Manuel Fondato per "il Tempo"
paolo VI MORO 1
Antonio Cornacchia, generale in congedo dei Carabinieri, nel 1978, da colonnello, comandava il Nucleo investigativo di Roma dell'Arma. Ha indagato sul Caso Moro (fu lui ad aprire la Renault 4 rossa in via Caetani), sul delitto Pecorelli, sulla Banda della Magliana. Su questi argomenti ha pubblicato diversi libri, di cui l'ultimo, Giustizia non fatta, tratta le contraddizioni e i lati oscuri del rapimento e l'uccisione dello statista.
Generale, partiamo dall'arresto in Francia degli ex terroristi. Cosa ha provato a questa notizia?
paolo VI
«"Finalmente", ho pensato e subito dopo alle loro vittime. stata una bella giornata di giustizia, che diventa spesso un miraggio. L'intervento del governo francese smentisce finalmente Mitterand e la sua dottrina. Ora però bisogna andare a fondo e non vanificare questi arresti».
Torniamo a quel 9 maggio 1978, in cui lei è tra i primi a intervenire in via Caetani.
«È stato un giorno molto doloroso, avevo conosciuto Moro personalmente 10 anni prima, il 21 marzo 1968, quando venne a trascorrere la festività di San Benedetto a Norcia, dove ero comandante della Tenenza dei Carabinieri. Mai avrei immaginato che sarebbe toccato a me rinvenirlo cadavere. Mi trovavo a Trastevere, in Piazza Ippolito Nievo, la radio mi cercò chiamando Airone 1, il mio nome in codice. Era il colonnello Gerardo De Don no, che mi avvertiva di una macchina sospetta in via Caetani.
La raggiunsi in pochi minuti, a quel tempo non c'erano macchine, abitazioni, c'era solo un passaggio pedonale. Via Caetani era anche la sede della discoteca di Stato, interrogai gli impiegati che lavoravano lì e riuscii a collocare alle 8 meno 6 minuti l'orario esatto in cui i brigatisti parcheggiarono la Renault 4, occupando il posto riservato normalmente all'auto del funzionario.
paolo VI moro 19
L'abitacolo dell'auto era completamente vuoto, notai un plaid che copriva qualcosa di voluminoso nella parte posteriore. Non toccammo nulla in attesa degli artificieri, che però tardavano ad arrivare. Presi allora un rudimentale piede di porco, aprendo il cofano posteriore notai il presidente. Non dimenticherò mai il suo labbro, la lingua metà intrisa di sangue, indice di un'agonia non breve. Secondo l'autopsia soffrì dai 10 ai 15 minuti prima di spirare».
La linea della fermezza era giusta? Uno Stato può trattare con dei criminali?
«Le linea della fermezza era un'assurdità, ancora più assurdo che fosse stata decisa e proclamata il 16 marzo quando ancora le BR non avevano rivendicato agguato di via Fani».
generale antonio cornacchia
Le indagini non produssero molto. Si poteva salvare Moro attraverso un utilizzo mi Fiore delle Forze di Polizia?
«Noi Carabinieri navigammo nel buio, le indagini di polizia giudiziaria non avevano le tecnologie moderne, le indagini erano molto basate sull'empirismo, si zappava l'orto sul campo, come dicevamo tra noi. Mi resi presto conto pere) che molti remavano contro di noi e la Digos».
Dove sedevano quelli che remarono contro?
«Al Viminale crearono rapidamente tre comitati di crisi, di cui uno formato da esperti. Tra loro anche il professor Franco Ferracuti. Lui lo conoscevo bene, in quanto criminologo, assistente del professor di Tullio. Entrambi erano insegnanti di antropologia criminale alla Scuola Ufficiali dei Carabinieri.
Anni dopo Franco si aprì con me confessandomi che la linea iniziale del Comitato era quella di temporeggiare per poter contattare e scendere a patti con i vertici delle Br. Ma Andreotti e il Partito Stato non furono d'accordo. Il 18 aprile ci fu la certezza che Moro non sarebbe uscito dalla prigione, quel giorno fu un susseguirsi di coincidenze, ma io credo solo a quelle ferroviarie.
generale antonio cornacchia
La mattina si individua il covo di via Gradoli 96 interno 11 residenza di Moretti e Balzerani. Mi chiame) il comandante dei vigili del fuoco Elveno Pastorelli, arrivai per primo, con il collega Antonio Varisco e attendemmo Domenico Spinella capo della Digos, con cui procedemmo alla perquisizione e al ritrovamento di materiale fondamentale per le indagini. Mi chiamarono per recarmi nel lago della Duchessa, ma io lo conoscevo bene e sapevo che era gelato per molti mesi l'anno, quindi scelsi di rimanere a via Gradoli. Segui il finto comunicato, fatto da Chichiarelli, falsario della Banda della Magliana, che gli esperti ritennero vero. Pecorelli su OP disse subito invece che era falso. Andreotti a Tribuna Politica su Rai 2 ribadì ancora la fermezza. Al termine di quella giornata ebbi la consapevolezza che per Moro non c'era più nulla da fare.
Cossiga soffrì particolarmente, anche dal punto di vista fisico, l'impossibilità di salvare Moro. Lei ebbe modo di incontrarlo spesso. Come visse quei 55 giorni, colui che, dopo Andreotti, era l'uomo con più potere in quel momento?
GIULIO ANDREOTTI
«Cossiga voleva salvare Moro. Al Viminale sapevano dov'era la prigione, l'aveva scoperta il Generale Dalla Chiesa. Lui aveva allestito Unis, un contingente di 30 paracadutisti che aspettavano in via Aurelia, in attesa di avere l'ok per entrare in azione e liberare Moro. Fu un'attesa vana. Andreotti non diede mai il via libera e cercò di occultare la documentazione relativa a questa operazione. Ma gli incartamenti sono stati trovati dal Tribunale dei Ministri nel 1996, solamente che il Senato non concesse l'autorizzazione a procedere».
Chi altro tentò realmente di fare qualcosa di concreto per Moro?
craxi andreotti
«Sua Santità Paolo VI. Il 6 maggio, tre giorni prima del ritrovamento del corpo, mi recai a Castel Gandolfo con l'ispettore generale dei cappellani delle carceri italiane don Cesare Curione e padre Enrico Zucca, cappellano anche del Noto Servizio cosiddetto anello, un servizio segreto parallelo: 167 uomini di cui si servirono tre presidenti del consiglio: Andreotti, Forlani e in parte anche Craxi. Incontrammo il segretario di Paolo VI monsignor Pasquale Macchi.
Era pronto un involucro con 10 miliardi di lire, che servivano a pagare il riscatto per la liberazione di Moro. Alle 19:35 squillò il telefono, Macchi andò a rispondere, tornò pallido e disse: "Ci hanno precluso di consegnare questo riscatto". Anni dopo seppi che era stato un elemento della loggia di Cristo Re in Paradiso, verosimilmente il dietrofront venne quindi dal Vaticano stesso, che proibì al Papa di salvare Moro. Il presidente non lo seppe mai, infatti scrisse: "Il Papa ha fatto pochino", invece il Papa fece tanto. Andreotti rimprovererà, se pur diplomaticamente, questa ingerenza».
cossiga andreotti
A chi faceva comodo la morte di Moro?
«La morte di Moro faceva comodo a tante persone. L'Italia aveva perso la guerra e ci eravamo illusi di sederci ai tavoli alla pari con gli alleati, invece dovevamo sottostare a certe condizioni, una di queste era che il Pci, il più grande dell'Occidente, stesse fuori dalle stanze dei bottoni.
aldo moro
Anche l'Unione Sovietica era contraria al fatto che un partito comunista potesse "democratizzarsi". Moro nel 1974 fu avvisato chiaramente durante il suo viaggio negli Stati Uniti che ci sarebbero state reazioni se avesse continuato ad avvicinarsi al Pci. Un funzionario americano a Roma, si riferì alla moglie di Moro, Eleonora, prefigurandole lo stesso destino di vedova di Jackie Kennedy».
Lei ha indagato anche sull'omicidio Pecorelli. La sua morte è connessa a quello che sapeva su Moro?
aldo moro
«Pecorelli ha pagato con la vita la sua ricerca della verità, toccando anche il partito a cui era vicino, la Dc, toccando chi gli dava informazioni, chi lo aveva sostenuto, OP. Pecorelli non guardava in faccia nessuno. Era andato a fare dichiarazioni in procura, mai rese note, il giorno in cui fu poi assassinato. Ho indagato per 7 mesi, sull'omicidio, ero presente in via Orazio quando trovammo il corpo; grazie alle indicazioni di Varisco, ucciso anche lui poco dopo, ho ricostruito l'identikit del killer che uccise con 4 colpi il giornalista. Sono ancora in attesa che la Procura mi risponda su alcuni temi che posi ai tempi».
Il ruolo della P2 è stato sovrastimato o fu reale?
aldo moro via fani
«La vicenda Moro viene definita sempre come un mistero, ma il mistero appartiene a un'altra categoria, mentre invece si tratta di un punto interrogativo al quale si continua a non voler rispondere. Io sono un avversario della dietrologia, nel caso Moro si usa sempre la dietrologia. Alcuni miei superiori erano iscritti alla P2, ma quello che Posso dire è che nessuno di loro mi ha mai dato indicazioni contrarie al corso corretto delle indagini, non ho mai avuto modo di dubitare di loro. Una volta Gelli mi disse: per sapere la verità su Moro bisognerà aspettare anni, quando saremo tutti morti, compresi io e lei».
aldo moro via caetani ALDO MORO aldo moro aldo moro brigate rosse francesco cossiga e aldo moro aldo moro Francesco Cossiga in via Caetani, davanti alla R4 con il cadavere di Aldo Moro aldo moro monsignor pasquale macchi