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    PARADISO DE’ NOANTRI: “LA POLEMICA SUL ROMANESCO DI ZEROCALCARE? MA NON CI ROMPETE LI COJONI! CON QUESTA STORIA HANNO CROCIFISSO CARLO VERDONE, LUCIO BATTISTI, ALBERTO SORDI. LA VERITÀ È CHE I POLEMISTI ATTACCANO SU QUALSIASI INEZIA FINCHÉ UN ARTISTA NON MUORE: SOLTANTO ALLORA, E NEMMENO SEMPRE, RICONOSCONO CHE HA FATTO QUALCOSA DI BUONO. PRIMA DOBBIAMO MORÌ" - "IO PARIOLINO E FIGHETTO DI ROMA NORD? CHE CAZZATA…” – VIDEO


     
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    SIMONETTA SCIANDIVASCI PER SPECCHIO – LA STAMPA

     

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    Tommaso Paradiso si firma così: Tommy, fiore. Il fiore, naturalmente, lo disegna, come abbiamo fatto tutti (quasi tutti?) da ragazzini, sui diari, sui muri e, quando proprio volevamo dar fuoco alle polveri e segnalare sprezzo del canone, sui temi in classe. Mettevamo un cuore, un fiore, un bacino e una serie di altre cose che, adesso, ci imbarazzano anche solo a guardarle, o a dirle.

     

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    Lui, invece, non arrossisce mai: esagera, esplode, crede davvero che l'amore è ciò che conta e ciò che salva, fa grandi dichiarazioni ai suoi amici su Instagram e riesce a cantare, con convinzione, o urlando o sussurrando, che la Corea del Nord non potrà fermare tutto questo, e Mannaggia alla Befana, e Ti mando un vocale di dieci minuti soltanto per dirti quanto sono felice, e Non avere paura mi prenderò cura io di te. E' uno di quelli che fa urlare o sussurrare chi lo ascolta, uno di quelli - e sono pochi - che sanno infilare, in una canzone, un "fanculo" che suona come un "ti amo". Non cambia mai: se ne sta dove gli piace stare, incastrato nella nostalgia.

     

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    Anche il futuro, che gli piace, lo immagina come lo immaginavamo negli anni Ottanta e Novanta: un mondo di Peugeot volanti, robot amichevoli, marziani conviviali e verdi. All'inizio della sua carriera, quando era il frontman dei The Giornalisti, era uno da golfino sulle spalle e aperitivo in barca, uno da Roma Nord, e gli veniva rimproverato tutto, perché lui incarnava la transizione dell'indie rock verso il pop, il cedimento al mainstream di una scena che aveva cominciato a produrre Calcutta, Motta, Brunori Sas: cantautori che la musica indipendente avevano cominciato a portarla fuori dagli scantinati, pur restando piuttosto fedeli all'immaginario indipendente (indie). Lui, invece, di scantinati, ribellismo posticcio, chiodi, underground e altri libertini non ha mai portato le tracce: è uno che è a suo agio in smoking, sul palco di Sanremo, ed è a suo agio sui palchetti della Prenestina, e dietro i banconi dei bar di Prati.

     

    il paradiso all’improvviso il paradiso all’improvviso

    Ai The Giornalisti è riuscito d'essere la sola band indie che non veniva da Roma est. A settembre di due anni fa, quando si sciolsero, Paradiso lo annunciò su Instagram, avvisando che l'indomani sarebbe uscita una canzone sua e soltanto sua, Non avere paura. Nelle stesse ore, ma proprio le stesse, Matteo Renzi annunciò la sua scissione dal Pd. Il Rolling Stone diffuse un meme con la faccia di Renzi al posta di quella di Tommy: sotto c'era scritto "The Scissionisti".

     

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    Naturalmente, Renzi twittò immediatamente che era una bellissima canzone e che era proprio vero: non bisognava avere paura. Torniamo al presente. Questa settimana è uscito il suo ultimo singolo, La stagione del cancro e del leone. Il 4 marzo (data sacra, data di Dalla!) uscirà il nuovo disco, Space Cowboy. Titolo ambizioso. Le daranno del presuntuoso. «Tutti pensano che lo sia perché hanno intercettato un riferimento al pezzo degli Jamiroquai, Space Cowboy, del 1994. In verità, e lo confesso ben sapendo che mi daranno dell'ignorante, non conoscevo quella canzone: io volevo semplicemente unire le mie più grandi passioni, anzi, le mie due ossessioni: lo spazio e i western.

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    Starei ore a osservare le stelle, guardo e leggo compulsivamente tutto ciò che trovo sulla teoria delle stringhe, i buchi neri, Marte, la luna, la Nasa. Ho un amore identico per i cowboy e i film di Sergio Leone e Bud Spencer, che mi sembra che vivano in un mondo che è l'antispazio: la terra, il saloon, la transumanza, i cavalli. Sarei ben contento di andare dallo Yutah in Canada al seguito di una carovana».

     

    Forse è più facile fare del turismo spaziale: basta diventare miliardario.

    «Sarebbe bello, invece, che tutti potessimo prendere un tram per Marte. Magari ci arriveremo: nell'America dell'Ottocento le piantagioni di granturco erano in mano agli straricchi.

     

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    Non mi scandalizzerei troppo. Piuttosto, non mi capacito di quanto minuscolo sia stato il progresso tecnologico: rispetto a quello che immaginavamo negli anni Novanta, la sola cosa che è cambiata e si è evoluta davvero sono i telefoni. Per il resto, se io ora mi affaccio alla finestra, vedo la stessa Panda che vedevo da piccolo. Abbiamo lo smartphone e possiamo usarlo per commentare cose che non capiamo: tutto qua. Non dico il teletrasporto, ma mi aspettavo almeno che, in questi anni, viaggiassimo su macchine volanti».

     

    La fissazione del trasporto le viene dal fatto che vive a Roma, dove muoversi è peggio che andare in guerra.

    «Senta: io amo Roma. Quando la vedo soffrire, brucio dentro».

    Si ricorda quando le davano del pariolino e del fighetto di Roma Nord?

    «Che cazzata. Io sono nato a Rione Prati, che è il quartiere che è separato dal centro dal lungotevere. Ora, mentre parliamo, c'è un cielo incredibile. Se faccio una foto e gliela mando, lei sviene».

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    L'ha vista la serie di Zerocalcare?

    «No. Ho perso portafogli mentre passeggiavo a Villa borghese, e allora ho bloccato le carte e ho dovuto rifare tutti gli account delle piattoforme. Recupererò presto».

    Ha sentito la polemica sul romanesco di Zerocalcare?

    «Ancora? Ma non ci rompete li cojoni! Con questa storia hanno crocifisso Carlo Verdone, Lucio Battisti, Alberto Sordi. La verità è che i polemisti attaccano su qualsiasi inezia finché un artista non muore: soltanto allora, e nemmeno sempre, riconoscono che ha fatto qualcosa di buono. Prima dobbiamo morì».

     

    Lei ha paura della morte?

    «No. Ho paura di ammalarmi e di soffrire».

    Ha firmato per il referendum radicale sull'eutanasia?

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    «No».

    Non pensa di avere poco tempo?

     «E perché dovrei? Sono molto geloso dell'ozio: per me una parte importante della vita va trascorsa senza fare niente. E so benissimo che è un lusso, che non tutti possono permetterselo: per questo esulto come alla finale dei mondiali quando posso stare a casa sul divano».

     

    Non capisco se lei è un filosofo o un bambino.

    «Il mio professore di filosofia del liceo mi diceva che sarei stato o un buon filosofo o un buon musicista. Era un manicheo, un anti romantico».

     

    Lei, invece, è un esplosivo romantico.

    «Io provo le stesse cose che provavo da piccolo, con la stessa intensità, i medesimi assoluti. Quegli stadi fagocitanti in cui venivamo inghiottiti da adolescenti, ecco, io li attraverso ancora. Di vivere una vita trattenuta non m' importa niente di niente e pazienza se fa male, se si dorme poco e si è sempre inquieti: è uno scotto che sono disposto a pagare, visto che in cambio ho la pienezza della vita».

     

    Lo spirito del tempo la condiziona, quando scrive?

    tommaso paradiso tommaso paradiso

    «No. Quando scrivo una canzone, la scrivo per un'iniezione di sentimenti e realtà. Mi metto al pianoforte o alla chitarra (o al telefonino, se ho un testo) e butto giù quello che in quel momento ho dentro. Scrivo e basta: una canzone, se è buona, è buona sempre, travalica le mode. Se un messaggio è fedele e onesto, le persone lo capiscono, lo avvertono, e la canzone resta: dura.

     

    Dagli ultimi due anni e mezzo che tutti abbiamo passato insieme e separatamente, di certo non possono uscire cose del tutto slegate da una cosa tanto enorme e dolorosa. Io ho scritto canzoni che erano evasioni, e quindi voli, perché a volte il solo modo per non soccombere è immaginare, oppure canzoni che erano immersioni e, quindi, profondamente malinconiche. In entrambi i casi, ero condizionato dal presente in maniera piuttosto schiacciante. Nel mio disco convergono queste due attitudini: il pessimismo e la speranza».

     

    Nel suo nuovo singolo parla di fiori, cielo, messa e scuola che finiscono: un mondo che riapre, una splendida primavera di una vita molto semplice.

     «Se fossi Zuckerberg, probabilmente, vedrei il futuro in digitale, immaginerei l'essere umano, possibilmente felice, immerso nel metaverso. Ciascuno immagina il mondo che sarà in base alla sua educazione sentimentale, alla vita e al lavoro che fa.

     

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    La mia idea di futuro è più legata alle origini: per me la storia è ciclica e l'unica cosa che mi tiene attaccato a questo mondo è il fatto che siamo in universo composto di materia, di fiori, di alberi e di ossigeno. Il mondo è il creato e l'uomo ne fa parte. Durante la pandemia in molti hanno immaginato che ci saremmo spostati verso una digitalizzazione quasi totale delle nostre vite, ma moltissimi altri, invece, hanno riscoperto la terra, la natura, la socialità, l'umanità. Io ero e sono uno di loro: io mi nutro di contatto, non di contatti».

     

    Le piace la parola artigiano?

    «È bellissima».

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    Lei lo è?

    «Quando le canzoni sono buone, le scrivo in mente e mi figuro quale strumento dovrà suonare, quale pausa ci dovrà essere tra una nota e un'altra, quale sound dovrà avere il pezzo. Al pianoforte mi ci metto molto dopo, quando già canto tutto in testa».

     

    Finga di avere ottant' anni e di essere davanti a una platea di adolescenti ai quali deve raccontare chi è Tommaso Paradiso. Che dice?

    «Prima di tutto, mi chiedo se quando avrò ottant' anni io, ci saranno dei ragazzini interessati a quello che faccio e ho fatto».

     

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    Non evada la domanda. «Direi: ascoltate le mie canzoni, io sono quello che ho scritto». Sarà sempre un musicista?

    «La musica è la mia manifestazione, lo strumento che ho scelto per raccontare le cose che ho dentro. A una certa età, quando avrò finito le cose da dire (perché sì: le cose da dire, a un certo punto, finiscono), spero che avrò la decenza di ritirarmi. Però mi piacerebbe continuare a lavorare con la musica, dopo che con le parole avrò detto davvero tutto. Magari comincerò a fare solo musica da camera, colonne sonore: cosa che già amo e che mi rimettono al mondo».

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    C'è qualcosa che a un certo punto ha smesso di essere possibile, per lei?

    «Tutto ciò che ho fatto nella mia vita non è stato dettato da nient' altro se non da un'esigenza. Penso a Inzaghi che va all'Inter e dopo alcuni anni si trasferisce alla Lazio perché capisce di non poter più dare niente. Ecco, quella è la mia idea di libertà: capire quando è il momento di prendere un'altra strada e prenderla davvero. Capire quando si deve respirare aria nuova e pura prima di poter cominciare e creare altro. Io, per scrivere, devo prima di tutto vivere. Vivere per raccontarla».

     

    Mi dice una nuova strada che vuole intraprendere?

    «Decide la vita».

    Davvero vuole fare dodici figli?

    «Forse devo abbassare la soglia: già con due cani è difficile. Mio nonno Luigi aveva 12 fratelli e allora questo numero mi è rimasto impresso».

     

    Il verso che più amo delle sue canzoni è in Stanza Singola, con Franco126: "Stammi vicino e tienimi lontano". Mi sembra una descrizione perfetta delle relazioni nel nostro tempo.

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    «Però non l'ho scritto io»

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