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    PERCHÉ AL SUPERMERCATO ZUCCHERO E SALE NON SI TROVANO MAI? E COSA SONO GLI “STOPPER” E I “PUNTI CALDI”? CHI SCEGLIE QUALI PRODOTTI FAR FINIRE SUGLI SCAFFALI E COS’E’ IL “LISTING FEE”? CONOSCETE LE 5 TIPOLOGIE DI CONSUMATORE? - TUTTI I SEGRETI DEI SUPERMERCATI NEL LIBRO “IL GRANDE CARRELLO” - LA CHICCA? IL SURREALE RAPIMENTO DI THEO ALBRECHT, UNO DEI DUE INVENTORI DEL DISCOUNT GLOBALE “ALDI”


     
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    Riccardo Staglianò per “il Venerdì - la Repubblica”

     

    IL GRANDE CARRELLO IL GRANDE CARRELLO

    In principio fu Michael Cullen. La New York del 1930 è funestata dalla Grande Depressione. La parola d'ordine, ieri come oggi, è risparmiare. Nessuno lo capisce meglio del figlio di immigrati irlandesi che lavora da Kroger, popolare catena di alimentari. Come abbassare i prezzi? Aumentando le dimensioni del negozio e diminuendo il numero dei commessi. Lasciando che i clienti si servano da soli. Nasce King Kullen, il primo supermercato.

     

    Quando il fondatore muore, a soli 52 anni per una peritonite, ne lascerà in eredità 1.200. In Italia arrivano vent' anni dopo. A Milano, con i Caprotti, leggendari signori Esselunga i cui eredi in questi giorni trattano la vendita. Nel '58 nasce il gruppo Pam. Nel '62 arriva Despar e, a Bologna, nasce Conad. Nel '67 è la volta della Coop. Oggi in Italia 7 acquisti alimentari su 10 avvengono in questi e altri marchi della Grande distribuzione organizzata (Gdo), protagonista assoluta di Il grande carrello (Laterza, pp. 136, euro 15) di Fabio Ciconte e Stefano Liberti.

     

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    Il libro, come da sottotitolo, si propone di rispondere al quesito su «chi decide cosa mangiamo». Intanto squaderna un lessico che sottende una topografia: "punti caldi", dove più frequentemente il consumatore transita, contro "punti freddi", più distanti e trascurati; le "testate di gondola", le parti più visibili della scaffalatura, spesso impiegate per vendite promozionali; gli "stopper", i cartellini perpendicolari al senso di marcia della clientela, con lo scopo appunto di fermarla. E svela alcuni misteri, tipo come mai zucchero e sale siano sempre così difficili da trovare.

     

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    È che i «beni di prima necessità sono collocati apposta in zone semi-nascoste, in modo da costringere l' acquirente a cercarli, e così vagare all' interno del punto vendita e indulgere in acquisti non previsti». Una logica promossa a forma d' arte dai percorsi Ikea.

     

    Poi ci introduce a un'antropologia mercantile. Esistono cinque tipi di clienti: il Cacciatore, con molto tempo e pochi soldi che ha come unica stella polare le promozioni; il Pragmatico che «non perde tempo e va dritto verso quello che deve comprare», il Prudente, orientato dal prezzo ma «con un enorme bisogno di rassicurazione»; l' Esperto, «che legge le etichette, si informa, ha un' istruzione medio-alta» e infine il Brand Fan, che vuole solo i prodotti di marca, costi quel che costi.

     

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    Queste tipologie coesistono, ma in un contesto - post crisi 2007-2008 - che ha visto aumentare la capacità di spesa delle famiglie ricche (+3 per cento) e diminuire ulteriormente (-4) quella delle meno abbienti. Un quadro che spiega perché, secondo la società di consulenza Iri, oggi «32 euro di spesa su 100 vengono effettuati in presenza di un' offerta».

     

    L'intenzione che anima tutta l'inchiesta è quella di svelare i rapporti di forza sempre più sbilanciati tra produzione e distribuzione. E allora si parla del listing fee, ovvero del canone che i supermercati chiedono ai produttori per essere venduti, e poi esposti più o meno bene. D'altronde, constata un pentito, «se ci sono un milione di referenze e ho spazio per 10 mila, sono io a scegliere chi mettere a scaffale e quanto far pagare». Inconfutabile, e tuttavia non virtuoso. La cosiddetta "trappola delle commodity".

     

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    Perché per poter vantare merci civetta vendute a prezzi di costo, quando non sottocosto, la Gdo deve compiere tutta una serie di torsioni sulla filiera. In cui le pietre, come nel famoso film di Ken Loach, piovono sempre in testa a chi sta sotto. Fino a quando, come insegna il latte sacrilegamente versato dei pastori sardi, si raggiunge il punto di rottura.

     

    Una tendenza più recente è quella delle cosiddette private label, per cui i supermercati non si limitano a vendere ma anche a battezzare le merci prodotte da altri. Parliamo ormai di 9,5 miliardi di euro, ovvero il 18 per cento dei prodotti di largo consumo. Già una quota rilevante che, stando alle previsioni, nel 2025 diventerà metà del totale.

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    Per il supermercato i vantaggi sono intuitivi: con canali di vendita propri, non deve investire in pubblicità e quindi potrà fare prezzi più bassi. I consumatori sono contenti. Gli unici che piangono sono gli altri produttori che tra listing fee e altri balzelli devono combattere al coltello per mantenere margini sempre più lillipuziani.

     

    Risparmiando sempre più selvaggiamente sulle uniche voci sempre comprimibili: la qualità e il costo del lavoro, come insegnano le favelas del pomodoro nel Foggiano e quelle degli agrumi in Calabria. Se una pasta al pomodoro per tre persone costa la metà di un caffè, dunque, dobbiamo festeggiare o dolerci? È un quesito che ci schiaffa di fronte a una schizofrenia sempre più dilaniante, quella tra il nostro essere cittadini oltre che consumatori.

     

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    Il libro, molto documentato, dà il meglio quando abbandona le interviste ai manager per raccontare alcune storie di protagonisti. Penso a Fortunato Peron, ventennale fornitore di pere cui la Coop dà il benservito quando lui chiede un aumento. O a Giulio Bile, genetista papà del pomodoro Docet, quello lungo e super efficiente che per anni ha dominato il mercato. O a Santo Bellina, il bergamasco che trent' anni fa ha deciso di scommettere sulla depressissima Piana del Sele e l'ha trasformata nell' epicentro delle insalate prelavate. Quelle che, a 0,99 euro a vaschetta sembrano un affare perché nessuno calcola che al chilo verrebbero 10 euro, ovvero 7-8 volte quelle da lavare.

     

    O a Dario Dongo, l'iniziatore della campagna (largamente malintesa) contro l'olio di palma. Se gli autori avessero indugiato di più sulle loro gesta sarebbe stata una lettura più avvincente. Come quando raccontano del surreale rapimento di Theo Albrecht, uno dei due inventori del discount globale Aldi (acronimo di Albrecht Diskont), così dimesso che i rapitori gli chiesero i documenti per sincerarsi che fosse proprio l'uomo più ricco di Germania che cercavano.

    Theo Albrecht Theo Albrecht

     

    E così abituato a tirare sul prezzo da negoziare personalmente un riscatto da 3,3 milioni coi sequestratori che, una volta rilasciato, riuscì addirittura a portare in detrazione come "spese aziendali". Allora c' era da ricostruire un Paese dopo la guerra, oggi un mondo dopo la Grande recessione. E infatti Mediobanca certifica che anche da noi, dove pure sono arrivati ben dopo, fra 2013 e 2017 i discount sono cresciuti del quasi dieci per cento all' anno. Tassi cinesi.

     

    Con il record di Eurospin, la risposta veneta a Lidl e Aldi, che ha italianizzato la formula, con assortimenti meno striminziti e più attenzione per i prodotti locali. E mentre scrivo, la newsletter del Tirreno segnala trionfante una rara offerta di lavoro: «Selezione per 20 posti: Lidl e Eurospin aprono nel Pisano». Come volevasi dimostrare.

    I economie scaffali selvaggi Ci sono "punti caldi" e "punti freddi" e poi "stopper", "testate di gondola", "brand fan". Un libro svela il dietro le quinte della grande distribuzione.

    quando sei il primo cliente del supermercato quando sei il primo cliente del supermercato verdure al supermercato verdure al supermercato

    E il suo solo obiettivo: farci acquistare.

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