1 - COSTANZI, LA ROMA MIGLIORE
Paolo Conti per “il Corriere della Sera - Edizione Roma”
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Orgogliosi di essere romani. Un sentimento raro da tempo, lo sappiamo: basta vivere in questa nostra città per sapere e capire perché. Ma venerdì sera l' occasione c' è stata. L' Opera di Roma ha offerto in diretta su Raitre, grazie a Rai Cultura, un eccellente esempio di come un teatro lirico possa reagire all' emergenza Covid.
«La Traviata», con la regia di Mario Martone e la direzione d' orchestra affidata a Daniele Gatti, ha mostrato a tutti gli italiani il miglior ritratto di Roma: un' istituzione culturale di livello europeo (non lo sarebbe se non fosse magnificamente guidata da Carlo Fuortes) in grado di offrire un superbo prodotto in un momento di estrema difficoltà. Le riprese hanno raccontato le bellezze del nostro meraviglioso teatro Costanzi, dei suoi ambienti, dei suoi tesori (basterebbe il maestoso lampadario, il più grande d' Europa), dei suoi palchi.
Nessuno ha detto in diretta: «Signori, anche questa è Roma!».
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Ma il messaggio è stato chiaro al milione di telespettatori che ha seguito la rappresentazione, un risultato numericamente straordinario. Negli stessi giorni in cui questa città offre una ineccepibile prova organizzativa dei centri vaccinali, «La Traviata» contribuisce a far sperare che l' attuale disastro (l' ennesima crisi dei rifiuti, l' Atac in perenne dissesto, la Corte dei Conti che indaga sulla parentopoli capitolina) possa essere affrontato e superato. Il Teatro dell' Opera ci assicura che possiamo farcela.
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2 - NELLA «TRAVIATA» DA LOCKDOWN DI MARTONE TRIONFA IL REAME OPERISTICO
Giovanni Gavazzeni per “il Giornale”
Palchi scialbi, scale ibride e corridoi anonimi trasformati in ottocentesche alcove bordellesche; la platea illuminata dal colossale lampadario abbassato diventata salone di feste orgiastiche e bisca; quinte boscherecce, fondali dipinti, saliscendi di cordami ricreavano in palcoscenico il ritiro agreste di Violetta e Alfredo: un teatro non certo avvenente come quello dell' Opera di Roma diventato il set della Traviata di Giuseppe Verdi.
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Ancora una volta il regista Mario Martone lascia ammirati, realizzando un' operazione estremamente difficile: adopera quanto trova in loco (e nei magazzini del teatro) e ci porta con credibilità nel reame operistico. Fra immagini dirette e registrate, il gioco registico è pienamente riuscito, perché comprende ed esalta la sintetica, folgorante, appassionata teatralità verdiana. Violetta credibile è stata il soprano Lisette Oropesa (nella foto), anche se i bidelli della vocalità potrebbero rilevare disuguaglianze di emissione, per altro dominate in senso espressivo.
La parte, si sa, è sovrumana e richiede pesi vocali tanto differenti, ma può bastare anche una sola voce di dentro, a patto sia comunicativa come quella della Oropesa. Accanto a lei il tenore Saimir Pirgu ha cantato con estremo garbo la parte di Alfredo, un po' alleggerita dei necessari attributi cabalettistici, chiamiamoli «bollenti spiriti».
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Presenza di sostanza quella di Roberto Frontali nel ruolo chiave di Germont padre: come rimprovera magistralmente il figlio che ha umiliato Violetta: «Di sprezzo degno sé stesso rende chi pur nell' ira la donna offende». Alquanto abbozzate le presenze comprimariali nei galanti e drammatici scambi nelle due feste. Il maestro Daniele Gatti ha suggellato con fonica densità il dramma; più problematica l' emulsione orchestrale nel côté brillante del demi-monde parigino.
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