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    PECUNIA NON OLET - UNA VOLTA SI CHIAMAVANO COOP. OGGI SONO COME TUTTE LE ALTRE IMPRESE: OBBEDISCONO AL PROFITTO. E IN LEGACOOP SCOPPIA LA GUERRA DI SUCCESSIONE AL MINISTRO POLETTI


     
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    1. C'ERANO UNA VOLTA LE COOP
    Marco Palombi per ‘Il Fatto Quotidiano'

    GIULIANO POLETTI IN SENATO FOTO LAPRESSEGIULIANO POLETTI IN SENATO FOTO LAPRESSE

    Giuliano Poletti dice ai sindacati di non preoccuparsi: il decreto sul lavoro non aumenta la precarietà. Il ministro del Lavoro ci mette la sua faccia gioviale di neopolitico e di guida ultradecennale del sistema cooperativo attraverso Legacoop, la Confindustria rossa: diritti, progressismo, solidi legami con la filiera Pci-Ds-Pd e, ovviamente, con la Cgil. Come si fa a non fidarsi?

    Qualche motivo, a ben guardare, c'è: aziende nate attorno a mutualismo e solidarietà, oggi in larga parte funzionano come una normale impresa capitalista - guerriglia ai diritti e alle retribuzioni dei lavoratori compresa - pur continuando a conservare i benefici che la legislazione concede loro in quanto faccia "buona" dell'imprenditoria, una faccia continuamente rivendicata nelle stentoree dichiarazioni dei vertici e nelle pubblicità con cui dalla tv si rivolgono agli italiani. Ecco qualche spunto sul tema.

    La commissione d'inchiesta
    Che gran parte del sistema cooperativo obbedisca ormai alla logica del profitto è opinione diffusa. Lo sostiene con forza l'Unione sindacale di base (Usb), che nella distribuzione è il secondo sindacato interno, e l'unico conflittuale, e in Coop Italia, dalle ultime elezioni, il primo.Il tema è entrato pure in Parlamento visto che la deputata M5S Gessica Rostellato ha presentato un ddl per chiedere una commissione d'inchiesta sul sistema coop. Il punto è: chi e come controlla che un'impresa sia davvero cooperativa? Oggi siamo più o meno all'autocertificazione. Eppure quello status consente libertà mica piccole: non solo un fisco di favore, ma pure la non applicazione al socio-lavoratore dello "Statuto dei lavoratori" o la possibilità di derogare ai contratti nazionali.

    La passione per la finanza
    Di come le grandi cooperative usano il risparmio sociale s'è occupato sul Fatto Quotidiano Giorgio Meletti a ottobre: "Le Coop impiegano gli oltre 10 miliardi del prestito dei soci in operazioni finanziarie, dai Bot alla Borsa. Nel 2012 erano immobilizzati in partecipazioni azionarie 2,2 miliardi di euro (...) Le nove Coop hanno partecipazioni azionarie per 2,2 miliardi e un patrimonio netto di 6 miliardi". Come Mediobanca: "Solo che quella è una banca d'affari, la Coop una catena di supermercati". E, dunque, non soggetta alla vigilanza di Bankitalia.

    Precarie per sempre
    L'80 per cento dei lavoratori del commercio coop sono donne: spesso sono precarie, malpagate, costrette a organizzare la loro vita attorno alle esigenze del supermercato, ad andare in bagno a comando. Il tutto, sempre, col sorriso sulle labbra. Per contratto. Non è un'esagerazione: la Coop Estense, tempo fa, ha proposto la valutazione del sorriso delle dipendenti tra i criteri per accedere al salario integrativo.

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    Quanto alla precarizzazione, una storia per tutte. Catia Bottoni, 40enne da Colleferro (Roma), detiene una sorta di record in questa specialità: in 12 anni di Ipercoop ha collezionato la bellezza di 27 contratti diversi, sperimentando in pratica tutte le fantasiose forme di precarietà inventate dal legislatore. Quando la Coop l'ha cacciata, nel 2009, faceva la commessa a 45 chilometri da casa. Da allora, Catia prova a far valere le sue ragioni: l'azienda le ha proposto un contratto part time a Formia, 100 km da casa. Per protesta s'è pure incatenata due volte sotto la sede di Legacoop: l'allora presidente, Giuliano Poletti, non l'ha mai ricevuta.

    La Coop? Come Marchionne
    La storia di Lucia Di Maio, 50enne da Solofra (Avellino), ricorda quella degli operai di Melfi che Fiat si rifiutava di reintegrare. Nonostante una sentenza della magistratura di aprile 2013, infatti, per mesi Unicoop Tirreno ha fatto finta di niente. Quando poi ha deciso di rispettare la legge, a fine gennaio, le ha ordinato di presentarsi al lavoro nel punto vendita di Orbetello, oltre 400 chilometri da casa sua. I "compagni" della grande distribuzione hanno un concetto personale del rispetto della legge. Il limite di 36 mesi ai contratti a termine prima di dover assumere non lo prendono nemmeno in considerazione.

    CoopCoop

    Un solo esempio: a Livorno, dopo un decennio di precariato, Unicoop a inizio
    2013 si apprestava a passare "a tempo indeterminato " cinque lavoratrici. Poi, però, ci ha ripensato: licenziate. Di fronte allo sciopero indetto dai colleghi, il capolavoro: dipendenti precettati.

    La Coop? Come Valletta
    Nei supermercati, anche della Coop, non mancano comportamenti antisindacali (più volte certificati da sentenze) e nemmeno i "reparti confino" come nella lontana Fiat di Vittorio Valletta. I "puniti" vengono inviati o in pescheria o alla cassa, specialmente quella "veloce", che è sempre presidiata. É successo pure a Francesco Iacovone, dipendente coop dal 1989, oggi responsabile commercio dell'Usb a cui dobbiamo alcune di queste storie: dopo il passaggio dalla Cgil al sindacalismo di base arrivarono il reparto confino, le minacce in bacheca, la macchina danneggiata e persino le botte durante un'assemblea dei soci.

    CoopCoop

    Storie così, magari meno drammatiche, non sono rare: sulla scheda di valutazione di un dipendente abbiamo letto che l'interessato non può essere promosso. Motivo? Fa il sindacalista. Non manca nemmeno l'ordinario marchionnismo: dal delegato Rsu trasferito o demansionato fino alla schedatura fotografica degli scioperanti.

    La gaffe del calendario
    Coop Lombardia anche nel 2014 ha fatto un bel calendario con le facce dei suoi dipendenti: "Non solo cassiere, capi reparto, addetti alle vendite, ma anche mamme, papà, sportivi, appassionati di musica e sognatori". Ecco, tra di loro c'è pure una madre sola che non viene promossa proprio perché deve allevare una figlia. Da sola.

    Il futuro: franchising e subappalti
    Unicoop Tirreno ha annunciato per il 2014 lo sviluppo dell'e-commerce a Roma e il progetto franchising di cooperativa. Il primo viene realizzato subappaltando tanto l'informatica quanto la logistica. Tradotto: nella coop, accanto ai dipendenti dell'azienda, ci sono quelli in subappalto, che lavorano per meno soldi e diritti. Lo stesso si può dire per il franchising, l'affitto del marchio: sembrerà la Coop, si leggerà Coop, ma con quella forma di impresa tutelata dall'articolo 45 della Costituzione non avrà nulla a che fare.

    coopcoop


    2. GUERRA PER LA SUCCESSIONE A POLETTI: LA DITTATURA TOSCO-EMILIANA ALLA FINE?
    Emiliano Liuzzi per ‘Il Fatto Quotidiano'


    È diventato difficile distinguere da quelle che un tempo si chiamavano "bianche" o "rosse": i due colori, almeno in politica, sono vittime di una virata cromatica indefinibile. Stessa cosa vale per il clima da larghe intese che non permette più definizioni. Così, per la prima volta nella storia, la guida di Legacoop (8,5 milioni di soci e 62 miliardi di fatturato), seppur pro tempore , è stata affidata a un toscano, Giorgio Bertinelli. È lui che si è seduto al comando appena Giuliano Poletti, imolese di nascita e residenza, è stato chiamato da Renzi. E mai e poi mai quel posto aveva varcato i confini emiliano romagnoli.

    Mentre Poletti non aveva ancora giurato, il mondo delle coop era già in subbuglio per la successione. Poletti ha guidato l' impero per dodici anni, senza il minimo contrasto. Oggi gli equilibri sono persi e la successione potrebbe capitare tra le braccia di chiunque. Bertinelli, che non è sgradito al ministro, ovvio che ci provi, e sarà complesso farlo fuori.

    COOP GRANDE FRATELLO - VIGETTA BENNY DA LIBEROCOOP GRANDE FRATELLO - VIGETTA BENNY DA LIBERO

    Una battaglia che da Pistoia sale su per la vecchia Statale Porrettana e arriva a Bologna. Negli anni, erano stati fatti i nomi di Pierluigi Stefanini, amministratore delegato di Unipol, e quello di Adriano Turrini, presidente di Coop Adriatica, ma sono tramontate.

    Un nome potrebbe essere quello di Paolo Cattabiani, da poco diventato numero uno di Legacoop nel Nordest dopo aver lasciato l'Emilia Romagna. Sempre l'Emilia fa il tifo per un altro bolognese, Gianpiero Calzolari, numero uno di Granarolo e alla guida di Legacoop a Bologna. In quota anche Giovanni Monti e Luca Bernareggi che guida la Legacoop di Milano e della Lombardia.

    Insomma, non solo un problema tosco-romagnolo. E se dovesse capitare a un esterno sarebbe una svolta centenaria, visto che Bologna ha sempre mantenuto la guida in casa e ha sempre guidato, o si è fatta guidare, dalla politica monocolore di Bologna e dintorni. Poletti era arrivato alla guida da numero uno della Lega Coop dell'Emilia Romagna nel 2002, ma allora la struttura da sola rappresentava più del 60% del fatturato del gruppo. Non fu facile, il gruppo aveva chiesto la disponibilità a Pierluigi Bersani, che rispose con un cortese, ma deciso "no, grazie". Non un nome di secondo piano.

     

     

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