Estratto dell'articolo di Daniele Mastrogiacomo per “la Repubblica”
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[…] Il generale Pedro Sánchez García, 50 anni, alla guida del Comando congiunto operazioni speciali della Colombia, accetta di raccontare a Repubblica come e perché si è risolta una delle più difficili ricerche di quattro ragazzini dispersi nel cuore della giungla amazzonica. […] . Per 40 giorni questo alto ufficiale dell’Esercito, oggi nuovo eroe della Colombia, ha guidato 200 uomini in mezzo alla giungla. Non si è arreso. Neanche davanti alla marea di ostacoli che incontrava nelle ricerche. Voleva trovare Lesly, 13 anni, Soleiny, di 9, Tien, 4, l’unico maschietto della famiglia, e la piccola Cristin di appena 1 anno. Ci è riuscito, contro ogni previsione.
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[…]
Avevate la tecnologia e la conoscenza dei luoghi degli indigeni.
«Ma non erano sufficienti. Più volte abbiamo incontrato tracce del passaggio dei bambini. Una, in particolare, il 18 maggio. Era la prima. Ci diede speranze, ci fece capire che erano vivi. Erano fresche, al massimo di 24 ore. Abbiamo spedito sul punto tutti i nostri uomini ma una volta arrivati erano sparite. Cancellate dalla pioggia. Cade anche per 16 ore al giorno, il fango le copre».
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Sapevate che erano vicini.
[…]Sapevamo che erano vicini, probabilmente alle nostre spalle. Forse a meno di 100 metri. Ma non li vedevamo, non li incontravamo. Probabilmente ci ascoltavano, sentivano le nostre voci. Non davano alcun segnale. Sono bambini, indigeni, diffidano degli estranei. In quel momento per loro eravamo un pericolo, non un aiuto. E poi, in quel tratto di foresta non si vede a 10 metri di distanza».
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Quando li avete incontrati, cosa le hanno detto?
«Non abbiamo parlato. Siamo rimasti in silenzio. Ci siamo solo guardati. Li rispettavo. Rispettavo le loro emozioni. Sentivo quello che provavano. Comunicavamo solo per energie. Tutti sono rimasti muti. Si sentivano solo i rumori della foresta. Loro erano spaventati, sotto shock. […]».
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Magdalena Mucutuy Valencia - la mamma dei bambini sopravvissuti all incidente aereo in colombia
Come sono sopravvissuti allo schianto dell’aereo?
«È il primo miracolo di questa straordinaria storia della giungla. La madre, probabilmente, teneva stretta in grembo la più piccola e l’ha protetta con il corpo. Cristin è sopravvissuta per questo».
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Erano feriti?
«Non mi risulta. So che avevano un sacco con tre chili di farina di manioca. L’hanno usata per nutrirsi. La più grande sapeva come usarla. Ci hanno ricavato anche del latte per la piccolina. C’erano tracce nel biberon che abbiamo trovato durante le ricerche».
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Cosa li ha fatti sopravvivere?
«La forza di volontà, il desiderio di restare in vita, la loro origine indigena. Hanno mangiato quello che sapevano di poter mangiare, si son difesi dagli animali e dai pericoli della foresta. Si sono protetti dalla pioggia e dall’umidità. Hanno lottato per sopravvivere. Una persona diversa non avrebbe resistito».
Tutto questo è bastato?
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«È servito a salvarli, sono lezioni di vita che imparano da piccoli, trasmesse di padre in figlio: nelle tribù indigene si insegna a usare quanto offre la natura. Certo, quando li abbiamo trovati erano magrissimi, sfiniti, al limite delle forze, denutriti».
Anche disidratati. Difficile trovare acqua sebbene piova così tanto?
«Bisogna saperla trovare. Hanno usato le grandi foglie delle piante su cui restava l’acqua che cadeva. Ma anche le canne di bambù: assorbono la pioggia, le buchi e ti disseti. Ti consente di andare avanti».
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Hanno usato le razioni K che lanciavate dagli elicotteri?
«Non mi risulta. Ma è presto per dirlo con certezza».
[…] Gli indigeni sono stati utili?
«Fondamentali. Come soldati non abbiamo le stesse capacità di muoverci nella foresta. Loro hanno una marcia in più. La conoscono, sanno muoversi anche senza mappe. La nostra tecnologia è stata complementare. Un grande lavoro di squadra».
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La voce registrata della nonna e diffusa dagli elicotteri?
«È stata una buona idea. Sappiamo che l’hanno ascoltata. Li ha fatti sentire a casa. Era una voce familiare. Forse in quel momento hanno capito che li stavamo cercando[…]».
C’era il rischio che potessero essere adottati da tribù isolate?
«Lottavamo contro il tempo anche per questo».
Quando torneranno dal padre?
«Tra due o tre settimane. La diagnosi è denutrizione. Devono riprendersi ma non hanno ferite o malattie».
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Allora come avete trovato i bimbi?
«Con tutte le tracce rinvenute abbiamo costruito una mappa virtuale e circoscritto la zona delle ricerche. Siamo andati avanti per tentativi, la pioggia e il fango ci obbligavano a ricominciare sempre daccapo».
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Molta fortuna.
«La fortuna si costruisce, ma questo è l’ennesimo miracolo della storia».
[…]C’è stato il contributo degli spiriti della foresta?
«Sì, sono stati decisivi, li abbiamo sentiti, ci hanno aiutato».
Che tipo di aiuto?
«Un cattolico crede nella preghiera, un indigeno in quello che vede e sente. Fiducia e speranza. Esiste qualcosa superiore alla raz onalità. Una forza indefinita che esiste e agisce. Era presente tra noi, ci circondava. Ci ha premiato».
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2. PANE DI MANIOCA, FRUTTA E BENDE AI PIEDI COSÌ LESLY A 13 ANNI HA SALVATO I FRATELLINI
Estratto dell'articolo di Claudia Guasco per “il Messaggero”
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Il nono piano del reparto pediatrico dell'ospedale militare di Bogotá, in Colombia, trabocca di amore, calore e giocattoli. È qui che Lesly Jacobombaire Mucutuy, 13 anni, i fratelli Soleiny Jacobombaire, 9 anni, Tien Ranoque, 4 anni, e Cristin Ranoque, appena un anno, vengono curati e coccolati dai medici. Nello schianto del Cessna 206 su cui volavano hanno perso la mamma Magdalena, loro si sono salvati e hanno vagato per quaranta giorni nella foresta amazzonica.
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I «figli della boscaglia», come li chiama il nonno Fidencio Valencia, sono sopravvissuti mangiando la farina di manioca che era a bordo dell'aereo precipitato e rovistando tra i pacchi di soccorso lanciati dagli elicotteri di ricerca. Ma si sono nutriti anche di «semi, frutti, radici e piante che hanno identificato come commestibili grazie alla loro educazione nella giungla», afferma Luis Acosta, rappresentante dell'Organizzazione nazionale indigena della Colombia. È
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Hanno improvvisato bende per proteggersi i piedi e costruito capanne di fortuna per ripararsi dalle piogge, tenendo insieme i rami con gli elastici per i capelli. Il loro percorso era disseminato di tanti piccoli indizi[…] foresta è talmente impenetrabile che non si vede a 20 metri di distanza, i rumori della pioggia e degli animali confondono. Ma i bambini «erano infusi di forza spirituale», dice Acosta, sono stati risparmiati dall'attacco dei giaguari, dal pungiglione velenoso degli scorpioni, dal contatto con le piante urticanti.
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In molti territori della Colombia gruppi armati illegali soverchiano le popolazioni indigene, che proteggono le loro terre con armi rudimentali, e anche tra queste ultime e le forze armate i rapporti sono tesi. Il salvataggio dei bambini ha portato a una tregua e ora i fratellini, martoriati dalle punture di insetti e con i piedi feriti, sono al sicuro. «Lesly ci ha sorriso, ci ha abbracciato e parla del cane Wilson - raccontano dall'ospedale - Tien si annoia a letto, vuole uscire e passeggiare. Soleiny ricorda tutto e Cristin è meravigliosa. Di quel viaggio nella foresta le è rimasto un orecchino al lobo».
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