1 - FOLLIA E MOLESTIE, VIAGGIO TRA I RAGAZZI DEL GARDA "RABBIA E ISOLAMENTO MA NON SIAMO TUTTI COSÌ" DENUNCE DI 5 RAGAZZE
Monica Serra per “la Stampa”
RAGAZZE MOLESTATE TRENO PESCHIERA DEL GARDA
Magliette griffate, canotte bianche, collane e anelli dorati. I loro idoli sono cantanti trap, vivono sui social - su Tiktok soprattutto che Facebook è «per vecchi» - dove raccontano ogni passo che fanno, compresi i momenti banali, trascorsi ad ascoltare musica al parco, a indossare un paio di sneakers nuove. Tra loro si chiamano «fra'», «bro'». E pubblicano senza sosta. Balletti improvvisati in stazione, richieste di compagnia femminile per una serata a Jesolo o a Rimini, attimi di follia in cui «spacchiamo tutto», al ritmo del tormentone Alicante.
Com' è successo a Peschiera del Garda il 2 giugno, dove dopo una giornata di follie nonostante l'allarme lanciato in anticipo dalla sindaca Orietta Giaulli, e rimasto inascoltato, ora la procura di Verona indaga sulla presunta violenza sessuale sul treno di ritorno a cinque ragazze di Milano e Pavia, e sta valutando se ipotizzare anche l'aggravante dell'odio razziale (al contrario) perché chi ha accerchiato e palpeggiato urlava «Qui comanda Africa», «Le bianche non devono salire».
giornata africa a peschiera 2
Nel piccolo centro sul lago e sulla spiaggia lido Campanello giovedì scorso erano 2.500, soprattutto italiani di seconda e terza generazione, tra i quindici e i vent' anni, nati da famiglie marocchine ed egiziane.
«Tutto è nato da un video virale su Tiktok», racconta Momo (nome di fantasia), 16 anni e genitori marocchini, ritratto nei video di Peschiera e che dopo qualche resistenza ha deciso di parlare, a differenza di un paio di sue coetanee (una italiana) che invece in cambio chiedono soldi: «Racconto solo se ci guadagno qualcosa».
giornata africa a peschiera 1
Momo spiega che alcuni ragazzi hanno girato il video-invito «il sabato precedente sulla spiaggetta: ballano, cantano, fanno il bagno». In testa c'è la scritta «2 giugno a Peschiera?».
Il maxi-raduno nasce così, con un filmato che raggiunge soprattutto studenti in vacanza per il ponte di Vicenza, Padova, Verona, ma anche Cremona, Milano, Bergamo, Brescia... In maniera incontrollata come accade col passaparola sui social. «Non tutti sono andati lì per fare bordello - spiega Momo - io non l'ho fatto. Ero lì per divertirmi, ballare, fare il bagno, conoscere gente». I saccheggi nei bar, i danneggiamenti, gli assalti ai turisti, o al trenino, le pietre contro la polizia in tenuta antisommossa, l'accoltellamento dopo il furto sarebbero stati commessi «da un gruppo ristretto, 50-60 ragazzi, di quelli che riescono a divertirsi solo se fanno tanto casino e non si può fare nulla per fermarli», prende le distanze Momo. Che però non sa spiegare l'origine di tanta rabbia: un po' sarebbe colpa del «lockdown» o di «condizioni di famiglia disagiate», un po' sarebbe «colpa dello Stato che non fa nulla per dare a questi ragazzi un'opportunità».
giornata africa a peschiera
Sulla questione ha le idee più chiare Ossama, 20 anni, famiglia marocchina, che parla con accento lombardo e sta studiando per la maturità. Lui su Tiktok, come tanti, ha criticato quel che è successo a Peschiera: «Invadete una città come animali, accoltellate, spaccate, fate risse, rubate, fate intervenire la squadra antisommossa e poi vi lamentate del razzismo in Italia. State rovinando la reputazione di tutti gli stranieri che sono brave persone. E per cosa? Per comportarvi come delle scimmie appena uscite dallo zoo? Mi vergogno per voi!».
Al telefono sostiene che questi giovani di seconda e terza generazione «sono troppo influenzati dai social, dal mondo della musica trap, che ascolto anch' io, non voglio condannarla, da certi film e finiscono per credere che vivere ispirandosi a quella violenza e a quegli ideali faccia "figo"».
Ossama vive in Lombardia e fino allo scorso anno frequentava «solo ragazzi stranieri, gruppi che da una parte soffrono il razzismo che ancora esiste, dall'altra tendono a isolarsi, vivono di pregiudizi che esistono solo nella loro testa. Era il nostro mood, ci sentivamo diversi e restavamo in disparte. È una specie di razzismo al contrario che fa più ridere dell'altro», riflette. «Con i miei amici non andavamo in centro perché ci sentivamo guardati male, stavamo sempre tra di noi, rischiavamo di metterci nei guai». Poi però qualcosa per Ossama è cambiato: «Ho capito che alcuni limiti erano nella mia testa, ho iniziato a frequentare altra gente, a pensare che voglio costruire qualcosa nella vita».
rave peschiera
Chi danneggia, spacca, saccheggia per Ossama non viene necessariamente da periferie disagiate: «In alcuni casi sì, ma tanti di questi ragazzi a casa sono agnellini, sempre educati con mamma e papà. Poi quando escono si trasformano». Spesso «si circondano di ragazzine italiane che siccome sentono una certa musica pensano faccia figo uscire col marocchino: è una moda». Ma «sbaglia chi pensa che le violenze o le molestie alle ragazze siano figlie della nostra cultura.
Molti di noi sono musulmani e il Corano non consentirebbe mai un simile trattamento delle donne». Quel che è successo sul treno alle cinque ragazze o se davvero ci sono altri casi di violenze che la procura di Verona per ora ipotizza, per Ossama «è frutto dell'ignoranza che non ha colore». E per chi indaga è figlio anche della dinamica di massa. Che mai come in questo caso, si muove con le regole del branco.
rave party peschiera
2 - LA RABBIA DEI FIGLI DI IMMIGRATI "GLI ITALIANI CI HANNO ISOLATO PER QUESTO CI SENTIAMO AFRICANI"
Karima Moual per “la Repubblica”
«Quello che è successo è vergognoso, quelle molestie sono terribili, ma possibile che i riflettori si accendono solo quando scoppia il caos? Si svegliano solo adesso scoprendo la rabbia e la violenza che molti ragazzi stanno sfogando? Ma di noi non ha mai avuto pietà nessuno, dallo stesso momento in cui ci hanno sbattuti nei peggiori quartieri, possibilmente ammassando tutti insieme, per identificarci ancora meglio come immigrati, africani a vita. Alla fine, ce l'hanno fatta. Sono riusciti a farci credere di essere più africani che italiani. Non capisco quindi perché tutto sto scandalo». Così Hassan (nome di fantasia) da Milano, quartiere San Siro, spiega il disagio di una generazione di figli di immigrati. «Sì, mi sento africano, marocchino e non certo italiano. Non sono mica scemo. So come ci guardano gli italiani e, sinceramente, preferisco tenermi strette le mie origini ».
rave peschiera
Mentre si racconta, cerca di spiegare, la voce a volte trema, eppure non ha nessuna voglia di fermarsi ed è convinto di rientrare in una specie di figura, marocchina, immigrata, africana, che non è altro che qualcosa di immaginario e astratto.
E basta vedere il volto dei genitori, sentirli parlare, per capire quanta distanza ci sia tra lui e il loro mondo. «Ma non ti guardi intorno sorella? Siamo solo la feccia per loro (inteso, gli italiani, ndr), e da dentro queste fatiscenti palazzine sono in pochi a permettersi di sognare. Fare piccole rapine, spacciare, per molti ragazzi è ormai normale».
le ragazze molestate sul treno da gardaland
Un disagio che esprime anche Farid, che ha appena 14 anni e vive a Vercelli, Mounir, diciottenne di Tor bella Monaca, estrema periferia est di Roma. Ragazzi che vivono in quartieri popolari e realtà diverse ma sembrano tutti fatti con lo stampino: abbigliamento, gusti musicali, tanta rabbia e voglia di emergere, uscire dal "ghetto" a tutti i costi.
«È un ghetto non solo di palazzine - spiega Fatma, 18 anni, tunisina ma di percezioni, opportunità, parole, stigmatizzazione e pregiudizi che continuano ad imprigionarci, senza via di scampo. I rapper emergenti, come Sacky, Baby Gang, Neima Ezza un po' danno sfogo al nostro disagio».
Dice Rashid, 20 anni, Barriera di Torino: «Io non sono una vittima. Semplicemente so che devo andare a prendere quello che mi spetta. Perché tanto qui non me lo darà nessuno. Sai quante volte mi hanno fermato le forze dell'ordine solo perché ho la faccia da maghrebino? Tanto vale fare il vero spacciatore».
ressa di ragazzi sul treno per peschiera
Parole troppo grandi per ragazzi troppo giovani nati in Italia da genitori immigrati e dove «l'Africa» è in realtà la città o il villaggio dove sono nati i loro genitori. Eppure, quelle parole riescono a dirle leggeri.
Quella che sembra accomunare una parte dei figli di immigrati. Basta parlarci, entrare un po' nella loro testa e scardinare i miti che si sono costruiti per capire che sono, da una parte, al centro di un vero scontro generazionale con la cultura e le tradizioni dei genitori; dall'altra, in un conflitto identitario con il Paese dove sono nati e cresciuti. Uno scontro che, in ultima istanza, sfocia in rabbia e violenza, come quella avvenuta il 2 giugno sulle spiagge di Castelnuovo e Peschiera del Garda dove si sono riversati centinaia di ragazzi arrivati dalla Lombardia per un raduno trap chiamato «L'Africa a Peschiera».
immigrati
Come si è riusciti a portare una parte delle seconde generazioni di nuovi italiani a percepirsi "Africa" nel Paese in cui sono nati e cresciuti? E attenzione, a percepirsi "Africa" nell'accezione negativa, rispondendo al peggior pregiudizio razzista. Perché quello è stato: la devastazione fisica del luogo pubblico per finire con le molestie orrende che hanno colpito anche qui, come a Capodanno a Milano, ragazze inermi, magari coetanee, compagne di scuola, sorelle, amiche, che di colpo vengono disumanizzate, per diventare solo «bianche» da molestare.
immigrati
Un nichilismo estremo. Una semplificazione rozza e al limite che divide tra bianco e nero, quando anche il bianco e il nero in quel dato contesto in realtà non esistono, ma sono solo una percezione che si è fatta realtà nella più becera violenza, che ci indica come nei prossimi anni sarà complicato trovare la ricetta giusta per scardinare un incubo che si è avverato, per la gioia di chi ha tifato sempre affinché una integrazione non fosse possibile e non ha fatto nulla perché si realizzasse.