Gabriele Beccaria per “La Stampa”
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Si fa presto a dire «il Nobel della Medicina agli abbracci». Mentre spiegava l'importanza del tatto per la nostra identità di umani e il valore di questo Nobel, ieri a Stoccolma, il neuroscienziato Patrik Enfors ha evocato, impassibile, una serie di gesti quotidiani che ci ispirano il sorriso: una passeggiata a piedi nudi, una tazza di caffè, un abbraccio, appunto.
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David Julius e Ardem Patapoutian entrano nell'Olimpo della scienza, eppure di abbracci (e baci) si è sentita l'imbarazzata mancanza nella comunità scientifica: molti i delusi, tanti i perplessi, qualcuno perfino arrabbiato.
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E anche tra i non addetti ai lavori è circolato l'inevitabile interrogativo: perché il riconoscimento non è andato a chi ha studiato i vaccini anti-Covid, salvando milioni e miliardi di vite?
Il retrogusto di questo Nobel è di sicuro amaro, anzi, piccante. Piccantissimo. È grazie alla capsaicina, la molecola responsabile della sensazione di bruciore scatenata dal peperoncino, che il fisiologo Julius ha identificato i recettori della pelle sensibili al calore.
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Succedeva alla fine degli Anni 90, all'Università della California di San Francisco, mentre Patapoutian, ricercatore allo Scripps Research di La Jolla, sempre in California, ha svelato una nuova classe di recettori che rispondono agli stimoli meccanici, sia nella pelle sia negli organi interni.
Scoperte che ieri mattina, al momento dell'annuncio alle 11.30, sono apparse straordinariamente contraddittorie. Lontane anni luce dalle preoccupazioni medico-scientifiche del Pianeta afflitto dalla pandemia, hanno tuttavia cambiato la concezione del sistema nervoso e spalancano nuovi scenari su come percepiamo il dolore, compreso quello cronico.
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«Capirne le basi molecolari è fondamentale, perché è alla base del nostro rapporto con l'ambiente. Si tratta di un meccanismo evolutivo che ci permette di decidere se fuggire o meno davanti a un pericolo», osserva il genetista Giuseppe Novelli dell'Università di Roma Tor Vergata.
«Si aprono, infatti, nuove prospettive per il trattamento di condizioni patologiche che alterano le sensazioni legate al caldo e al freddo e che possono essere innescate da traumi, infezioni, infiammazioni o alterazioni metaboliche», aggiunge il presidente dell'Istituto Superiore Sanità Silvio Brusaferro.
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C'è dolore e dolore. Quello che serpeggia tra non pochi studiosi è stato espresso da Matteo Bassetti. «Forse è passato il tempo anche per questo riconoscimento, nel cui mito ha vissuto la mia generazione», commenta il direttore della Clinica di malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova.
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«Per quanto Julius e Patapoutian siano eccezionali, il premio dimostra di essere diventato polveroso e anacronistico. La velocità delle ricerche è diventata tale che non si può non essere reattivi a ciò che è accaduto negli ultimi due anni nel mondo e che ha sovvertito tutto».
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«Il Nobel non parla più all'umanità», punta il dito Bassetti. E mentre cita l'impresa di chi ha inventato la tecnica alla base dei vaccini anti-Covid a mRna - Ugur Sahin, ad di BioNTech, e la moglie Òzlem Tiireci - ripete il suo sconcerto per la palese indifferenza dell'Accademia di Stoccolma all'attualità e al gigantesco sforzo - senza precedenti - in cui sono impegnati migliaia di studiosi. «E dire che Alexander Fleming ebbe il Nobel per la penicillina già nel 1945».
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«Se non si voleva premiare il mondo dell'mRna, ci sarebbe stato quello ancora più vasto dell'immunologia», dice Carlo Alberto Redi, biologo e accademico dei Lincei e tra i maggiori esperti di cellule staminali.
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«Trovo incredibile che ancora nel 2021 non siano stati premiati Max Cooper e Jacques Miller per la scoperta dei linfociti B e T, un risultato straordinario che ci ha fornito informazioni fondamentali sui principi organizzativi dell'immunità acquisita». Ma le logiche a Stoccolma non sono necessariamente quelle più istintive.
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«Si tende a premiare scoperte e innovazioni stabilmente consolidate e, quindi, il fattore tempo è importante», analizza Massimiliano Bucchi, sociologo della scienza e autore di Come si vince un Nobel (Einaudi). «La scelta è segreta e i dettagli li sapremo solo tra 50 anni».