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    PERCHE' LA MURGIA NON PROVA A FARSI UN GIRETTO NELLA KABUL DEI TALEBANI? A CHI CHIEDE DOVE SIANO FINITE LE FEMMINISTE E PERCHE’ TACCIANO SULLE DONNE AFGHANE LA SCRITTRICE PROPONE UNA EQUIPARAZIONE TRA LA "CULTURA PATRIARCALE" DEI MASCHI ITALIANI CON QUELLA DEI BARBUTI FONDAMENTALISTI ISLAMICI – LA BOLDRINI SI LIMITA A QUALCHE MIELOSO TWEET, LA LITTIZZETTO E’ SPIAGGIATA IN COSTA AZZURRA. E DOV'È LA ROSSA DI CAPELLO E DI IDEE FIORELLA MANNOIA?


     
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    Michela Murgia per “La Stampa”

     

    michela murgia michela murgia

    Se qualcuno ci dicesse che ci offrirà un'ora d'aria purché da domani andiamo a vivere in galera, chi di noi accetterebbe? Se gli stessi che abbiamo visto uccidere i nemici politici, perseguitare le minoranze e violentare le donne per sottometterle ci promettessero col mitra in mano che da domani smetteranno, noi gli crederemmo?

     

    Se la risposta ovvia è no, è facile immaginare lo stato d'animo di chi da Kabul ha sentito i tagliagole talebani dichiararsi pronti a garantire un governo inclusivo e diritti alle donne, purché «in accordo» con quello sgorbio dell'islamismo che è la Sharia. Le diplomazie europee stanno però già facendo finta di crederci, perché la realpolitik vince su ogni altra logica quando c'è di mezzo un territorio ricco e strategico come l'Afghanistan.

     

    MICHELA MURGIA MICHELA MURGIA

    Non appena è partita la smobilitazione militare e la storiella dei liberatori occidentali si è rivelata per la panzana che era, in meno di due settimane lo scenario politico ha mostrato tutte le possibili sfumature dell'ipocrisia e del cinismo, tanto in Afghanistan quanto nei nostri parlamenti.

     

    I taleban che ora hanno preso Kabul detenevano già il controllo di metà del paese e in questi anni lo hanno governato indisturbati secondo i loro principi, nella piena consapevolezza degli occupanti occidentali, che sapevano benissimo che le donne afghane nelle zone rurali il velo dalla faccia non lo hanno mai potuto togliere.

     

    Ora che i taleban sono dichiaratamente i nuovi padroni, con loro si tratterà anche sulla pelle delle donne, tanto i nostri eserciti non erano andati certo là per promuovere l'emancipazione delle afghane.

     

    michela murgia alla prima della scala michela murgia alla prima della scala

    Se è vero che la democrazia non si esporta, ma si testimonia, verrebbe da pensare che la testimonianza occidentale in Afghanistan debba essere stata veramente poca cosa se dopo dieci anni una parte non piccola della popolazione ha più voglia di dare credito ai taleban piuttosto che ai nostri governi. I numeri che conosciamo ci dicono il perché: dei miliardi occidentali investiti in Afghanistan, solo il 10% ha finanziato infrastrutture e progetti di sviluppo. La quota restante è servita a comprare armi per rafforzare i corrotti poteri locali, quelli che si sono dati alla fuga appena gli eserciti stranieri hanno levato le tende.

    talebani afghanistan talebani afghanistan

     

    A noi, cittadini atterriti dallo scenario di oppressione che si prospetta, resta solo la solidarietà fattiva e la pressione sulle istituzioni perché accolgano quanti più esuli è possibile. A chi invece in questi giorni dalle file della destra nostrana ha gridato «dove sono le femministe?», Linda Laura Sabbadini ha risposto ieri da queste pagine con la consueta forza e precisione: sono dove sono sempre state, cioè a cercare di fortificare le reti internazionali delle donne, le associazioni contro la violenza e le Ong che con i loro progetti di educazione e di empowerment hanno reso possibile un futuro per donne e bambine che altrimenti non lo avrebbero mai avuto.

     

    MICHELA MURGIA MICHELA MURGIA

     Non hanno tempo, le femministe, per curare anche la strana malattia intermittente del sovranismo locale, che si manifesta invocandole quando c'è da criticare gli abusi stranieri, ma sbeffeggiandole in tutte le circostanze in cui si occupano degli abusi in casa nostra. Le penne che in queste ore hanno provato a depotenziare il lavoro delle donne italiane a sostegno delle afghane sono le stesse che tutti i giorni dai loro social e testate irridono alla richiesta di pari opportunità e alle lotte contro violenza, obiezione all'aborto, linguaggi sessisti e divario salariale. Non è un caso: come una matrioska, la cultura patriarcale ha gabbie che variano di dimensione a seconda del luogo e dei tempi. La forma però, a Kabul come a Roma, la riconosci sempre.

     

     

     

    DOVE SONO LE FEMMINISTE?

     

    Fabrizio Boschi per “il Giornale”

     

     

    MICHELA MURGIA MICHELA MURGIA

    Dallo chador al menefreghismo è un attimo. Facile attaccare il politico o il volto famoso di turno. Ma se c'è da muovere le labbra per la violenza dei talebani, il burqa, l'islam, la sharia e i diritti delle donne (e madri) afghane violati, allora scatta il silenzio, anzi peggio, si fa finta di niente. Le femministe di Mee too, sempre pronte a scendere in piazza con i soliti slogan e a dare battaglia, sono in ferie.

     

    Dalle loro barche, dalle spiagge private in Sardegna o a mollo nelle spa in montagna, hanno perso il loro proverbiale scilinguagnolo e stanno ferme a guardare in tv le orrende immagini provenienti da Kabul. Da parte delle femministe di sinistra sono arrivati solo messaggi di opportunità: «aiutiamo le donne afghane», «apriamo a corridoi umanitari», «accogliamole». Da loro ci aspettavamo una rivoluzione femminile in piena regola e, invece, niente.

     

    FIORELLA mannoia FIORELLA mannoia

    Nessuna levata di scudi. Nessun sermone sui diritti e le libertà violati. Cosa fa ad esempio per l'Afghanistan la pasionaria palestinese Rula Jebreal dai suoi palazzi dorati di New York? Pronta ad indossare l'abito da sera sul palco dell'Ariston per sentenziare contro i maschi che sfruttano le donne ma altrettanto decisa nello scaricare le colpe su altri: «La destra ha appoggiato e finanziato questa guerra. Le femministe non la volevano. Questo è un fallimento di tutto l'Occidente, non delle femministe».

     

     E dov' è in questi giorni la rossa di capello e di idee Fiorella Mannoia? In tour con «Padroni di niente», sempre pronta a fare politica dai suoi palchi, l'unica voce che tira fuori adesso è quella per cantare le sue canzoni. Niente in favore delle donne afghane ad eccezione di qualche tweet di circostanza. Dalle pagine del Giornale Maria Elena Boschi fa appello alle compagne: «Vorrei che si facessero sentire», lamentando lei stessa questo imbarazzante silenzio.

    michela murgia michela murgia

     

    E che dire dell'ex presidenta della Camera Laura Boldrini, che ha fatto dello chador il suo secondo abito negli anni in cui lavorava per l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, pronta a stracciarsi le vesti per i diritti delle donne e adesso fuggevole, se si esclude la sua partecipazione alla festa dell'Unità di Grottammare per parlare della parità di genere insieme alla deputata Pd Patrizia Prestipino. Tutto si riduce ad un mieloso tweet: «Conosco e amo l'Afghanistan. La presenza militare multinazionale non è mai stata la soluzione. Penso alle minoranze, alle donne: che ne sarà di loro?».

     

    laura boldrini si mette i guanti 1 laura boldrini si mette i guanti 1

    Anche Lucianina Littizzetto ha smesso di farci piangere con i suoi monologhi faziani e al Mee too per le donne preferisce il relax in Costa Azzurra. Lo stesso per il volto Rai Giovanna Botteri, corrispondente da Pechino, che dopo aver difeso il diritto alla sua capigliatura poco curata, non trova parole per tutto il resto. Battagliere per discussioni marginali, si fermano davanti alla regina di tutte le lotte che la Storia offre loro.

     

    luciana littizzetto luciana littizzetto

     Più facile indignarsi per le performer alla festa di Diletta Leotta, per i testi di Sfera Ebbasta e per il ddl Zan che per le donne afghane. Pure la femminista chic Michela Murgia tace. E per una che fa la scrittrice e si è sempre spesa come attivista della parità di genere e dell'antifascismo, ciò stride un po'.

     

    «Bella ciao» è ciò che ha detto Joe Biden, idolo della sinistra italiana, alle afghane dopo averle lasciate nelle fauci dei talebani. A Kabul stilano gli elenchi delle donne non sposate per scegliere che carne dare in pasto ai generali e qui sembra di assistere alla scena del Titanic quando ad un elegante lord viene offerto il giubbotto di salvataggio e lui gentilmente lo rifiuta: «No grazie, siamo vestiti con i nostri abiti migliori e ci prepariamo ad affondare da signori. Però gradiremo un brandy».

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