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    PELU’, SESSO E ROCK’N’ROLL: “LA DROGA? OGNI VOLTA CHE FUMAVO LE CANNE COLLASSAVO. IL MIO AMICO È MORTO PER OVERDOSE. LA MIA CROCIATA CONTRO COCA E EROINA E’ PARTITA… - IN SPIAGGIA VADO SPESSO NUDO. VASCO E LIGA? NAZIONALPOPOLARI. IO SONO UN ETERNO PETER PUNK” – IL FASCISMO STA TORNANDO. PER FORTUNA CI SONO LE SARDINE. UNA BOTTA DI LUCE. E POI RENZI, SALVINI E LA MELONI (“UNA TOSTA”) E SANREMO: "HO PENSATO DI FAR DIRIGERE A MIA MOGLIE L'ORCHESTRA MA..." – VIDEO


     
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    Aldo Cazzullo e Andrea Laffranchi per il Corriere della Sera

     

    Piero Pelù, che cosa ci fa El Diablo, il rocker maledetto, il musicista antisistema, al Festival di Sanremo?

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    «Festeggia i quarant' anni di musica».

     

    Con Al Bano&Romina e i Ricchi&Poveri?

    «Sanremo non è più quello di un tempo: negli anni 80 era inguardabile, si cantava in playback. Ci sono stati i festival di Fabio Fazio, che aveva in gara anche i Subsonica. Prima ancora ci sono passati Rino Gaetano, Zucchero, Vasco».

     

    Lei di Vasco ha detto che è nazionalpopolare.

    «Con Vasco ci conosciamo dal 1980, quando ci incrociammo sullo stesso palco. Io avevo 18 anni, lui 28. Siamo tutti e due dell' Acquario, nati in questi primi giorni di febbraio. E siamo tutti e due timidi; per cui ci ignorammo».

     

    Con Ligabue avete fatto una canzone contro la guerra in Kosovo, «Il mio nome è mai più»; ma anche di lui ha detto che è nazionalpopolare.

    «Ammiro Vasco e il Liga, il loro modo di pianificare il lavoro in ogni minimo dettaglio, compresa la scrittura. Se vuoi essere nazionalpopolare devi pagare un prezzo. Il mio modo di scrivere invece è ancora legato all' istinto, al bambino che ho dentro: Peter Pan, o meglio Peter Punk.

     

    Ho degli impeti pazzeschi, poi magari sto fermo per mesi. Non è che mi metto su Internet a cercare ogni parola per vedere i link o i like; aspetto l' input che mi viene da quel che ho vissuto».

    piero pelù jova liga piero pelù jova liga

     

    Ai tempi della guerra del Kosovo c' era la sinistra al governo. D' Alema.

    «Un artista deve essere sempre critico, sempre contro il potere. Ribelle, rivoluzionario, anarchico. Io sono di sinistra, ma detesto tutte le dittature, anche quelle rosse. Al ritorno da Cuba criticai Castro, e i comunisti di casa nostra mi massacrarono. Ho suonato al primo e ultimo festival rock di Hanoi, in quei giorni ho visto la polizia picchiare i manifestanti con i manganelli elettronici, poi al concerto gli spettatori travolgere gli agenti e conquistare il palco».

     

    Ha suonato anche a Sarajevo.

    piero pelù e la moglie piero pelù e la moglie

    «Con i Nomadi ai tempi di Augusto. Sull' aereo c' era pure Formigoni, anche se non sapevo chi fosse.Alla fine del concerto gridai a tutti di spogliarsi contro la guerra: il pubblico entusiasta cominciò a denudarsi, Augustone era imbarazzatissimo: "Piero, che fai...". Pochi giorni dopo cominciarono i bombardamenti. Sono stato obiettore di coscienza. Sono pacifista e antimilitarista. Grazie a nonno Mario».

     

    Cosa c' entra nonno Mario?

    «Era un ragazzo del '99. Per reggere in trincea fumava una Gauloise dopo l' altra, e non ha più smesso: quattro pacchetti al giorno. È morto a 69 anni con i polmoni rovinati. Fin da quand' ero bambino mi raccontava della Grande Guerra, senza spaventarmi, per rendermi consapevole: il fango, la fame, i topi. E la febbre spagnola: milioni di morti; altro che il coronavirus. Quella generazione ce l' ha fatta a sopravvivere alla guerra. E ci ha insegnato a dire: mai più».

     

    Qual è il suo primo ricordo?

    «L' alluvione di Firenze. Piovve per settimane, pareva che fosse arrivato il diluvio universale a castigare il mondo. Abitavo a Ponterosso, dove il torrente Mugnone scende da Fiesole per gettarsi nell' Arno. Con mio fratello Andrea, la pecora nera della famiglia, guardavamo le acque che erano arrivate alle spallette; la nostra casa stava per essere allagata».

     

    Perché suo fratello è la pecora nera?

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    «Si è laureato in Economia e commercio, ha lavorato in Borsa e in banca. È il mio manager».

     

    Erano gli Anni 60: boom, Autostrada del Sole, prime vacanze al mare...

    «Per me erano le prime vomitate sul sedile posteriore della Fiat 124 di babbo Giovanni.

    Radiologo, si trasferì ad Ancona per diventare primario. Arezzo, Città di Castello, l' Appennino, Furlo, l' osteria del Gatto... papà accelerava e frenava, e io stavo male. Ora ha 92 anni, mamma Cristina 82. Sono acciaccati, ma si difendono. A casa loro ho appeso decine di cartelli: "Ricordarsi di guardare Piero a Sanremo"».

     

    I genitori hanno accettato le sue scelte?

    «All' inizio, no. Poi dopo anni di conflitti hanno capito che avrei potuto fare un lavoro diverso dall' avvocato o dal dentista. Ho sempre adorato la musica. Da piccolo cantavo a squarciagola e registravo le canzoni, comprese quelle di Sanremo: dovendo sceglierne una per la serate delle cover, ero indeciso tra "24 mila baci" e "Cuore matto". L' alba del rock italiano».

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    Cos' ha scelto alla fine?

    «Per me Celentano è un mito, come voce non lo batte nessuno. Ma ho scelto "Cuore matto", perché è anche una canzone in controtendenza, contro la violenza sulle donne: lei l' ha lasciato, lui continua ad amarla però la rispetta, dice che prima o poi riuscirà a liberarsi dal giogo psicologico, e fa un passo indietro.

    Nel brano duetterò virtualmente con Little Tony, che canterà dal megaschermo alle mie spalle».

     

    La canzone con cui è in gara, «Gigante», è dedicata a un bambino.

    «A mio nipote Rocco, tre anni, figlio di mia figlia Greta. Ma anche ai ragazzi del carcere minorile di Nisida: storie dure, infanzie negate. È scritta in un linguaggio abbastanza basico, con immagini legate al fantasy. Ma il verso "il tuo non è un pianto/ è il tuo primo canto" l' ho scritto con Erri De Luca».

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    L' inizio - «spingi forte, esci da quel buio» - fa pensare a un parto.

    «Ma anche a una rinascita. Con i ragazzi del minorile ho passato una settimana, a Forcella, nel centro dedicato ad Annalisa Durante, la ragazzina uccisa per strada. Insieme abbiamo scritto una canzone. I primi due giorni si guardavano la punta delle scarpe, parlavano tra loro a monosillabi, in dialetto napoletano stretto, sghignazzando di me.

     

    Sono riuscito a stabilire un contatto parlando di calcio, ragazze, feste, macchine. Ho chiesto quale musica amassero. Neomelodico e reggaeton, hanno risposto. Sul neomelodico son debole, ma il reggaeton si può fare. Suonavo la batteria elettronica e cominciavo a vedere sorrisi, mani che si muovevano, piedi che battevano il ritmo. Alla fine abbiamo suonato tutti insieme. Uno ha avuto il padre ucciso, un' altra aveva ammazzato la madre... Ma tutti possono ripartire».

     

    Pelù nonno. E fresco sposo. Com' è la storia?

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    «La mia primogenita Greta ha 29 anni, Linda 25, sta facendo un master su antropologia e cibo all' Università di Pollenzo. Ho vissuto tre adolescenze. L' hanno fatta pagare a un padre ragazzaccio che ha detto basta alla loro mamma. Adesso me la sta facendo pagare Zoe, 15 anni, che ho avuto dalla mia seconda compagna. Ma con tutte le figlie ho un rapporto bellissimo».

     

    Greta, mamma del nipotino, ha sentito la canzone?

    «Sì, e ha pianto come una fontana. Dice che non potrà mai cantarla. E vista la sua reazione ho deciso di non farla ascoltare alle altre figlie o ai miei genitori; per evitare di pensare ai parenti che piangono mentre sono sul palco».

     

    Ora si è sposato.

    «Lo scorso settembre. Con Gianna, direttrice d' orchestra. Ero uno scapolone impunito e appena l' ho vista, pem!, è partita una legnata micidiale. Ho anche pensato di far dirigere a lei l' orchestra di Sanremo che suonerà "Gigante". Ma abbiamo preferito evitare l' effetto Al Bano e Romina. Così ci sarà il mio produttore Luca Chiaravalli a cui ho imposto la pettinatura da samurai come la mia».

     

    Lei è anche un artista politico. Quanto Renzi era al 40 per cento, fu il primo a dire che non era l' uomo giusto. Perché?

    «Perché sono contrario alle infatuazioni collettive: nella nostra storia le abbiamo sempre pagate carissime. Renzi ora si è ritagliato il giusto spazio, si è fatto il suo partito».

     

    Salvini come lo trova?

    MATTEO RENZI L'ARIA CHE TIRA MATTEO RENZI L'ARIA CHE TIRA

    «È il figlio di Berlusconi, magari un po' più estremo. Un comunicatore formidabile. Il berlusconismo, come il fascismo, non finirà mai.

    È cominciato negli anni 80, con le tv. Gli riconosco un merito: ha evitato un colpo di Stato violento. Ha fatto un colpo di Stato strisciante: all' inizio a colpi di tette e culi; poi fondando il partito».

     

    E la Meloni?

    «Una tosta. Una macchina da guerra con idee lontane dalle mie. Pure lei fa parte di questa storia, anche se mi sembra più moderata di Salvini».

     

    Il fascismo può tornare?

    «Sta tornando. Non nelle forme di un tempo, ovviamente. Un fascismo 2.0, con altri strumenti di comunicazione e persuasione.L' antisemitismo, il negazionismo, il razzismo... Per fortuna sono arrivate le Sardine».

     

    Le piacciono?

    «Sono una botta di luce. Preferisco questa anima stradaiola alla burocrazia del Pd. Ragazzi che si sono impegnati nel sociale, hanno assistito anziani e disabili, e ora vogliono cambiare la politica, senza diventare antipolitica.

    Non è solo critica feroce, non è solo "vaffa"».

     

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    Proprio lei si scandalizza per un «vaffa»?

    «Ma no, il livello di esasperazione era tale che ci poteva pure stare. Ma da lì si è costruito un po' troppo poco. Le Sardine mi sembrano meno impreparate».

     

    È vero che ha intervistato Licio Gelli?

    «Sì. Suonavo ad Arezzo, andai a casa sua. Mi aprì. Rispose a tutte le domande, a patto che il reporter che era con me non filmasse lui, ma il suo ritratto».

     

    Come le sembrò?

    «Il sistema italiano. Che a volte è feroce».

     

    Com' è stato invece fare tv con la Carrà?

    «Mi chiamò come ospite a Sanremo nel 2000. Per me Raffaella era la causa delle prime tempeste ormonali: il tuca-tuca, l' ombelico scoperto... guardate, ho qui una sua foto anni 70, non è terribilmente sexy? Si capisce dallo sguardo di quest' uomo baffuto sotto il palco, con gli occhi all' insù... Grazie a lei portai in tv gli artisti del circo e la mia battaglia contro le mine antiuomo prodotte in Italia: le piacque la capacità di tenere insieme impegno e spettacolo. È stata Raffaella a volermi a The Voice. Una professionista pazzesca».

     

    In Picnic all' inferno, uscita a ottobre, lei inserisce la voce di Greta Thunberg. Perché?

    GIORGIA MELONI E MATTEO SALVINI GIORGIA MELONI E MATTEO SALVINI

    «Volevo una canzone sull' ambiente. Vedo che il negazionismo sulla Shoah purtroppo cresce; ma almeno cresce anche la coscienza ambientalista. A Firenze mi muovo in bici o con il car sharing elettrico».

    E ora lancia il Clean Beach tour.

    «In parallelo ai concerti pulirò spiagge e greti di fiumi».

     

    Anche la spiaggia di Sanremo?

    «Ho già pronto il sacchetto da riempire che ho sempre nel camper. Per il matrimonio con Gianna ci siamo regalati un camper con il sogno di fare il giro del mondo, al netto delle guerre. Un giorno l' ho portata sulla Feniglia, una delle spiagge più belle dell' Italia, e ho trovato una discarica. Ho mobilitato le autorità locali e in un giorno abbiamo raccolto sette tonnellate di plastica. L' idea è nata lì».

     

    È vero che lei in spiaggia va nudo?

    «Se posso lo faccio. Mi capita spesso a Badolato, sulla costa ionica della Calabria, dove le spiagge non sono assalite dal turismo».

     

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    Una canzone sul nipotino... pronto agli haters che le rinfacceranno le origini dure e pure? «In genere consiglio agli hater di fare più sesso, e non da soli... Ho fan nostalgici degli anni Ottanta, dei Novanta e degli Zero. Ti dicono che non sei più quello di allora. Non rinnego nulla, ho fatto il minatore del rock per quattro decenni, ma per me è importante che nulla suoni come quello che ho già fatto. Nel brano di Sanremo ci sono riferimenti ai Foo Fighters, alla new wave, ma anche a brani storici dei Litfiba come Il volo o Bambino . Da solo sperimento di più».

     

    E adesso che si sono sciolti gli Elii, chi ci sarà a sostenere la campagna «Litfiba tornate insieme»?

    «Gli Elii sono dei ragazzacci che prendono in giro tutti. Li ho visti ancora in tv, altro che sciolti... L' 8 marzo 1980 ci fu il mio primo concerto con i Mugnions, il 6 dicembre dello stesso anno il primo dei Litfiba. Dopo Sanremo uscirà il mio album Pugili fragili e passerò l' estate in tour. Ghigo, Gianni e Antonio sono venuti a suonare all' ultima data del mio tour a novembre, i rapporti sono buoni e ci sarà comunque modo di fare qualcosa per celebrare la nostra ricorrenza. Ognuno ha i suoi progetti e ogni tanto ci si ritrova per noi, per la musica e per i fan».

     

    GIANNA FRATTA GIANNA FRATTA

    Ha mai fatto uso di droghe?

    «Sono un figlio degli anni 70, ho girato l' Italia a suonare negli anni 80 e 90... Ho perso moltissimi amici per la droga. Ringo, mio migliore amico e batterista dei Litfiba, è morto per overdose nel 1990. L' ho sognato tre giorni dopo, mi ha detto: tutto bene. Da allora lo sogno spesso, l' ultima volta mi ha detto: Piero, resta concentrato».

     

    Per qualcuno è anche colpa del rock e dei suoi cattivi maestri.

    «Per certi aspetti, i testi espliciti sull' uso e l' esaltazione dell' eroina come I' m Waiting for the Man o Heroin di Lou Reed con i Velvet Underground hanno fatto danni. Ricordo a un concerto di Lou Reed nel 1980 alle Cascine. Sotto il palco c' erano amici di piazza con l' ago infilato che dicevano "guarda che ganzo".

     

    Me ne andai dopo due pezzi. Da lì è partita la mia crociata contro le droghe pesanti: eroina e cocaina. Bisognerebbe insegnare a scuola sia l' educazione sessuale, sia a conoscere le droghe. Un ragazzo deve sapere se fuma una concentrazione di Thc più meno elevata. Quelle leggere andrebbero liberalizzate, per togliere alle mafie la principale fonte di reddito».

     

    Lei le usa per ispirarsi?

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    «A dire il vero, ogni volta che fumavo una canna collassavo. Ho scoperto così di avere la pressione bassa».

     

    Ora è il rap a finire sotto esame. È capitato a Junior Cally che sarà in gara al festival per una vecchia canzone che raccontava in termini molto crudi un femminicidio, e tutta la trap è accusata di parlare di machismo, di non saper andare oltre sesso, droga e moda.

    «Ho tre figlie femmine e non mi va di entrare nell' argomento di quei testi. Forse sono lo specchio di una generazione cresciuta davanti alla tv commerciale. Ma non tutto il rap è così: Salmo è forte».

     

    Ha smesso di gettarsi sul pubblico ai concerti, come Jim Morrison?

    «Non so come facesse lui, ma io ogni volta mi incrinavo una costola... L' ultima volta è successo nel 2011. Ho finito la tournée solo grazie agli antidolorifici».

     

    Crede in Dio?

    «Credo nell' aldilà. La nostra energia non muore. Leonardo da Vinci non è morto, e neppure Jimi Hendrix. Vengo da una famiglia cattolica, sono battezzato e cresimato. Rispetto tutte le religioni, dalle monoteiste all' animismo: in Gigante cito Buddha e Gesù».

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