Francesco Spini per "La Stampa"
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Fine corsa per Diners Club Italia: la società è stata messa in liquidazione volontaria, le sue carte di credito saranno gradualmente dismesse e rese inattive nel corso dei primi mesi del prossimo anno. Quasi una maledizione, per il marchio che nel 1958 ha inaugurato l'era delle card di plastica nel nostro Paese.
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Una carta di lusso che, nonostante il recente boom dei pagamenti elettronici, la lotta al contante e lo sviluppo del fintech, non è riuscita a sfondare. La sua, piuttosto, è una storia costellata di rilanci. A vuoto.
Non ci riesce nel '97 l'imprenditore molisano della moda Tonino Perna (che finirà nei guai per il crac di It Holding, altra storia) e nel 2003 la rivende a Citigroup. A sua volta nel 2008 passa il testimone agli sloveni di Findale Enterprises della famiglia Love.
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Arrivano con le migliori intenzioni («vediamo in Italia notevoli potenzialità») ma alzano bandiera bianca e Diners Italia passa prima a Discover (costola di Morgan Stanley che organizza il circuito internazionale del marchio) e poi nel 2015 agli svizzeri di Cornèr Banca. «Grazie al nostro know-how» nel settore, dichiara al tempo il dg Paolo Cornaro, «vogliamo affiancare e sostenere l'azienda».
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Ma anche per gli esperti di Lugano l'impresa è ardua. Così, dopo un tentativo andato a vuoto a inizio anno di vendere la società (una cinquantina di dipendenti, circa 100 mila carte in circolazione, secondo alcune stime), l'istituto elvetico si arrende.
Valutate «l'ingente perdita complessivamente registrata dalla società nell'ultimo quinquennio», le «ulteriori difficoltà» legate all'emergenza Covid, «l'insufficienza delle iniziative di rilancio» in rapporto ai «ripetuti interventi di ricapitalizzazione già operati», viene spiegato in assemblea, preferisce lasciare il mercato italiano delle carte di credito.
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È la pandemia che nel 2020 abbatte i volumi del segmento corporate (-67%) e dei viaggi (-74%) a dare il colpo fatale: la perdita arriva a 6,76 milioni. L'ultima di una scia di rossi: nel 2019 la Srl perde 3,2 milioni, 5,3 milioni nel 2018.
Al netto delle riserve, il rosso incide per oltre un terzo del capitale sociale, quando scatta l'allarme da codice civile. Non bastasse in mezzo piomba anche una verifica ispettiva di Banca d'Italia che si chiude con una «proposta di irrogazione di sanzioni» in un procedimento che, alla data dell'assemblea del 28 giugno, non è ancora definito.
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Dettagli, ormai. L'assemblea taglia corto: decide di «sciogliere anticipatamente la società», nomina liquidatore Filippo Annunziata e pone fine alla storia italiana di un marchio che sopravviverà, ma all'estero.
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