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    “PER 21 ANNI SIAMO STATI IMPOTENTI DAVANTI AI DEPISTAGGI” – ANTONIO MOLLICONE, ZIO DI SERENA, LA RAGAZZA UCCISA AD ARCE, LODA I PM DI CASSINO E SI SCAGLIA CONTRO I MOTTOLA: “LA PROCURA HA FATTO UN LAVORO DI GRANDE QUALITÀ SCIENTIFICA ED ETICA. MOTTOLA INDAGAVA "A MODO SUO" CON IRREGOLARITÀ PENALMENTE RILEVANTI. ANCORA OGGI C’È GENTE CHE CONTINUA A MENTIRE. MIA NIPOTE NON SI DROGAVA, NON ERA INCINTA E…”


     
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    Fulvio Fiano per il “Corriere della Sera”

     

    ANTONIO MOLLICONE - ZIO DI SERENA ANTONIO MOLLICONE - ZIO DI SERENA

    Antonio Mollicone ha raccolto l'eredità morale di suo fratello Guglielmo nella ricerca della verità per Serena, sua nipote. Venerdì in corte d'assise a Cassino, annuendo spesso, ha riempito di appunti un bloc notes formato grande durante le sei ore di requisitoria del pm Beatrice Siravo, che oggi completerà il suo intervento con le richieste di condanna.

     

    Che cosa ha appuntato tra tutte le parole dette?

    «Quello del pm è stato un lavoro meticoloso, certosino, analitico e soprattutto sincero e appassionato: meraviglioso. Io e gli altri familiari ne siamo pienamente soddisfatti e le siamo grati».

    SERENA MOLLICONE SERENA MOLLICONE

     

    È possibile riacciuffare il filo della verità a distanza di 21 anni?

    «È come una ricostruzione post bellica. Per 21 anni siamo stati impotenti davanti alle macerie lasciate dalle indagini precedenti, dai depistaggi, da tutte le false verità. Oggi possiamo dire: ecco quello che è successo».

     

    Le difese daranno battaglia sui dati scientifici e sulle testimonianze, come sempre fatto finora. Come fa a essere certo dell'esito di questa vicenda giudiziaria?

    «La Procura ha fatto un lavoro di grande qualità scientifica ed etica, ha verificato tutti i fatti, le circostanze, gli orari, le parole dei testimoni con precisione. Non sono indizi ma prove raccolte dopo anni ad annaspare. Cose drammaticamente e tragicamente vere. E noi, come parti civili con i nostri avvocati, daremo il nostro contributo, non di rabbia ma di verità».

    SERENA MOLLICONE SERENA MOLLICONE

     

    Non era mai stato detto con chiarezza che fu Marco Mottola a sbattere la testa di Serena contro una porta della caserma, non era mai stato decritto così nel dettaglio il presunto ruolo dei genitori nel far morire Serena imbavagliandola e nel trasportarla di notte in un bosco. Cosa ha provato a sentirlo dire davanti ai giudici?

    «Quello che mi ha reso più contento è stato sentir dire la verità su Serena: che era una ragazza con sogni e progetti, aveva un piano di studi ed era pronta a faticare per completarlo; che non era andata in caserma per provocare, che non aveva altri pensieri per la testa se non quelli di tornare ad Arce dalle amiche dopo aver perso il pullman di ritorno dal dentista da Sora; che - lo dicono gli esami scientifici - non era incinta né aveva assunto sostanze; che non aveva nessun rapporto con Marco Mottola ma ha solo accettato un suo passaggio in auto perché il suo fidanzato, col quale stava da due anni, non era arrivato all'appuntamento».

     

    CASERMA DI ARCE CASERMA DI ARCE

    Il pm ha detto molto anche sui presunti depistaggi del maresciallo Mottola, sempre sostenuti da suo fratello Guglielmo.

    «Anche sui depistaggi è stata puntualissima, recuperando dall'oblio tanti elementi che messi in sincronia tra loro rivelano una strategia, combaciano svelando una trama. Mottola indagava "a modo suo" con irregolarità penalmente rilevanti».

     

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    E del brigadiere Santino Tuzi, morto suicida dopo aver rivelato a distanza di sette anni di aver visto Serena in caserma la mattina di quel primo giugno, che idea si è fatto?

    «Che intanto, come detto dal pm, è tutto provato anche senza la sua testimonianza. Poi, che ha detto la verità come dimostrato dal sopralluogo fatto in caserma (in una delle ultime udienze, ndr ), perché solo dalla sua scrivania poteva vedere quello che ha descritto nei dettagli. Hanno provato a distruggere anche lui, il suicidio dice quali fossero i suoi tormenti. Poteva parlare prima? Dopo 21 anni c'è ancora gente che continua a mentire, non possono essere un problema i sette anni che ha aspettato lui per dire la verità, come non sarà un problema dover attendere un'altra udienza per ascoltare le conclusioni del pm».

     

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    Che si aspetta per le richieste di condanna?

    «Non penso alle pene, non spetta a noi quantificarle. A noi interessa che sia fatta giustizia e che la verità sia stata finalmente raccontata a tutti».

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