Carlo Vulpio per corriere.it
de santis
Due ragazzi per bene. Due ragazzi educati. Due coetanei - 33 anni Daniele e 30 Eleonora - che si volevano bene e avevano deciso di andare a vivere insieme. Lui, l’arbitro di calcio bravo, professionale e appassionato, di cui tutti dicono che avrebbe fatto una brillante carriera, ormai la sua prima attività, tanto che era pronto al salto dalla Lega Pro alle serie superiori. Lei, carina, brillante, studiosa, persino forte al momento della separazione dei suoi genitori e tenace dopo, fino al momento in cui riesce a vincere un concorso pubblico e e viene assunta - sei mesi fa - all’Inps di Brindisi.
Al Bar dello Sport di Seclì, minuscolo centro a trenta chilometri da Lecce, i commenti e i racconti girano tutti intorno alla personalità dei due ragazzi e alla simpatia che suscitavano. Eleonora era nata a Nardò, perché lì c’è l’ospedale, ma era di Seclì, dove ha conservato la residenza e dove è venuta a votare domenica, il giorno precedente alla sua morte. Non era una psicoterapeuta, come qualcuno ha scritto, confondendola con una sua omonima psicologa di Collepasso, un altro paesino della zona, ma aveva studiato Giurisprudenza e si era impegnata in lavori vari fino a quando è entrata all’Inps.
DE SANTIS E LA COMPAGNA
Daniele, invece, era appassionato di calcio. Da giocatore dilettante prima e da arbitro poi, attività che gli ha regalato esperienze gratificanti ed elogi ovunque - tutti dicono fosse molto bravo - e che è diventata in breve tempo il suo primo lavoro. A Seclì veniva ogni tanto, quando Eleonora era da sua madre, e ha fatto in tempo a farsi conoscere e apprezzare anche dai compaesani della ragazza.
Nessuno quindi riesce oggi a farsi una ragione della morte di due ragazzi così. Nessuno ha mai pensato che potessero essere diventati il bersaglio di malintenzionati o di bulli o di criminali. E nemmeno di qualche pazzo. Daniele ed Eleonora, insomma, erano considerati e apparivano come una coppia normale, anzi normalissima.
La madre di Eleonora, insegnante, i genitori e i fratelli di Daniele, tutti inseriti professionalmente e rispettati, non avrebbero mai potuto immaginare ciò che è successo a questi due ragazzi. Anche loro li vivevano come due ragazzi tranquilli, sereni.
DE SANTIS E LA COMPAGNA
Lunedì sera, invece, la tragedia. Una terza persona che entra con loro in casa e li uccide con un coltello che a giudicare dall’esame delle ferite doveva essere più simile a un machete.
Perché, si chiedono a Seclì e a Lecce. Cosa è successo fra i tre che finora non si è riusciti a sapere? Qualcuno ha addirittura avanzato l’ipotesi di un regolamento di conti nei confronti dell’arbitro, che chissà quale patto non avrebbe rispettato per qualche gara di un campionato come quello della Lega Pro, dove la «combine» non è una eccezione, ma, francamente, una strage eseguita con tanta violenza e così rabbiosa, che colpisce anche la fidanzata dell’arbitro, sembra troppo per una gara di calcio truccata o un patto non rispettato.
Forse, accennano con prudenza gli investigatori, bisognerà spostare l’attenzione sull’ipotesi che l’assassino abbia voluto «vendicarsi» di lei e di lui. Il tutto con la scusa di un chiarimento. A casa di Daniele.
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Un posto tranquillo, sicuro, ma anche una trappola, perché l’omicida ha avuto entrambi sotto tiro per tutto il tempo. E quando ha deciso di accoltellarli per ucciderli, non per ferirli, lo ha fatto con tutto lo spazio e il tempo a disposizione. E poi si è calato il cappuccio sul volto, ha messo lo zaino giallo sulle spalle e tutto vestito di nero «come un motociclista», ha raccontato agli inquirenti il testimone vicino di casa dei due ragazzi, si è dileguato come un’ombra.