Emanuele Lauria per la Repubblica - Estratti
marcello pera
L’elezione diretta del premier è una novità assoluta nei sistemi costituzionali europei. Ma garantisce la stabilità promessa?
«Quella della stabilità è la lodevole intenzione della riforma. E non c’è chi non la condivida, perché la degenerazione del parlamentarismo, come la definiva Perassi, autorevole costituente, non è ulteriormente tollerabile. Ormai viviamo in un regime in cui fa quasi tutto il governo e il Parlamento ratifica, e però il governo è fragile e cambia di continuo. Ma ho dubbi tecnici che questa proposta corregga la degenerazione. Forse la aggrava. Si profila il rischio che chi nella maggioranza arriva o vuol essere secondo abbia infine più poteri del primo. Mi riferisco ovviamente alla norma anti-ribaltone».
Lei dice che è preferibile il meccanismo del “simul stabunt simul cadent”, un’idea peraltro condivisa da Meloni: perché?
«Dico che in un regime parlamentare se il Parlamento può sfiduciare il governo, anche il governo può mandare a casa il Parlamento. Sono due armi puntate che, assieme, fanno deterrenza contro le crisi facili e i cambi di casacca. E perciò dico che se il primo ministro non ha il potere di scioglimento, allora non siamo nel regime del premierato. Il simul stabunt è una soluzione chiara, ma è una delle soluzioni.
marcello pera
A me tuttavia piace poco perché, con un automatismo rigido e cieco, spazza via la politica. Penso che, se c’è una crisi di governo, allora o il primo ministro risolve lui di persona il problema che la genera, forte perché eletto dal popolo; o passa la mano a qualcun altro dello stesso partito, come si fa in Inghilterra, la patria del modello Westminster; o ancora chiama il voto. In tutti questi casi, decide la politica a viso scoperto. E nessuno starà nell’ombra a tramare in attesa che gli caschi in bocca la pera».
Questa norma anti-ribaltone non amplifica, anziché eliminare, i rischi di accordi segreti?
«Li prevede e già basta per dire che dovrebbe essere corretta».
Secondo il governo sono stati toccati solo “minimamente” i poteri del capo dello Stato. È così?
terza repubblichina - titolo de il manifesto
«Lo sono ben poco. In primo luogo, perché la riforma lascia al Quirinale la possibilità di gradimento dei ministri: incomprensibile di fronte ad un primo ministro eletto dal popolo. Ce li vede lei il re o la regina inglesi che si occupano di queste cose? In secondo luogo, perché sulla carta il capo dello Stato ha ancora il potere di scioglimento. Ce lo vede lei un primo ministro forte dell’elezione diretta che vorrebbe il voto e un presidente della Repubblica che ci pensa sopra? Dico perciò che quello che ad altri sembra una virtù, non toccare le prerogative del capo dello Stato, a me sembra un difetto. È un potere neutro, questa è la sua forza e autorevolezza, e tale deve restare».
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Giusto che la riforma parta da una proposta del governo? Si era parlato di una Bicamerale che lei, peraltro, avrebbe potuto guidare.
VIGNETTA DI ALTAN SU GIORGIA MELONI
«Mi limito ad annotare che una proposta del governo, sulla Bicamerale, non c’è mai stata. Meloni è brava. È vero però che per fare una riforma incisiva della costituzione, occorre il contributo dell’opposizione e naturalmente occorre che questa sia disposta a darlo. Oggi non è così, almeno non lo è col premierato elettivo.
Forse, con un altro tipo di premierato o di cancellierato sarebbe possibile. In corso d’opera e di emendamenti ci si dovrà pensare seriamente. Comunque, non è la prima volta che una riforma di questo tipo parte da Palazzo Chigi. Accadde con Renzi».
E non andò benissimo.
«È un dato di cronaca. Sa, il referendum in Italia è una lotteria». Lei, già a caldo, aveva mosso delle critiche alla riforma. Nel frattempo l’ha chiamata Giorgia Meloni? «Mi ha chiamato poco fa, anche quando ci sono divergenze manteniamo rispetto reciproco: mi è sembrata possibilista sulle modifiche della riforma in Parlamento».
MARCELLO PERA