1. IL POSTRIBOLO DOPO IL VAJONT. PANSA INSISTE: «HO VISTO TUTTO CON I MIEI OCCHI»
Paolo Navarro Dina per www.ilgazzettino.it
giampaolo pansa
Le pagine bollenti sono undici. E già il titolo del paragrafo la dice lunga “Un cinico al Vajont”. E questo uno dei capitoli dell’ultima fatica di Giampaolo Pansa. Nel libro “L’Italia non c’è più. Come eravamo, come siamo" tra i ricordi del giornalista anche la tragedia del Vajont visto con un occhio a dir poco polemico. Come il caso di Belluno che si trasformò in quartier generale dei soccorsi e, come racconta Pansa, anche in una “città del sesso”, con prostitute pronte a soddisfare i molti soccorritori. Molte le polemiche nel Bellunese, e Mauro Corona ha ribattuto: «Porti le prove oppure è solo un espediente pubblicitario».
Ma Pansa conferma ciò che ha scritto, prendendolo dai suoi ricordi.
giampaolo pansa l italia non c e piu
«Faccio il giornalista dal 1960. Non dico nulla riguardo alle polemiche. Ne ho fatte tante nella mia vita...».
Giampaolo Pansa non si meraviglia e non ha bisogno di scusarsi. Anzi.
«Ho visto tutto con i miei occhi».
A Belluno se la sono presa...
«Ero un giovane di 28 anni e venni spedito a seguire il dramma del Vajont. Ero un ragazzo sveglio ed energico. Lavoravo, mangiavo, scrivevo».
E andava a donne.
«E certo se trovavo una ragazza, che mi tiravo indietro? In realtà nel mio libro racconto anche di come si comportarono i giornalisti che furono spediti a Longarone in quell’ottobre del 1963. Come quando Giorgio Bocca tirò una bistecca ad un collega».
Però, Belluno ne esce come un postribolo. Non è carino.
«Ho raccontato le mie esperienza di 54 anni fa. Certo che c’erano le prostitute. C’era una quantità di uomini, tutti soccorritori, da quelle parti che pur qualcuno si sarà dato da fare».
2. IL POSTRIBOLO SUL VAJONT FA INFURIARE CORONA: «PANSA PORTI LE PROVE O TACCIA»
vajont
Squillo ed escort nel dopo Vajont: stanno sollevando un bel polverone le parole di Giampaolo Pansa che, nel suo libro L'Italia non c'è più. Come eravamo, come siamo pare disegnare intorno alla tragedia di vite e paesi scomparsi, una richiesta di sesso a pagamento. Tanto da affermare che le poche prostitute di Belluno non potevano certo soddisfare tutti i clienti e facevano gli straordinari. Mauro Corona non ci sta.
Pochi come lei sono entrati nelle pieghe del disastro del 9 ottobre 1963. Quale la sua replica al giornalista e saggista Pansa?
mauro corona
«Ho parlato del Vajont con tutto il pianeta. Con sopravvissuti, superstiti, giornalisti. O fotografi, come Bepi Zanfron. Non mi è mai stato sussurrato nulla su giri di ragazze destinate ad allietare la gente rimasta o i cronisti giunti da fuori».
E allora?
«Allora o si porta la documentazione o si tace. Quando si scrive un libro storico devi avere le prove di ciò che dici»...
3. PAOLO E CARLOTTA, DIALOGHI SU UN CINICO CRONISTA AL VAJONT
Anticipazione di "L' Italia non c' è più" (Rizzoli), nuovo romanzo di Giampaolo Pansa, pubblicata dal ‘Fatto Quotidiano’ lo scorso 9 marzo
In casa ho sempre sentito mio padre parlare di un tuo vecchio reportage su una sciagura terribile, quella del Vajont, una storia dell' ottobre 1963" disse Carlotta a Paolo "Avevo compiuto da qualche giorno i ventotto anni. E non ero mai stato tanto a lungo fuori dalla redazione della Stampa. Non ero ancora un inviato speciale, ma speravo di diventarlo. Avrei guadagnato di più e mi sarei fatto notare dai direttori di altri giornali. Speravo di andarmene da Torino e di trasferirmi a Milano, la città più importante per la mia professione . In parole povere, le uniche che voi giovinastri sopportate, la sera del 9 ottobre 1963, nei pressi di Belluno, una montagna franò dentro l' invaso di una grande diga, colmo d' acqua.
disastro del vajont
Un' enorme ondata cadde sul centro di Longarone e lo polverizzò. I morti furono duemila, forse di più ". "Sono rimasto per molti giorni su quel servizio. Ogni pomeriggio scrivevo un articolo e spesso anche due. Alloggiavo all' Hotel Cappello di Belluno, dove stavano tutte le squadre dei quotidiani. E ho imparato due o tre cose che in seguito mi sarebbero servite molto per non mitizzare in modo eccessivo il giornalismo italiano. La prima fu che, se volevo far bene il mio lavoro di cronista, non dovevo soffrire per quel che stavo vedendo e scrivendo.
Per essere chiaro, avevo l' obbligo di blindarmi di cinismo.
disastro del vajont
C' erano stati tanti morti? Pazienza, io ero ancora vivo Il mio cinismo venne incoraggiato dal vedere come si comportavano i capi delle squadre dei settimanali più importanti". "C' erano quasi tutte le grandi firme del giornalismo italiano . Si odiavano tutti. Durante la riunione plenaria del mezzogiorno si insultavano, si deridevano, si rinfacciavano colpe inesistenti o sgarbi presunti. Qualche volta rischiavano di venire alle mani. Un giorno, durante il pranzo, uno di loro, Giorgio Bocca, inviato del Giorno, scagliò una bistecca contro il leader della squadra concorrente: Alberto Cavallari, firma del Corriere della Sera. E lo mancò di poco.
disastro del vajont
Mezza Italia piangeva sui morti del Vajont. E la grande stampa si faceva la forca con una piccineria ridicola. Fu allora che la mia attenzione si rivolse verso un altro spettacolo che non aveva niente in comune con il nostro compito di raccontare la strage".
"Immagino che fossero le donne di Belluno" osservò Carlotta con malizia. "Sì, proprio loro" . Il cinismo e il piacere di scrutare le donne di Belluno mi resero meno faticoso il servizio sul Vajont. Neppure lo Stanzone degli Orrori, dove venivano raccolte le fotografie dei corpi ripescati nel Piave, mi sconvolse. A difendermi era la corazza della mia età . Di ogni salma una scheda, corredata dalle fotografie scattate quando era stata appena ritrovata. E le schede stavano su tre grandi tavoli del salone municipale.
diga del vajont
Qui arrivavano i parenti o gli amici di chi era scomparso sotto l' ondata. Nella speranza di non riconoscere in quelle immagini terribili i tratti di una persona amata. . Uno dei tanti articoli che scrissi per La Stampa descriveva quel posto infernale e le persone che lo frequentavano, sospinte da una speranza destinata a sfaldarsi. E fu lì che mi resi conto di quanto stava accadendo in città e che nessun giornale aveva il coraggio di scrivere . "Che cosa avveniva?" domandò Carlotta. "Quello che succede in tutte le comunità che hanno sfiorato il pericolo di sparire. All' orrore subentra la frenesia di provare a se stessi di essere ancora in vita.
diga del vajont
E la frenesia genera il primo dei desideri che lo dimostrano: il sesso . I maschi arrivati sul posto per occuparsi della catastrofe del Vajont e di quello che ne seguiva erano davvero tanti. Gli inviati e i corrispondenti dei giornali italiani e stranieri risultavano più di cento. Affiancati da una miriade di agenti di polizia, carabinieri, alpini, tecnici della televisione e della radio, esperti di catastrofi, operatori sanitari, tirapiedi dei politici e personale della Sade, la società proprietaria della diga che, in seguito, venne processata.
Le poche prostitute di Belluno non potevano certo soddisfare tutti questi possibili clienti. A risolvere il problema furono le squillo di altre località . Le più belle, e le più costose, venivano da Cortina d' Ampezzo, dove l' alta stagione turistica si era già conclusa . Le squillo facevano gli straordinari. Si davano il cambio, come accadeva nei bordelli di quel tempo. Su tutto questo circo, incombeva una certezza: nessuno sarebbe stato condannato per la frana precipitata nel grande invaso della diga".
disastro del vajont
"Andò davvero così?" chiese Carlotta. "Sì. A conferma che siamo un paese che ai potenti non manda mai il conto. Loro la fanno sempre franca".
vajon stampa espresso unita il giorno