• Dagospia

    HOUSE OF SCAZZ - PER TUTTI I PRESIDENTI USA DELL'ERA MODERNA, IL “WASHINGTON POST” È STATO UNA SPINA NEL FIANCO - NONOSTANTE FOSSE MOLTO VICINO AL PARTITO DEMOCRATICO, IL QUOTIDIANO COMINCIÒ LA SUA ASCESA DURANTE LA PRESIDENZA DI LYNDON JOHNSON CON LA RICHIESTA DI COMMISSIONE DI INCHIESTA SULL’OMICIDIO DI KENNEDY - I COLPI A NIXON CON LA PUBBLICAZIONE DEI “PENTAGON PAPERS” SUL VIETNAM


     
    Guarda la fotogallery

    Anna Guaita per “il Messaggero”

     

    roger stone ronald reagan roger stone ronald reagan

    L'unico risparmiato è stato Ronald Reagan. Ma per tutti gli altri presidenti dell' era moderna, il Washington Post è stato una spina nel fianco. Nonostante fosse molto vicino al partito democratico e alla presidenza di Kennedy e poi di Johnson, il quotidiano della capitale cominciò la sua ascesa verso le vette del giornalismo investigativo sulla Casa Bianca proprio durante la presidenza di Lyndon Johnson.

     

    LA COMMISSIONE D'INCHIESTA

    Il direttore Ben Bradlee appoggiò la richiesta popolare della creazione di una commissione d' inchiesta indipendente sull' omicidio di Kennedy, andando nettamente contro i voleri del presidente che aveva tentato di fargli cestinare quegli articoli. Ma fu poi, quando era già presidente Richard Nixon, che Bradlee colpì più duramente, con la pubblicazione dei Pentagon Papers, i documenti del Pentagono sulla storia della guerra del Vietnam, dai quali risultava che Johnson aveva mentito sulla guerra sia al popolo che al Congresso americano.

    Lyndon Johnson Lyndon Johnson

     

    La pubblicazione dei documenti nel giugno del 1971 fu uno spartiacque per quello che fino ad allora era stato un giornale di provincia, guardato dall' alto in basso dai giganti come il New York Times. E da quel momento, il Washington Post non si è fermato: appena tre anni dopo, Nixon si dimetteva, sommerso dallo scandalo del Watergate, portato alla luce dai suoi due giovani reporter Bob Woodward e Carl Bernstein. Lo scandalo scaturì da una incursione notturna di cinque uomini dentro gli uffici del partito democratico, all' interno del complesso residenziale Watergate di Washington. Si era trattato di una missione di spionaggio un po' come le incursioni degli hacker russi nelle email del partito democratico durante le presidenziali del 2016.

     

    katharine graham con woodward e bernstein katharine graham con woodward e bernstein

    Il lavoro di scavo di Bernstein e Woodward portò alla luce il coinvolgimento del presidente, e causò le inchieste del Congresso, la nomina di un procuratore speciale e infine le dimissioni di Nixon. Il giornalismo investigativo conosceva i suoi momenti migliori, e il quotidiano ha accumulato da allora 47 premi Pulitzer. Ma non si può dire che la stampa Usa sia sempre stata efficace nel suo ruolo di quarto potere, come l' ha battezzata la stessa Corte Suprema, sostenendo che è compito della stampa funzionare come un quarto potere che controlli la trasparenza degli altri tre.

     

    ARMI AGLI IRANIANI

    Uno studioso dei media, Mark Hertsgaard, ha notato ad esempio che la stampa Usa è più efficace nel controllare la presidenza quando al Congresso ci sia al potere, almeno in una delle Camere, il partito avversario. Per esempio il Washington Post, ma anche il New York Times, nonché i principali canali televisivi, furono molto miti nel 1985 davanti al popolare Ronald Reagan, nonostante lo scandalo dell' Iran-Contra sia stato forse più grave del Watergate.

    richard nixon richard nixon

     

    Reagan accettò di vendere sottobanco armi agli ayatollah iraniani, per avere soldi in nero da investire nella guerriglia antimarxista in Centramerica. Ben Bradlee, direttore del Washington Post, ammise in seguito che in quel caso erano stati troppo concilianti con Reagan. E lo stesso è avvenuto più tardi, quando il presidente George Bush ha dichiarato guerra all' Iraq sulla base di prove poi risultate false: pochi giornalisti osarono mettere in dubbio la parola del presidente, ma né il WaPo né il NYTimes furono tra quelli.

     

    BEZOS E TRUMP BEZOS E TRUMP

    Dal 2013, il quotidiano appartiene a Jeff Bezos, e lo scontro con Trump è cominciato sin dalla campagna elettorale, quando l' allora candidato tolse le credenziali agli inviati del quotidiano accusandoli di aver inventato delle sue frasi contro Barack Obama. Le frasi in realtà erano registrate, cioè vere. Trump ripete spesso che contro di lui la stampa scrive fake news, e osservatori repubblicani sostengono che la copertura della sua presidenza è eccessivamente «negativa». Ma, ha risposto il Washington Post, «negativo non significa falso».

    Guarda la fotogallery


    ultimi Dagoreport