantenne come segretaria del Pp in Veneto.
Fu allora che i media conobbero la Bindi. Un politico di fresca nomina, ma capace di comportarsi con la spietatezza del poliziotto che diventa anche giudice. Grazie alla Rosy si vide una strage dei biancofiori veneti che si erano sporcati le mani con le tangenti. Lei tagliò la testa a tutti, anticipando di un ventennio la tecnica del Califfato nero. Chi non la poteva soffrire provò a sputacchiarla. Rammento uno slogan: «Il suo nome è donna Rosy, tutta Pipì e niente morosi».
sergio mattarella e rosy bindi
E la trucida invettiva di Umberto Bossi: «Rosy Bindi è un travestito». Anno dopo anno, della Bindi si conobbe tutto o quasi. Stava sempre sui media, come presidente del Partito democratico o vicepresidente della Camera. E si faceva notare per due qualità. La prima era una furia manettara, incessante e senza pentimenti. Messa in mostra di continuo, con il rischio di passare per una zitella troppo nervosa, al limite dell’isteria. La seconda era la bramosia inesauribile di esternare.
E di farlo dovunque: sulle agenzie di notizie, i giornali, la radio, la tivù. Diventò l’esemplare perfetto del politico che costruisce se stesso sfruttando i media. Con una verbosità infaticabile. In grado di battere i primati di un altro parolaio supremo, quello rosso: il Bertinotti. Era impossibile vedere un programma televisivo dedicato al dibattito politico senza imbattersi nella Rosy. Come un padreterno della chiacchiera politica stava dovunque e in ogni luogo. Certe sere correva da un talk show all’altro.
rosy bindi
Non appena conclusa una trasmissione, raccattava la borsa e spariva a razzo, con la grinta del commando pronto a un nuovo assalto. E riappariva subito su un’altra emittente. Sempre affiancata da un’assistente davvero speciale: una fanciulla tarchiata, in pantaloni mimetici, che inceneriva con lo sguardo chi non amava la Rosy. Capitò anche a me, nel salotto di Bruno Vespa. Inutile dire che Rosy era di fatto il leader di un partito: il TTB, Tutto Tranne Berlusconi.
Il suo programma aveva un solo punto: bastonare il Cav. Lo faceva ogni giorno e non mancò di pestarlo neppure la domenica 13 dicembre 2009, quando Berlusconi venne ferito a Milano da un pazzoide che gli scagliò in faccia un Duomo di marmo. Raggiunta nella casa di Sinalunga da un cronista della Stampa, la virago bianca spiegò che il Cavaliere non poteva sentirsi una vittima, poiché era colpevole di aver arroventato il clima politico. E concluse, con un cinismo ben poco pio: «Certi gesti qualche volta sono spiegabili».
Il binomio Rosy & Silvio divenne una coppia di fatto che trovò uno spazio sorprendente anche fuori dalle cronache politiche. È indimenticabile lo scherzo di Roberto Benigni, tifoso del Partito democratico, nella prima puntata di «Vieni via con me», programma televisivo della Rai. Rivelò l’esistenza di un’arma letale per distruggere Berlusconi: si doveva infiltrare nel villone di Arcore non una gemella di Ruby Rubacuori, bensì una signorina democratica.
luca lotti rosy bindi (2)
Chi poteva assolvere quella missione speciale? Nello show di Benigni, il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, sceglieva la Bindi. Lei si ribellava: era una ragazza illibata e non avrebbe fatto la escort neppure per vincere le elezioni. Ma Bersani insisteva. Spiegandole: «Sei la donna giusta, a Silvio piaci tanto, devi soltanto presentarti bene. Molto truccata, scollatura abbondante, un po’ di ciccia messa in mostra.
Quando Silvio, arrapato, ti toccherà il sedere, tu urlerai: porcelloni, adesso vi castigo, ho registrato tutto! E se la polizia ti beccherà, dovrai reagire così: attenti a come vi muovete, io sono la suocera di Zapatero, il premier socialista spagnolo, qui scoppia un incidente internazionale, chiamate i caschi blu dell’Onu!».
Si sarà infuriata la Bindi per lo scherzo di Benigni? Penso proprio di no. Lei era difesa da un formidabile complesso di superiorità. E pensava di avere un grande futuro davanti a sé. Ecco perché è facile supporre che l’avvento di Renzi, e la sua doppia carica di premier e di segretario del Pd, l’abbiano scaraventata in un baratro di disperazione. Sembrava scomparsa. Niente più talk show. Niente più interviste.
ROSY BINDI
La vedevamo aggirarsi tra i banchi di Montecitorio come una migrante bianca appena sbarcata a Lampedusa. Quasi nessuno ricordava che Renzi aveva commesso un errore fatale: quello di non opporsi alla sua nomina di presidente della Commissione antimafia. Ma era proprio in quel luogo dimenticato da tutti che la Rosy stava preparando la vendetta.
Rosy Bindi allAssemblea del Pd
Come il cecchino sovietico di Stalingrado, aveva deciso di sparare contro il Ganassa fiorentino l’ultimo colpo del suo fucile. Venerdì, nel concludere un’affannata esternazione sui candidati impresentabili, ha impallinato con perfidia la controfigura renzista in Campania, il gigantesco De Luca. Se nel 1914 la rivoltellata di Sarajevo innescò la Prima guerra mondiale, la fucilata della Rosy potrebbe scatenare il finimomdo dentro il Pd. I duellanti sono entrambi toscani. Si odiano. E cercheranno di uccidersi. Peccato che alla fine della sua concione, la sceriffa di Sinalunga non abbia sibilato al premier: «Matteo stai sereno!».