Massimiliano Parente per “il Giornale”
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Quando l'ho visto in libreria ho pensato subito: che bello, un nuovo romanzo di Aldo Busi. E poi, anche: chissà quanto venderà, chi lo leggerà tra un romanzino stregato e l'altro, dove andrà a parlarne in televisione, di certo non da Fabio Fazio. E dopo averlo letto peggio ancora, ho pensato che non è un Paese per Aldo Busi, almeno non più: Busi è ancora troppo moderno, troppo vivo, in un Paese di morti neppure così viventi.
In ogni caso, è impossibile definire Vacche amiche , appena uscito per Marsilio. Un'autobiografia non autorizzata, come dichiara il sottotitolo, un monologo sfrenato, un buco nero di solitudine pazza e irrisarcibile, un manuale d'umanità di un uomo stanco di tutto e di tutti ma mai stanco di elaborare un'altra frase perfetta.
Ecco, Aldo Busi è uno scrittore che, per quanto si possa attaccare il solito schema dell'uomo da una parte e dell'opera dall'altra, in fondo ha messo in atto quello che Pasolini auspicava in una lettera a Moravia: abolire la separazione tra io letterario e io biografico. Cosa che Pasolini, altro moralista ma alla fine ipocrita, non ha mai fatto, neppure nell'ultimo romanzo.
Se Proust si era schierato contro Sainte-Beuve, Busi è da sempre contro Contre Sainte-Beuve , non c'è scissione tra uomo e opera, al di là di quanto dichiara in Sodomie in corpo 11 (opera dedicata «al sub dio», provate ad anagrammare) e al di qua della linea estetica di una dedizione al romanzo quasi metafisica.
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È così che Busi è una geniale invenzione di Busi che ha divorato se stessa, in quaranta libri, fino all'ultimo brandello di io narrante, è un'opera d'arte vivente della parola che si è fatta letteratura e poi di nuovo carne scrivente, soliloquio nevrotico e sublime, per esasperazione di sé e degli altri.
In fondo non c'è salvezza, in Busi, neppure per se stesso, sebbene coltivi questa fissazione del civile e del sociale che fa prendere un abbaglio a Marco Travaglio che lo scambia per un collega, tutto sommato nell'idea di voler migliorare l'uomo si sottovaluta (Busi, non Travaglio).
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È l'unico scrittore a aver rifondato una lingua, l'italiano, uno stile unico attraverso cui smascherare l'ipocrisia estetica e etica di un Paese piccolo piccolo e, per metonimia, un'umanità in generale ancora più piccola ma mai quanto l'Italia. Se fossimo una nazione con un minimo di coscienza intellettuale, se non fossimo il Paese che sdilinquisce nella propria ignoranza per il comico che legge Dante e la Costituzione in televisione, o per il ragazzo pupazzo che combatte la mafia con una scrittura da farti pensare che un mafioso farà schifo ma scriverà meglio, dovremmo inserire i libri di Busi nelle scuole.
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Mi sembra l'unico scrittore morale, spesso insopportabilmente morale, e allo stesso tempo estetico, enormemente estetico, nel senso che si legge perché detta legge. Casomai è scandaloso che sia stato lasciato andare via da Mondadori e preso da Rizzoli ma anche lì senza crederci davvero; mentre non si trovano nelle Feltrinelli, intasate di Gramellini e Bignardi e Gruber e cantanti e tutti questi qualcosa «e scrittore», opere incredibili come La delfina bizantina o Casanova di se stessi o Vendita galline km 2 e tante altre.
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Ci sono libri che non ti danno niente, altri che ti tolgono qualcosa perché diventi più stupido dopo averli letti. Invece Vacche amiche è l'opera terminale di un genio che ha prodotto così tanti capolavori da far vergognare Dostoevskij e alla fine meglio fare ciao ciao a una mucca che al vicino di casa.
L'unico difetto, di fronte a tanta moralità e incorruttibilità così perfettamente cesellate a ogni riga e in ogni spazio, è che ti viene voglia di andare a seppellirgli un cadavere nel giardino di Montichiari, o anche solo un leccalecca rubato a un bambino, tanto per trovargli una colpa, un briciolo di umanità al di fuori dell'opera. Impresa vana, perché Aldo Busi, come uomo, è tanto più vivo quanto meno il lettore si illuderà di avere una vita perché Busi gliel'ha data scrivendosi, diventando letteratura, la bellissima autobiografia di tutti e di nessuno.
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