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Edoardo Sassi per il Corriere della Sera - Roma
I ntervistare Aurelio Picca sul suo ultimo libro - Arsenale di Roma distrutta (Einaudi Stile Libero) - è un po' come rileggerselo, il libro. Già alla prima domanda prevale in lui la passione, l' energia, la voglia di raccontare, ancora, la sua Roma: «Non quella di oggi. Non ho voluto scrivere un libro di attualità, cosa che pure avrei potuto fare. Bensì la Roma che mi piace di più».
Ed ecco allora che le lancette delle narrativa scorrono all' indietro, alla ricerca di un tempo perduto, quello dell' Aurelio bambino-ragazzo, gli anni Sessanta-Settanta-Ottanta: «Perché poi tutto cambia, a Roma, e forse non solo qui. Io sono nato ai Castelli, ma fin da bambino, subito scaraventato in un mondo di adulti, Roma l' ho vista, vissuta, frequentata, respirata, amata».
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C' è di tutto, nel potente immaginario di simboli cui Picca ricorre per comporre il suo affresco: rosticcerie, Califano («quel piccolo capolavoro che è La nevicata del '56»), palazzoni, periferie, le prostitute a Tor di Quinto (ma il libro è autentico anche nel linguaggio, e l' autore non le chiama così), c' è Chinaglia, Roma-Lazio, lo stadio Olimpico prima della copertura, ci sono le Alfetta e la scomparsa di Emanuela Orlandi, i soprannomi che finiscono in etto - Bavosetto, Ezietto, Giannetto - i vecchi liquori come Sambuca e Vecchia Romagna, l' ospedale militare del Celio e Piazza Esedra (mica della Repubblica):
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ANTONIO GNOLI
«Affresco è definizione che mi piace, grazie. Credo che il mio non sia un libro local, periferico, benché perimetrato sulla città. E non solo perché è scritto in italiano, ma perché l' argomento principale è appunto argomento universale, potente, Roma, città-mondo fatta di mille corpi, cristianesimo e paganesimo insieme, un grande ermafrodito...».
Sullo sfondo, fatti veri e personaggi autentici, dal rapimento Palombini a Renatino De Pedis, dai piccoli-grandi eventi sportivi a Pasolini: «Ma non sono un autore pasoliniano, mi interessava quell' immagine di Pasolini che cito, fissata poche ora prima della morte negli scatti del fotografo Dino Pedriali. Pasolini è completamente nudo, e a me sembra già un cadavere. Osservo quelle foto e penso: è già morto, sopravvive solo, unica energia, il suo sesso» (anche in questo caso chiamato in un altro modo).
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«La cronaca c' è - conferma Picca - ma è accessoria, ho controllato giusto qualche data, l' obiettivo non era certo quello di ricostruire con esattezza una stagione. Semmai, volevo evocare un clima, delle atmosfere, un' energia». E una prova «energica», quasi una sfida accettata, sta anche alla base della nascita di queste pagine: «Un libro - racconta Picca - nato quasi su commissione. Avevo scritto un mio pensiero su Roma. Paolo Repetti (ideatore con Severino Cesari della collana Stile libero di Einaudi, ndr) lo ha letto, gli è piaciuto.
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Mi dice: ma ce la faresti a tenere questo passo per 200 mila battute? Io: figurati, pure 600 mila». Ed ecco allora questo Arsenale di una Roma com' era («Quando Roma era Roma») e non è più, «massacrata come è oggi». Un Arsenale quasi senza trama, con intreccio ridotto al minimo in cui prevalgono monologo, «autobiografia sghemba» e prosa lirica: «Non c' è trama, vero. Ma c' è un inizio: un bambino e la luce del Quadraro». E proprio sulla luce della città Picca finisce per disvelare il suo eterno, sconfinato (speranzoso?) amore: «La notte di Roma - dice - è la luce più bella del mondo. Quando la città più autentica...
esce fuori». E se quella luce, in una città che da millenni si allena ogni giorno al «gioco dell' immortalità», diventasse metafora di una città sempre pronta a risorgere?
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