Estratto dell'articolo di Pierluigi Panza per il “Corriere della Sera”
CECILIA ALEMANI E MASSIMILIANO GIONI
La fai tu o la faccio io la prossima Biennale? Si diranno questo Cecilia Alemani da Inzago-Milano e Massimiliano Gioni da Busto Arsizio rimboccandosi le coperte nel loro appartamento in affitto a Manhattan, quarto piano senza ascensore e senza lavatrice perché a NY la lavatrice in casa è temutissima per via delle infiltrazioni («il bucato si fa in lavanderia, come nei film»)?
Uhm... Gioni&Alemani sono la nostra più famosa coppia di curatori d’arte. Lui, come direttore della Fondazione Trussardi, riuscì a spaventare Milano con gli impiccati del suo amico Cattelan appesi a un albero. Lei, laureata in Filosofia alla Statale, è stata la prima italiana a dirigere una Biennale riempiendola di artiste nere dimenticate (e alcune dimenticabili).
Galeotta fu l’arte.
«Ci siamo conosciuti a un’inaugurazione a Milano, poi a una mostra in Spagna .
Io facevo uno stage all’edizione di Manifesta di San Sebastián nel 2004 e Massimiliano era il curatore».
gioni cecilia alemani
Ma come si può venire da Busto e Inzago e «diventare» americani?
«Non abbiamo ancora la cittadinanza americana, forse perché siamo orgogliosi di essere italiani: l’America, per quanto accogliente, ci mette tanto prima di riconoscerti cittadino. Nato a Busto o cresciuta a Inzago e venire qui? Andy Warhol diceva che il bello di nascere in una cittadina è che vuoi andare via al più presto» risponde Gioni, che si scusa con i bustocchi per aver già usato questa frase.
Visto che «Non siamo mica gli Americani», come cantava Vasco Rossi (copertina con bandiera Usa con i colori di quella italiana), cosa siete: pennelli in fuga?
«Al massimo in prestito o, forse, uccelli migratori che proseguono sulla stessa rotta avanti e indietro non secondo le stagioni ma le necessità. Abbiamo curato alcune delle più belle mostre in Italia. La strada da Busto a NY, detto alla newyorkese, è una sola: a chi chiede come si arriva alla Carnegie Music Hall si risponde “Practice, Practice, Practice”, ovvero lavora, lavora, lavora».
MASSIMILIANO GIONI
Avete l’aria di due studenti master rimasti fuori Italia: cosa vi piace dell’America?
«Di New York ci piace la curiosità, l’apertura e la densità: in un giorno si possono visitare cinque o sei musei, gallerie, senza avere la macchina e gratuitamente. E poi i ristoranti con i sapori da tutto il mondo concentrati in un’isola di neanche 20 chilometri».
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Meglio curare una Biennale o vedere il partner curarla?
«Curare una Biennale non è una passeggiata. Per carità, ci sono molti altri lavori difficilissimi e non ci stiamo lamentando. Tuttavia, organizzare una grande mostra con risorse economiche limitate e, nel caso di Cecilia — aggiunge Gioni —, in mezzo a una pandemia è uno sforzo ciclopico che toglie ore di sonno e riempie di ansia. Ma è anche una delle mostre più belle al mondo e un esempio di istituzione italiana amata e rispettata. Pensiamo che sia più bello curare la mostra che vedere il partner curarla perché da fuori si vede sofferenza e stress mentre da dentro ci sono momenti di gioia e di soddisfazione».
CECILIA ALEMANI
Quanto pesano comunicazione e finanza nell’arte contemporanea?
«Girano molti soldi, ma immaginare l’arte come un complotto plutocratico è una distorsione e non rende giustizia né all’arte né a chi partecipa al suo mondo. Non credete a chi vi dice che l’arte sia un mondo per soli ricchi (tra questi il sottoscritto che scrive, ndr ). L’arte è un territorio aperto e ricettivo nel quale tanti artisti venuti dal nulla — e anche curatori, intellettuali — trovano un accesso che in altri settori sarebbe più complicato, se non impossibile. Certo, è un sistema nel quale si muovono persone con tantissimi privilegi, ma è un mondo nel quale l’eccentricità e la differenza sono ancora apprezzate. Nell’arte, più che la finanza contano le idee e il desiderio di trasformare il mondo o la nostra percezione del mondo».
cecilia alemani
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