PEDRO ALMODOVAR A VENEZIA
Su Repubblica un’interessante intervista a Pedro Almodóvar. Racconta l’infanzia e l’adolescenza vissute sotto il franchismo.
«Dai salesiani, dai 10 ai 14 anni. Un incubo. Il terrore aleggiava sotto quel tetto, decine di bimbi abusati. Avevamo tutti paura di essere aggrediti nei corridoi. Una qualità di studio pessima. I docenti non avevano alcuna qualifica pedagogica. Dai francescani, dai 15 anni, tutto fu meno turbolento. Ma c’era l’indottrinamento politico, la formazione dello spirito nazionale, la storia piegata al potere da parte dall’insegnante falangista. Per fortuna a 18 anni sono andato a Madrid e i fantasmi sono spariti».
A Madrid la vita era più libera.
«I giovani erano hippie. Mi sono fatto crescere i capelli, ne ho abbracciato l’estetica: perline, abiti, amore libero. Ho comprato la prima Super8 e iniziato a fare film. Franco aveva chiuso la scuola di cinema, le lezioni erano i film che facevo nei weekend con gli amici, c’erano già temi che poi avrei sviluppato».
Finita l’era di Franco, iniziò il movimento spontaneo che per il mondo è la movida.
pedro almodovar in giorgio armani
«Sull’onda del punk e della New Wave londinese Madrid diventa la città più libera, la notte è infinita e senza pericoli, una ragazza poteva camminare alle tre senza rischi. Era come se Franco non fosse mai esistito, la vendetta era negare la sua esistenza e la dittatura.
Ma io non ho mai dimenticato, perché se nei weekend giravo i Super8, in settimana lavoravo presso la società telefonica e lì è nata la mia coscienza di classe: gli scioperi, le lotte della sinistra continuate poi con l’appoggio alle battaglie politiche».
Le donne dei suoi film sono la perfetta rappresentazione del suo cinema politico.
pedro almodovar
«Tutti i personaggi femminili dei miei film, nonne, suore, casalinghe godono di una assoluta autonomia morale: questa è una affermazione politica».
Sulla sua gioventù:
«Sono felice di ciò che sono stato e di ciò ho fatto, malgrado i rischi. Molti amici sono morti, in quella vita vertiginosa, perché tra le libertà scoperte c’erano le droghe. La mia precoce vocazione per il cinema mi ha dato una disciplina enorme. Ero il primo ad andare a dormire. Non sono stato un santo ma non ho mai preso l’eroina, vedendone gli effetti immediati capivo che non era per me. La cocaina mi dava vitalità, parlantina, socialità. L’eroina è stata il Vietnam della mia generazione. Guardavamo a David Bowie e Lou Reed, stupendi e tossici. Non si conoscevano i danni delle droghe».
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Parla del rapporto della Spagna con il successo.
«Con il successo mondiale si è creato qualcosa di molto spagnolo: una tremenda invidia. Ci convivo. In Francia sono grati ai loro idoli, in Spagna non ti perdonano il successo. Nessuna stella da noi avrebbe il riconoscimento che avete dato a Raffaella Carrà, i suoi funerali da capo di Stato sarebbero inconcepibili. Ma la Spagna è anche il luogo in cui ho potuto lavorare con totale indipendenza. Se avessi ceduto alle tentazioni di Hollywood, avrei perso la libertà».
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