Giuseppe Videtti per “la Repubblica”
PATTI SMITH
QUARANT' ANNI fa, durante il suo primo viaggio in Italia (mesi prima degli storici concerti di Firenze e Bologna), a me, sedotto e posseduto dall' album Horses, scrisse su un pezzo di carta una preghiera che è diventata un mantra: "Non aver bisogno di una camera operatoria / Essere salvi dai mali del corpo / Conoscere l' amore senza eccezioni / Essere un santo in ogni forma".
Patti Smith lo fa ancora. Scrive ovunque. Poetessa a tempo pieno e Marianna del rock & roll; selvaggia come allora, intensa come sempre, inafferrabile dagli stereotipi, inclassificabile dall' industria. Non più solo libri o dischi. Higher Learning, una mostra delle sue fotografie, dopo l' inaugurazione di oggi aprirà al pubblico domani a Parma al Palazzo del Governatore; sempre a Parma il 3 maggio l' Università le conferirà la laurea magistrale ad honorem in Lettere classiche e moderne e poi da lì al Teatro Regio il 4 inizierà il Grateful Tour pensato apposta per l' Italia (il 6 sarà a Torino per l' anteprima del Salone del libro).
PATTI SMITH
«Ho compiuto settant' anni, i ragazzi sono cresciuti e stanno bene, continuo a scrivere e cantare, vivo del mio lavoro, senza lussi, sono politicamente consapevole e l' energia non mi manca», esordisce l' artista, che recentemente ha acquistato la piccola casa ai confini tra Francia e Belgio in cui Arthur Rimbaud scrisse Una stagione all' inferno. «Il Grateful Tour è un piccolo segno di gratitudine verso l' Italia, per questo ho voluto coinvolgere anche i miei due figli sul palcoscenico; un modo per rinsaldare l' amicizia, un gesto simbolico per dire grazie. Sono fiera della laurea honoris causa, mi ripaga della frustrazione di non aver potuto proseguire gli studi. Non c' erano soldi in casa».
Che ricorda del periodo magico in cui tenne quei due affollatissimi concerti a Firenze e Bologna, alla fine degli anni Settanta?
«Fu una sorpresa, un colpo al cuore. Ero giovane, è vero, ma avevo già conosciuto Fred (Smith), che sarebbe diventato mio marito, e meditavo il ritiro dalle scene. L' inizio del trionfo, un modo perfetto per dire addio. Quei due concerti sono un raggio di luce nei miei ricordi, ho ancora negli occhi l' immagine dei ragazzi arrivati da tutta Italia che affollavano le strade e dormivano con i sacchi a pelo nei giardini.
PATTI SMITH DYLAN
Una celebrazione della libertà e della gioventù, e per me l' inizio di una nuova vita: mi sarei dileguata per fare la moglie e la madre - l' ho fatto per sedici anni, fino alla morte di Fred. Non avrei mai pensato, tornando in Italia negli anni Novanta, di poter ritrovare l' affetto e il calore di un tempo. Ora lo so, è per la vita».
Era una situazione un po' schizofrenica, in Europa aveva un pubblico da stadio e negli Usa si esibiva in piccoli locali di culto come il CBGB' s di New York.
«In America ero/sono una dissidente, politicamente ero/sono tutt' altro che allineata, l' Europa invece, madre di tutta la letteratura, la pittura, il teatro e il cinema di cui mi nutrivo, era assetata di novità, inevitabile che ci fosse una maggiore disponibilità ad abbracciare quei contenuti poetici veicolati da una forma musicale immediata e contagiosa come il rock and roll».
Cosa le manca della New York dell' epoca, quella degli esordi, così suggestivamente raccontata nel best seller "Just Kids"?
PATTI SMITH
«Tutto. Era una città buia, sporca, povera, affamata, sull' orlo della bancarotta, straordinariamente aperta a poeti e musicisti. Era possibile affittare un loft e sbarcare il lunario, come facevo io, lavorando in una libreria. Niente carte di credito, nessun supporto tecnologico, ci sosteneva l' energia di quella enorme comunità di creativi squattrinati che popolava Manhattan. Tutto questo è perduto, i ragazzi della mia band non possono neanche permettersi di viverci, sono sparsi tra il New Jersey e la Pennsylvania».
Ora che ha acquistato la casa di Rimbaud potrebbe finalmente trasferirsi in Europa.
«Ormai sono cittadina del mondo. Ho acquistato quella casetta che era stata danneggiata dai bombardamenti nazisti con l' intenzione di trasformarla in residenza di giovani scrittori e artisti che hanno bisogno di un periodo di ritiro per riflettere e creare. Mi piaceva l' idea di preservarla per le future generazioni».
PATTI SMITH
Come ci si sente dopo la morte di compagni di viaggio come Robert Mapplethorpe e Lou Reed? Aver accarezzato la bellezza e lasciare ai posteri il segno indelebile del proprio passaggio riesce a rendere più accettabile l' idea dell' impermanenza?
Anche nel cameo che ha girato per "Song to song", il film di Terrence Malick appena uscito in America, ribadisce quanto l' assenza di Fred sia stata devastante.
«Mi manca ogni singola ora del giorno, ma lo sento accanto, lo rivedo nei miei figli, nei loro lineamenti e nel loro amore per la musica. Il nostro compito è mantenere acceso il fuoco.
Come io ho fatto con tutti quelli che ho perduto: Robert, Lou, mio fratello, i miei genitori.
Mia madre mi è sempre accanto, è l' unica presenza che non mi abbandona mai, non si fugge dalla propria madre né in vita né in morte. L' eredità artistica? È una consolazione solo per chi resta».
Le è mai balenata l' idea di fare un film? "Just Kids" sarebbe un' idea formidabile da sviluppare.
«Sto scrivendo un copione per una serie televisiva, oggi se ne vedono di bellissime grazie a Dio. Sto anche scrivendo due libri contemporaneamente, un romanzo e un' altra storia autobiografica, questa volta incentrata sulla musica, il palcoscenico, le canzoni».
PATTI SMITH
L' abbiamo vista molto emozionata durante il discorso di accettazione del Nobel per la letteratura a Bob Dylan. Si è sentita di nuovo una fan?
«A volte è preferibile essere umani che perfetti, e l' emozione in questo caso era il segno del grande rispetto che ho per Dylan e per il Nobel. Sono sempre stata una fan molto, molto fedele. Anna Magnani, Picasso, Pasolini, Michelangelo, Collodi (e Pinocchio), Jimi Hendrix, Papa Luciani, Madre Teresa: i miei idoli sono per la vita ».
Come artista e cittadina americana la preoccupa il programma del presidente Trump?
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«Come artista non mi sfiora, gente di quella risma non potrebbe mai interferire con quello che faccio. Mi preoccupa invece moltissimo (e mi fa incazzare) come essere umano, come madre, come persona informata sullo stato di salute del pianeta, sulle condizioni delle popolazioni svantaggiate e sul problema dei rifugiati. Questo, più che mai, è il momento per gli artisti di rivendicare la propria libertà e la propria indipendenza».
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