Attilio Bolzoni per “la Repubblica”
PAOLO BORSELLINO CON LA FAMIGLIA
Quando è morto Paolo Emanuele Borsellino, siciliano, magistrato della Repubblica, figlio di un farmacista e padre di tre figli, assassinato dall'esplosivo mafioso e dal cinismo di un'Italia canaglia, tradito e venduto da uno Stato che non ha mosso un dito per salvarlo? È morto il 19 luglio in via Mariano D' Amelio o era già morto il 23 maggio a Capaci, quando alle 17,58 l'autostrada si è aperta e il suo amico Giovanni Falcone se n' è andato poi fra le sue braccia?
È morto la sera del 25 giugno quando ha fatto pubblicamente testamento nella biblioteca di Casa Professa o era già morto quando qualcuno intorno a lui stava trattando la resa con i macellai di Totò Riina? È morto nel lontano '84 quando di giorno aveva la scorta e di sera no o è morto nell' 88 quando a Marsala c' erano "grandi proprietà di mafia" e i latitanti non li cercavano mai?
giovanni falcone e paolo borsellino
Quando è morto per davvero Paolo Emanuele Borsellino, nato il 19 gennaio del 1940 nel quartiere arabo della Kalsa e diventato eroe solo dopo che i becchini l'hanno seppellito nel cimitero di Santa Maria del Gesù?
Se vogliamo raccontarla sino in fondo la storia di quest'uomo che per cinquantasei giorni abbiamo visto come un cadavere che camminava per Palermo, bisogna fissare nella nostra mente soprattutto le date di quell'estate breve del '92, bisogna inseguire le ombre che si muovevano al tempo fra la Sicilia e Roma, bisogna riascoltare la sua voce. Perché ormai ci resta solo quella. L'agenda rossa che aveva sempre con sé non si è mai più trovata.
Forse non c'è stato delitto più clamorosamente annunciato nemmeno nella Palermo dove l'omicidio politico- mafioso di tipo "preventivo-dimostrativo" era sempre preceduto da quella carica di paura più spaventosa del sangue stesso, e forse è proprio fra le pieghe delle sue parole - ora commosse ripensando all'amico che non c'era più, ora disperate per la solitudine dove anno dopo anno era sprofondato - sono rintracciabili i volti nascosti dietro il massacro.
AGENDA ROSSA DI PAOLO BORSELLINO
Tutti conoscevano la sorte che gli stava toccando. Tutti. E, lui per primo, è andato avvertito incontro al suo destino. È considerato l'erede di Falcone, il testimone che ha raccolto le ultime confidenze dell'amico eppure - in quei cinquantasei giorni di delirio fra Capaci e via D' Amelio - nessuno lo cerca, nessuno l'ascolta mai.
Vuole parlare e non lo fanno parlare, vuole indagare e non lo fanno indagare. Le pigrizie, il terrore, le complicità. I magistrati che investigano sulla strage di Capaci (quelli di Caltanissetta) non lo convocano nella loro procura nemmeno per un caffè. Al Consiglio superiore della magistratura non gli consentono di affiancare i suoi colleghi per condurre l'inchiesta, da Palazzo dei Marescialli "amichevolmente" gli spiegano dell'«inopportunità di una sua partecipazione alle indagini per il coinvolgimento emotivo».
PAOLO BORSELLINO
Giugno passa in fretta, troppo in fretta. I poliziotti della sua scorta sono preoccupati, ci sono molte auto in sosta in via Mariano D'amelio dove abita la madre del magistrato. È malata, lui la va a trovare sempre. I poliziotti segnalano al prefetto Mario Iovine e al questore Vito Plantone: «È pericoloso...».
Prefetto e questore non fanno nulla. È già il 20 giugno. Cinque giorni dopo Borsellino viene a conoscenza che alcuni ufficiali dei reparti speciali dei carabinieri stanno incontrando un pezzo grosso della mafia, l' ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino. Negoziano con lui, gli chiedono se può aiutarli a prendere Totò Riina. In cambio di cosa? È l'inizio della trattativa fra Stato e mafia che negli anni a seguire farà tanto scandalo in Italia. Ma in quei giorni, in quei cinquantasei giorni, Paolo Borsellino è sconvolto. Non è uomo da trattativa lui, da "dialogo" con quella gente. Il conto alla rovescia è già cominciato.
LA BORSA DI PAOLO BORSELLINO
Per l'ultima volta parla in pubblico la sera del 25 giugno. E ricorda il "giuda" che accoltellò Falcone al Csm, quando scelsero un anziano magistrato che nulla s'intendeva di mafia pur di sbarrargli la strada. E mentre si tormenta ci sono personaggi degli apparati che tramano, che stanno scendendo a patti. Totò Riina ha appena stilato un "papello", una serie di richieste - la revisione del maxi processo, la modifica della legge sui pentiti, norme più morbide sulla confisca dei beni - da sottoporre allo Stato.
PAOLO BORSELLINO - STRAGE DI VIA DAMELIO
Tutto s'incastra, tutto è a posto: il patibolo è pronto. Alla procura della repubblica di Palermo arriva una segnalazione di un attentato contro di lui che di quella procura è il vice, però gli altri non gli dicono niente. Siamo quasi alla fine dell'estate breve, quasi. Ancora il tempo di interrogare il pentito Gaspare Mutolo. «Mi fido solo di Borsellino», fa sapere. Ma il procuratore capo Giammanco gli manda un altro magistrato e Gasparino fa scena muta. Quando poi finalmente lo incontra, il boss gli svela nomi di giudici, poliziotti di alto rango, di spioni.
PAOLO BORSELLINO
Luglio, il "festino" di Santa Rosalia, la patrona di Palermo. Paolo Borsellino vede per l'ultima volta anche la sua Santuzza. Ormai ha capito tutto. Mancano due giorni, due dei cinquantasei giorni. È mattina, esce dalla sua casa sul mare a Villagrazia di Carini e prende per mano Agnese. Le dice: «Non sarà la mafia ad uccidermi ma saranno altri. E questo accadrà perché c'è qualcuno che lo permetterà. E fra quel qualcuno, ci sono anche miei colleghi». Hanno già rubato la Fiat 126, l'hanno già imbottita di esplosivo.
PAOLO BORSELLINO CON LA MOGLIE AGNESE
Alle 16,58 e 20 secondi del 19 luglio il procuratore salta in aria con i cinque poliziotti della sua scorta. Ma era già morto. I resti di Emanuela Loi, pezzi di carne insanguinata, finiscono appiccicati al quinto piano sulla parete dell' edificio. Non ci sono più neanche Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli e Claudio Traina. Tutto era già scritto.