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È IL CORPO LA MISURA DI TUTTE LE COSE – A PARIGI APRE UNA GRANDE MOSTRA DEDICATA AL GENIO SENZA CONFINI DI LE CORBUSIER: DALL'ARCHITETTURA ALL'ARREDAMENTO, DALLA PITTURA AL DESIGN

Carlo Olmo per “La Stampa

 

Al Beaubourg di Parigi si apre oggi la mostra «Le Corbusier. Mesures de l’homme» (aperta fino al 2 agosto), che avvia le celebrazioni del più discusso architetto del XX secolo, il cui vero nome era Charles-Edouard Jeanneret. La rassegna ha un ingombrante precedente, «L’aventure Le Corbusier 1987-1965», tenutasi nel 1987 sempre al Beaubourg per il centenario della nascita. In realtà mostra e catalogo, curati da Frédéric Migayrou e Olivier Cinqualibre, si aprono in una stagione e in un clima culturale profondamente diversi, dopo anni intensi, ma anche un po’ paradossali, di ricerca sul grande architetto svizzero (nato a La Chaux-de Fonds), mentre il 1987 segnava l’inizio di quella stagione.

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L’esposizione ha una chiave di lettura forte e perseguita con originalità. Un’originalità segnata più che mai dall’incipit della mostra. Migayrou - soprattutto nella prima sala, «Rytmes et motifs», e nel primo saggio del catalogo, Les yeux dans les yeux, architecture et mathesis - sceglie una geneaologia e un’ipotesi di lettura, non certo sconosciute, mai però fatte diventare la chiave interpretativa univoca di un’opera così complessa come quella di Le Corbusier.

 

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La sua educazione «sentimentale» viene - molto duramente, rispetto a una letteratura che lo vorrebbe di volta in volta formarsi in Svizzera o in differenti voyage d’instruction dall’Italia all’Oriente - collocata in Germania, tra 1908 e 1910, e non solo in Germania. È la Germania di Peter Behrens (l’architetto dal cui studio tanti passano, compresi Gropius e Mies van der Rohe) e di Hellerau, quella degli psicologi sperimentali (Fechner). 

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L’organizzazione spaziale
Il Le Corbusier che si presenta agli occhi di un visitatore che passa dai disegni (preziosi quelli della prima sala) ai quadri che illustrano l’avventura purista (o, se si vuole postcubista), ai mobili (quasi tutti presentati nella loro versione di prototipi), ai modelli, spesso accompagnati da filmanti originali, è un progettista che costruisce una concezione dell’architettura come organizzazione spaziale indipendente da forme stilistiche (in primis l’eclettismo): un elemento che nasce, per i curatori, dalle misure dell’uomo e dai suoi sensi. Una scelta interpretava che i due curatori, e in particolare Cinqualibre, sviluppano negli sala dedicata agli Anni Venti, facendo riferimento oltre che all’estetica sperimentale tedesca anche a quella francese, e a filosofi che scriveranno tutti sulla più importante esperienza editoriale di Le Corbusier, la rivista L’Esprit Nouveau (1919-1925). 

Ma come si materializzano le misure dell’uomo? Il filo rosso della mostra sono i tracciati regolatori che definiscono e legittimano le proporzioni delle facciate, il numero d’oro - la ricerca già pitagorica di un numero primo che reggerebbe tutte le misure -, sino al Modulor, il famoso uomo con il braccio alzato di 2 metri e 22 che occupa nella mostra la sala centrale, con i suoi tanti prototipi, tra cui quello che illustra la copertina del catalogo.

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Sono misure che nell’esposizione si traducono anche in una sottolineatura della funzione dei sensi (gli occhi come le orecchie nel definire e far diventare attrezzi progettuali questi metri di misura).


Il Modulor
La rassegna - ricca ovviamente di originali - diventa meno convincente nella sua parte conclusiva. Sia perché l’espace indicible, tema della sezione finale, mal si coniuga con la scelta di fare di Le Corbusier un sensista e un cognitivista, sia perché proprio la scelta di chiudere sul cabanon (la costruzione minima realizzata in Algeria e trasportata a Cap Martin, ultima residenza dell’architetto) e sulla sua immagine iperoleografica a corpo nudo, banalizzano un po’ le scelte coraggiose compiute sino alla sala su «La période acoustique» e sulla collaborazione con Xenakis a metà degli Anni Cinquanta. Se il corpo è «la misura» nelle espressioni più diverse del conoscere, forse il cabanon e quell’immagine semplificano troppo il messaggio.

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Una lettura strumentale
Un’ultima osservazione: la mostra cade in un momento particolare, segnato dall’emergere di una nuova destra francese, e dal tentativo, a sinistra, di esorcizzarla. Libération ha pubblicato il 19 marzo una pagina intera che - attraverso la recensione di due libri appena usciti su Le Corbusier, uno di François Chaslin, l’altro di Xavier de Jarcy - ripropone la questione della compromissione dell’architetto con l’Action Française prima e con il governo di Vichy poi. Due brutti libri che semplificano non solo la situazione francese, ma tutto il complesso rapporto tra architettura e politica lungo il Novecento. Trattare Le Corbusier al di fuori di una storia delle élite francesi e del loro complesso rapporto con Vichy è davvero banalmente strumentale.

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In questo clima l’esposizione del Beaubourg può persino apparire agnostica. Credo invece che rappresenti una ricerca coraggiosa di una lettura non subalterna né a una letteratura oggi davvero folle su Le Corbusier, né all’uso politico della storia. Una mostra convincente per molti aspetti, forse non completamente a suo agio nel tenere sino in fondo il rapporto tra psicologia sperimentale, cognitivismo, misure e scelta dell’organizzazione spaziale - quella che in termini architettonici si chiama distribuzione - come terreno di confronto e scontro vero sulla modernità (lo spazio e non gli «ismi»). Come tutte le mostre a tesi sarà molto discussa e anche questo sarà solo un bene.

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